Le “Officine” piacciono – Tanta gente ieri agli ex Baraccamenti Cattolica per l’Open Day

foto migliorePer fortuna, c’è una Taranto che resiste e non si arrende. Ed è prevalentemente composta da giovani: due belle notizie in una. Si è svolto ieri mattina l’Open day agli ex Baraccamenti Cattolica, organizzato dal movimento “Officine Tarantine”, che da oltre una settimana si è riappropriato di un luogo storico della città, con l’intento di ridar vita e futuro a quei luoghi. Sono accorsi in tanti per osservare da vicino gli edifici che per anni hanno ospitato le attività dell’ex Circolo Ricreativo per i marinai, un cinema, uno spaccio vendita ed altre attività che si sono succedute nel corso del tempo fino al definitivo abbandono di questi stabili, ed ammirare il suggestivo villino detto dell’Ammiraglio che ha visto nei suoi locali anche gli uffici ex Anafim. L’intera area è dotata di alberature (alcune delle quali purtroppo decedute, ma altre ancora verdi e incredibilmente resistenti) e ampi spazi a verde.

Il tutto è stato corredato dalla presenza di un mercatino artigianale, di iniziative di giocoleria e animazione, oltre che di mostre di artisti locali. Insomma, una bella giornata che speriamo sia soltanto il primo passo di un’avventura ed un’iniziativa davvero meritevole. Questi ragazzi stanno provando a sfondare il muro spesso dell’indifferenza e dell’apatia cittadina. Le “Officine Tarantine” ora attendono soltanto che altri ragazzi, adulti e anziani li raggiungano per dar loro una mano. Hanno bisogno di tutto ciò che può servire: di ogni tipo di attrezzo, di utensile. Ma soprattutto hanno bisogno di mani e di idee. E di tanta buona volontà.

Come abbiamo scritto nei giorni scorsi, è venuto il tempo di agire per questa città. Verbo che purtroppo, ancora una volta, non stuzzica la fantasia di diverse componenti della così detta “società civile impegnata”. Anche ieri infatti, hanno marcato visita coloro i quali in queste occasioni dovrebbero esserci sempre e comunque: come ad esempio gli ambientalisti. Purtroppo, ancora oggi, fa molta più gola presenziare in giacca e cravatta ad un convegno organizzato dalla Curia alla presenza di un paio di ministri, per ribadire concetti triti e ritriti che sostanzialmente non cambiano di una virgola la realtà. Probabilmente per molti l’interruzione del discorso di un ministro val bene una rivoluzione. Eppure, ad esempio, si potrebbe fare l’uno e l’altro. Andare ai convegni, fare conferenze, stilare documenti, filmare l’industria inquinante, presentare esposti in Procura, all’Unione Europea e alla Corte dei Diritti Umani di Strasburgo (cose del tutto meritevoli che resteranno scolpite nella storia di questa città), e nello stesso tempo partecipare attivamente ad altre iniziative. Specie quelle messe in piedi da un gruppo di ragazzi tarantini: del resto, non ci ripetiamo da anni che le “battaglie” che si portano avanti sono per il futuro dei nostri figli e dei nostri giovani? Sarà.

Tra l’altro, durante il convegno della scorsa settimana, è stata nuovamente ribadita un’idea tanto chiara quanto aberrante: che la volontà di mantenere in attività la produzione dell’Ilva, pur essendo palesemente fuori legge, è stata una scelta politica. E siccome l’occasione storica per ribaltare ciò che veniva deciso a Roma, questa città l’ha persa tra l’estate e l’autunno del 2012, ci pare quanto meno fuori luogo continuare ad inseguire lo Stato su un terreno minato e sul quale le regole del gioco vengono continuamente cambiate per far sì che il risultato finale sia sempre a favore di quest’ultimo.

Dunque, forse, sarebbe molto più intelligente da parte di tutte le forze attive di questa città, unirsi per fare altre scelte politiche: come ad esempio quella di riappropriarsi dei tanti spazi abbandonati presenti in città. Perché ripartire dalle cose semplici, dalla nostra storia, dalle nostre risorse umane e sociali, è l’unica strada percorribile per una città a misura d’uomo, più vivibile e per questo più unita.

Questa è l’unica strada per resistere e per realizzare (e non soltanto immaginare) un altro futuro possibile. Perché quando l’Ilva chiuderà (perché tanto chiuderà e non certo per il prossimo processo o per qualche altra vicenda, ma soltanto quando non sarà più strategico produrre acciaio per questo paese), non potremo farci trovare impreparati. Questo sì che sarebbe un errore storico imperdonabile e irreparabile. Diamo una mano a questi ragazzi: aiutiamoli a sognare, sognando con loro.

 G. Leone (TarantoOggi, 11.11.2013)

 

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