Le nostre vittime del dovere – Arsenale di Taranto e amianto: risarcimento per eredi dipendente

amiantoTARANTO – Gli eredi di un altro dipendente dell’Arsenale di Taranto, morto dopo decenni di esposizione all’amianto nello stabilimento industriale della Marina Militare che si occupa dalla manutenzione delle navi, avranno diritto al risarcimento perché il loro parente è stato riconosciuto “vittima del dovere”. Ad annunciarlo l’associazione “Contramianto” che da anni conduce una battaglia per gli esposti (e i loro parenti) alla micidiale sostanza nei luoghi di lavoro. L’operaio ha contratto il mesotelioma pleurico ed è poi deceduto. L’uomo lavorava a bordo delle navi della Marina Militare: alla famiglia andrà un risarcimento di 200.000 euro oltre ad un vitalizio per ciascun erede di quasi 1.400 euro mensili. Il dipendente deceduto era stato a stretto contatto con l’amianto lavorando sulle navi e in officina svolgendo manutenzioni navali in ambienti e su parti dove era presente amianto. Col riconoscimento di quest’ultimo lavoratore, “sono complessivamente 8 le procedure di “vittima del dovere”, tutti lavoratori dell’Arsenale di Taranto, concluse con l’ottenimento del diritto”, dichiara Luciano Carleo, presidente di “Contramianto”.

In particolare sono 2 i decessi per mesotelioma, 6 le malattie asbesto correlate in operai ancora in servizio o pensionati: questi i dati aggiornati rilevati dall’associazione. I casi esaminati riguardano diverse mansioni: da saldatore a carpentiere in ferro, da tornitore a conduttore di caldaia, da elettricista a tecnico di laboratorio. Diverse decine le istanze ancora in corso seguite da Contramianto per lavoratori dell’Arsenale di Taranto, La Spezia ed Augusta, quasi un centinaio i casi ai quali l’associazione da assistenza in tutta Italia e che sono in attesa di giudizio, operai e militari che per anni hanno lavorato esposti all’amianto, subendo danni irrimediabili alla salute per le inalazioni delle polveri cancerogene. Morire a causa dell’amianto respirato a bordo delle navi della marina militare e nelle Officine degli Arsenali o dei Cantieri navali, è un destino che ha riguardato tanti, troppi lavoratori: una escalation di decessi che non sembra arrestarsi. Del resto, l’amianto era ovunque: sul naviglio militare e nelle officine. “L’attività di bonifica ancora in corso su 155 navi e sommergibili per oltre 10 milioni di euro – dichiara Carleo – conferma la presenza di questo pericoloso materiale di coibentazione. Nel decennio scorso sono state quasi mille le tonnellate di amianto, friabile e compatto, rimosso negli Arsenali di Taranto e La Spezia da navi, sommergibili ed officine.

Contramianto ha registrato 55 casi di mesotelioma di cui la gran parte lavoratori dell’Arsenale di Taranto, ma anche di altri Arsenali ed Enti Difesa”. Nel solo periodo 1993-2005, nell’Arsenale Marina Militare di Taranto sono state rimosse da Officine e Navi 600 tonnellate di amianto. Per il solo Arsenale di Taranto, Contramianto ha registrato 76 casi di cancro. “A questo dato – sottolinea ancora Carleo – bisogna aggiungere oltre un centinaio di patologie non tumorali legate all’amianto quali asbestosi, placche pleuriche, ispessimenti, fibrosi”. Nel dettaglio, 50 mesotelioma, 70 tumori polmonari ed extra polmonari, 130 casi tra ispessimenti, placche pleuriche e broncopatie. Una situazione che a livello nazionale sembra essere molto più evidente con riscontri che indicano in Marina militare complessivamente 530 casi di patologie asbesto correlate di cui 370 mesotelioma: una vera e propria strage di Stato. Anche in questo caso però, i dati raccolti sono parziali. Da qui la necessità (come ad esempio per il caso endometriosi) di istituire un Registro nazionale delle patologie asbesto correlate in Marina Militare, nel quale ricomprendere i casi di morbilità e mortalità di operai e militari vittime dell’amianto.

Ciò detto, è quanto mai importante ricordare e non dimenticare che i danni provocati dall’amianto erano ben noti ai vertici della Marina Militare, così come gli effetti cancerogeni: come riportammo su queste colonne quasi tre anni fa, nel 1968 la Marina Militare commissionò una indagine epidemiologica all’Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università di Bari sugli operai dell’Arsenale di Taranto, dalla quale emersero casi di neoplasie polmonari in molti lavoratori esposti ad amianto. Nonostante ciò, non vi fu mai, da parte dei vertici militari del periodo, nessuna informazione ai dipendenti del rischio amianto nelle attività in officina e a bordo delle navi. Nessuno si prese la briga di informare gli operai e di sospendere i lavori: tutto proseguì come se nulla fosse. “Morire d’amianto per aver lavorato negli Arsenali della Marina Militare e a bordo delle navi senza adeguate tutele per la salute” è stato il destino di molti operai tarantini. Addirittura, già a partire dalla fine degli anni ’40, la pericolosità dell’amianto per la salute dei militari era noto e studiato dalle strutture sanitarie della Marina Militare ed in ambito Nato l’esposizione all’amianto fu oggetto di apposito studio pubblicato dalla US Navy nel 1961 sui rischi lavorativi alla salute legato all’esposizione all’amianto nella Marina Militare.

E così, oltre ai malati e ai morti per amianto, ci ritroviamo anche un Mar Piccolo inquinato in gran parte sempre dall’arsenale della Marina Militare (come dimostrano i documenti di CNR e Regione Puglia che abbiamo pubblicato negli anni), anche se in tanti fanno finta di non saperlo o di non ricordarlo: nonostante tutto ciò, ancora oggi, siamo ancora in attesa di conoscere il destino delle migliaia di mitilicoltori che rischiano di perdere per sempre la loro casa nel I seno, con la città che ancora una volta resta inerme di fronte ad uno scempio ambientale ignobile e inaccettabile (con la Marina che nel frattempo si diverte a giocare a battaglia navale con gli amici delle varie Marine Militari). Ed il motivo di tanto silenzio, è sempre lo stesso: come nel caso dell’Ilva, in tanti, troppi, hanno stretto legami lavorativi e interessi economici con la Marina Militare, che tra l’altro continua a tenere in ostaggio interi palazzi vuoti (a fronte dell’emergenza abitativa della nostra città) e intere aree inutilizzate (vedi l’ospedale vecchio che si rifiuta di riconsegnare alla città se Comune e Provincia non provvederanno a costruirne uno nuovo sul versante Chiapparo, ma anche questo non lo dice nessuno, nonostante Florido e Stefàno lo denunceranno pubblicamente in una conferenza stampa di quasi due anni fa).

Queste cose, chissà perché, non ha il coraggio di dirle nessuno: sarà forse perché la Marina Militare gestisce (in maniera egregia) il meraviglioso Castello Aragonese (dopo averlo ristrutturato)? Chissà. Eppure, anche l’operazione Castello Aragonese, a noi sa tanto di “ricatto” politico: cosa vieta infatti alla Marina di far sì che le guide turistiche cessino di essere del personale militare per lasciar spazio ai tanti giovani archeologi tarantini? Mistero. Coloro i quali hanno lavorato per decenni nell’Arsenale, nelle Officine e nei Cantieri navali, non sono morti di Serie B. Questo lo diciamo ai tanti che pensano che l’inquinamento in questa città sia soltanto quello prodotto dall’Ilva (o da Eni e Cementir). E che i morti da ricordare e rispettare, oltre che da martirizzare (cosa che peraltro avviene in maniera sistematica e profondamente squallida ed irrispettosa), siano soltanto coloro i quali si siano ammalati all’esterno del siderurgico: visto che non mostrano lo stesso rispetto per le tante morti bianche avvenute all’interno del siderurgico. Un paese senza verità e giustizia, è un paese che non avrà mai un futuro. “Chi non conosce la verità é soltanto uno sciocco; ma chi ,conoscendola, la chiama bugia, é un malfattore” “B. Brecht, Augusta, 10 febbraio 1898 – Berlino, 14 agosto 1956).

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 11.11.2013)

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