“La salute resta negoziabile” – La relazione del dottor Di Ciaula sull’Ilva

TARANTO – E’ stranamente sfuggita alle agenzie di stampa nazionali, che per giorni hanno invece fedelmente riportato tutte le dichiarazioni dei vari personaggi che sono stati ascoltati dalla commissione Ambiente della Camera dei Deputati. Eppure, quella omessa, è forse la più importante delle audizioni, ma soprattutto la più scomoda: ci riferiamo alla relazione del dottor Agostino Di Ciaula (dell’Associazione Medici per l’Ambiente). Il testo integrale, postato sulla sua pagina facebook, è stato pubblicato dal sempre attento sito online www.inchiostroverde.it, gestito dalla collega Alessandra Congedo.

Bene. Questa relazione è di importanza assoluta perché mette dei punti fermi che, a ragion veduta, lo Stato italiano, la politica, i sindacati, Confindustria e quant’altri si guardano bene dal tener presente quando è il momento di decidere del destino di un intero territorio e del futuro di una popolazione. Del resto, il punto di partenza della relazione del dott. Di Ciaula, è perentorio: “Spesso, pensando ai tumori, si considera la possibilità di diagnosi precoce un’arma vincente. In realtà, si è veramente vincenti se si agisce a monte, non solo cercando di limitare i danni di malattie già insorte ma impedendo che queste insorgano, evitando l’esposizione alle sostanze che le provocano”.

Si parla prevenzione primaria, quella che da queste parti è stata volutamente ignorata per decenni. Visto che la stessa “è solo in parte compito dei medici, visto che è uno dei compiti della politica”. Di fronte alla volontà del Governo di “tutelare l’ambiente e la qualità della vita” e di “evitare gravi danni all’economia nazionale”, prevedendo un percorso di risanamento ambientale contemporaneo ad una prosecuzione dell’attività produttiva di ILVA da ottenere attraverso l’applicazione della revisione dell’AIA, dal punto di vista medico è opportuno porsi in particolare due domande: “la prosecuzione dell’attività produttiva di ILVA nel prossimo triennio è veramente compatibile con l’esistenza di condizioni che possano definirsi “accettabili” di salubrità ambientale e di salute dei cittadini?”.

E “quando il percorso di applicazione dell’AIA sarà terminato (nel 2016), questo garantirà davvero ai residenti nell’area di Taranto salubrità del territorio e un livello di sicurezza sanitaria almeno simile a quello di altre zone d’Italia considerate “non a rischio?”. Domande alle quali le nostre istituzioni si guardano bene dal rispondere. Nella sua relazione il dott. Di Ciaula propone alla commissione un excursus storico del quale ancora in molti ignorano l’esistenza. Ad esempio, ricorda come la prima pubblicazione scientifica che dimostrava la contaminazione da microinquinanti dei mitili di Taranto “risale al 2000. L’ultima è stata pubblicata pochi giorni fa”.

Inoltre si ricorda come la compromissione della catena alimentare “ha continuato ad essere documentata per 13 anni ed ha causato iniziative di sequestro di aree agricole, mitili e capi di bestiame. Poi sono comparse, chiare e inequivocabili, le evidenze epidemiologiche ormai note a tutti, soprattutto grazie alle rilevazioni dell’ISS, che ha certificato l’area di Taranto come insalubre e ad elevato rischio sanitario”. Si ricorda come i tre periti del gip Todisco “hanno accertato 30 morti in più all’anno attribuibili all’ILVA. Gli ultimi dati ISTAT (database “Health for All”) mostrano chiaramente che in Italia l’attesa di vita è ovunque in ascesa o in alcune situazioni ha raggiunto livelli che si mantengono costanti. I residenti nella Provincia di Taranto rappresentano l’unico caso, a livello nazionale, in cui l’attesa di vita dal 2006 ha invece subito una preoccupante inversione di tendenza, con una perdita nel 2009 di circa 2 anni di  vita attesa per gli uomini, e di poco più di un anno per le donne”.

Oltre ad un aumentato rischio di mortalità per tumori maligni e per patologie non neoplastiche in età adulta, i dati epidemiologici hanno dimostrato un aumentato rischio di mortalità “entro il primo anno di vita e di tumori maligni in età pediatrica, superiore alla media regionale e nazionale. Questo accade perché molti degli inquinanti emessi dall’ILVA (soprattutto metalli pesanti e composti organici clorurati come diossine e PCB), oltre ad entrare nella catena alimentare sono in grado di superare la barriera placentare e di causare danni già in epoca fetale”. Inquinanti emessi dall’ILVA che causano, tra gli altri effetti, “danno epigenetico, un’alterazione che induce difetti dell’espressione del DNA anche in assenza di modifiche della sequenza dei geni”.

È stato dimostrato che questo danno è alla base di una vera e propria “riprogrammazione” fetale patologica, in grado di determinare l’insorgenza di malattie di varia natura in età adulta. Altra conseguenza tipica del danno epigenetico è che, quando sono interessate le cellule germinali del feto, le conseguenze sanitarie si rendono visibili e misurabili a distanza di due generazioni dal momento dell’esposizione di donne in gravidanza. I neonati, inoltre, oltre che per esposizione diretta, subiscono il passaggio di diossine e altri inquinanti tossici attraverso il latte materno, continuando ad accumularli dopo la prima contaminazione subita già in utero”. A questo proposito, uno studio pubblicato pochi mesi fa su una rivista scientifica internazionale ha dimostrato “la presenza di diossine nel latte materno delle donne di Taranto, con valori sino a 40 volte superiori a quelli considerati “tollerabili” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Se ILVA dovesse cessare in questo preciso momento la sua produzione, i danni provocati sino ad oggi genererebbero dunque patologie almeno nelle prossime due generazioni di tarantini”.

Basterebbero questi dati per stabilire con assoluta certezza scientifica l’impossibilità di una sognata eco-compatibilità della presenza dell’Ilva sul territorio di Taranto. Ma, come sappiamo, ci rispondo che con l’AIA tutto si potrà risolvere. A questo proposito è dunque opportuno cercare di rispondere alla seconda domanda: applicando l’AIA nel migliore dei modi possibili, che cosa cambierà in termini di salubrità dell’ambiente e di rischio sanitario? “Il pieno rispetto dell’AIA concederà all’ILVA l’emissione di 0,1ng di diossine per ogni m3 di fumi emessi. Questo limite arriva a raddoppiarsi e triplicarsi (0,2-0.3 ng/Nm3) nel caso degli impianti di agglomerazione e sinterizzazione, quelli maggiormente problematici, che sono così autorizzati ad emettere sino al triplo della concentrazione di diossine attualmente concessa ad altri settori della stessa ILVA o ad altri impianti inquinanti tipo cementifici o inceneritori.

Ogni m3 di fumi che verrà fuori dai camini ILVA conterrà dunque, nella più ottimistica delle ipotesi, una concentrazione variabile da 0,1 a 0.3 ng di diossine. Se si considera che ogni camino può produrre sino a500.000 m3 all’ora di fumi, un calcolo approssimativo permette di affermare che ogni ora, da ogni camino dell’ILVA, saranno emessi da 10.000 a 150.000 ng di diossine, nonostante il pieno rispetto delle regole dell’AIA”. Di Ciaula, poi, riprende quanto riportato su queste colonne (ed ignorato da tutti gli altri organi di stampa). Ovvero l’analisi prodotta da ARPA Puglia, il “primo rapporto sulla valutazione del danno sanitario”. Secondo l’analisi di ARPA Puglia, dopo l’applicazione dell’AIA, nel 2016 l’ILVA emetterà 22.1 g/anno di diossine, un quantitativo pari a circa la metà dell’intera produzione nazionale di questi inquinanti. “Secondo le stime dell’Agenzia Regionale, in questo momento rischia di avere un tumore, considerando la sola inalazione degli inquinanti, una popolazione di 22.500 residenti. Dopo l’AIA correranno questo rischio 12.000 residenti”.

Dunque, almeno 12.000 residenti continueranno ad essere sottoposti a rischio elevato di tumore maligno a causa dell’inquinamento industriale prodotto da ILVA. Il termine “almeno” è giustificato dalla considerazione che questa previsione “è solo parziale e il dato sul rischio è fortemente sottostimato”. L’analisi, infatti, prende in considerazione i rischi tumorali legati alla sola inalazione di sostanze inquinanti, escludendo completamente le altre vie di assunzione delle sostanze tossiche emesse dall’ILVA per ingestione. Il rapporto ARPA, inoltre, “calcola i rischi che quelle concentrazioni di inquinanti causano in soggetti adulti di peso medio. Non considera che a parità di concentrazioni il rischio è decine di volte più alto per i feti e per i bambini”.

Il disegno di legge del Governo vorrebbe garantire un compromesso definito “accettabile” tra esigenze produttive e tutela sanitaria dei residenti. Ma cosa si intenda per condizioni epidemiologiche “accettabili” e quale sia il livello produttivo utile a garantire tali condizioni, “sono indicazioni che non si trovano nel decreto di AIA, non si trovano nel disegno di legge all’esame di questa Commissione né nella valutazione di danno sanitario elaborata da ARPA Puglia. Da questo punto di vista, questo disegno di legge rende comunque di fatto la salute dei tarantini un bene negoziabile”. “Nessuno chiede il raggiungimento di un utopico “livello zero” di rischio, ma che almeno si raggiunga nell’area di Taranto un livello di sicurezza simile a quello di altre zone d’Italia ritenute “non a rischio”, anche inconsiderazione dell’evidenza che gran parte degli inquinanti emessi dall’ILVA non hanno un “livello soglia” al di sotto del quale non causino danni misurabili sulla salute umana, e che numerosi altri impianti altamente inquinanti sono presenti nell’area”.

In conclusione, “la proposta di legge del Governo è certamente valida se si considera il suo proposito generale di commissariamento per consentire il risanamento di aziende che non rispettino le garanzie prescritte dai decreti AIA. Il caso di Taranto non è assimilabile a nessun altro a livello nazionale e non può rientrare in quel proposito generale. Il caso Taranto è reso particolare dal suo passato, dal suo presente e dal suo possibile futuro. Per questo, in base alle considerazioni espresse, dal punto di vista etico prima ancora che medico, questo disegno di legge non può nella sua forma attuale essere sufficiente a ristabilire le minime garanzie di tutela sanitaria della popolazione e il pieno rispetto degli articoli 32 e 41 della nostra Costituzione, che devono essere validi per i tarantini come lo sono per tutti gli altri italiani”. Amen.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 27.06.2013)

 

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