La Bei aiuterà l’Ilva?

TARANTO – “Un’opportunità per l’Ilva e per tutta l’industria siderurgica italiana”: per il vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani, a questo dovrà servire il piano d’azione per la siderurgia presentato ieri e che l’esecutivo europeo varerà entro il mese di giugno. Un progetto che negli intenti della Commissione europea avrà come obiettivo quello di rispondere ai problemi di sovracapacità produttiva delle acciaierie europee, rilanciando il comparto siderurgico su scala internazionale. Di questo si è discusso ieri nella tavola rotonda ad “alto livello” per mettere a punto, con organizzazione sindacali e imprese del settore (presente anche l’Ilva), strategie per il futuro industriale di un mondo produttivo costituito da centinaia di migliaia di lavoratori altamente qualificati. Tanti, a quanto pare, i suggerimenti raccolti ieri dal commissario europeo per l’Industria.

Durante la tavola rotonda di Bruxelles, si è detto che la siderurgia europea ha una capacità non utilizzata di circa 40 milioni di tonnellate, impianti a rischio chiusura – in particolare in Belgio e Francia – per gli eccessivi costi e gli esegui ricavi (non come a Taranto dove i ricavi ci sono, da sempre, i costi sono minimi e si rischia di chiudere “soltanto” per problemi ambientali). Per questo la Commissione Ue ha stilato un progetto di raccomandazioni come l’eliminazione delle barriere commerciali alle esportazioni, un riesame degli strumenti di difesa commerciale, la possibilità di certificazione di qualità per i prodotti siderurgici, stipula di accordi commerciali di libero scambio all’insegna della reciprocità. Un’ulteriore consultazione sul tema ci sarà la settimana prossima nel corso del consiglio Competitività.

La Bei a sostegno dell’Ilva

Come previsto, però, grande spazio è stato dato alla vicenda Ilva. E a quanto si è appreso, la Banca europea degli investimenti (BEI), la banca dell’Ue, sarà sollecitata ad intervenire per garantire i mezzi per il risanamento e la ristrutturazione di Taranto in base a quanto previsto dal piano varato dal governo. Tesi confermata da Claudio De Vincenti, sottosegretario alle Attività produttive, tra i partecipanti alla tavola rotonda. “Vanno aumentate le capacità di esportazione, e in questo la Banca europea per gli investimenti (Bei) può aiutare ad accrescere la competitività del settore”. Investendo, ad esempio, sul sostenibile. “Abbiamo chiesto alla BEI di aiutare il salto tecnologico necessario per conciliare necessità industriali a quelle ambientali”, ha sottolineato De Vincenti. Del resto le tecnologie produttive pulite possono arrivare attraverso la BEI, che ha tra i suoi obiettivi proprio il finanziare le aziende che intendono investire sulle nuove tecnologie. “Un intervento chiesto a livello generale, ma che chiaramente può riguardare anche l’Ilva di Taranto”. Il concetto è chiaro, quindi: ottenere il sostegno finanziario della BEI per consentire all’Ilva di Taranto, “ma non solo”, “di fare quel salto tecnologico necessario per conciliare le esigenze dell’industria e dell’ambiente attraverso l’applicazione del migliori pratiche attualmente disponibili”.

Quel prestito dimenticato da 400 milioni

Tutto bene, dunque? Nemmeno per idea. Il buon De Vincenti, che lo scorso 23 gennaio sedeva accanto al ministro dell’Ambiente Corrado Clini nella conferenza stampa all’Ilva di Taranto, evidentemente ignora la storia dell’Ilva e della BEI. Che sicuramente conosce il commissario europeo Tajani, il quale dovrebbe dare più di una spiegazione prima di ipotizzare finanziamenti della BEI all’Ilva del gruppo Riva. Perché come denunciammo lo scorso dicembre nel silenzio più assoluto, il 16 dicembre del 2010 la Riva Fire S.p.A ottenne dalla Banca europea per gli investimenti un prestito di ben 400 milioni di euro a favore della società: 200 milioni subito ed ulteriori 200 concessi il 3 febbraio 2012. Tra l’altro si trattava di finanziamenti ben scorporati: 140 alla Ilva S.p.A. e 60 alla Rive Fire S.p.A. Il progetto, si leggeva sul sito ufficiale della BEI, riguardava un programma di investimenti “in un impianto in acciaio di grandi dimensioni”.

Lo scopo era quello di mantenere la competitività del sito attraverso un vasto programma di investimenti per “migliorare le strutture di produzione, migliorare la produttività dell’azienda facilitando nel contempo l’efficienza energetica e riducendo l’impatto ambientale”. Il progetto veniva giudicato come la “chiave” per la competitività di costo dell’impianto e della sua sostenibilità a lungo termine (tecnica, ambientale e finanziaria), oltre che per “consolidare la diretta e indiretta significativa occupazione dell’azienda”. Inoltre, l’efficienza energetica e gli investimenti ambientali comporteranno “una riduzione dei gas a effetto serra (gas serra) delle emissioni dell’impianto, che sarà certificato dall’Istituto Italiano per l’Assicurazione della Qualità”. Inoltre, alla voce approvvigionamenti, si leggeva che l’Ilva “dovrebbe ottenere attrezzature e servizi per il progetto tra le poche società di ingegneria specializzate, utilizzando negoziati internazionali. Questa procedura, che è abituale nel settore, sarebbe nel migliore interesse del progetto e in linea con la politica di approvvigionamento della Banca per i progetti del settore privato”.

A cosa sono serviti quei soldi?

L’Ilva ha dunque già ottenuto un prestito di ben 400 milioni di euro dalla BEI, proprio per raggiungere quegli obiettivi che oggi Tajani e De Vincenti sostengano si possano raggiungere in futuro con i finanziamenti della BEI ed altri programmi della Commissione europea come il Fondo sociale e Horizon 2020 per l’innovazione e la ricerca. Lo scorso dicembre ponemmo delle domande chiare, ancora una volta rimaste senza risposta. Primo: enti locali (Comune e Provincia di Taranto, Regione Puglia) e governo erano a conoscenza di questo finanziamento della BEI? E i sindacati? Secondo: come sono stati utilizzati questi soldi dal gruppo Riva? Terzo: perché Tajani propone nuovi interventi a favore dell’Ilva se soltanto un anno fa il gruppo Riva ha ottenuto la seconda trance del prestito da 400 milioni di euro erogato dalla BEI?

Non avendo ottenuto alcuna risposta, avanzammo un’idea derivante dal nome (“Riva Taranto Energia & Ambiente”) e dall’obiettivo del progetto (“migliorare le strutture di produzione, migliorare la produttività dell’azienda facilitando nel contempo l’efficienza energetica e riducendo l’impatto ambientale”). Nell’ottobre del 2011 (la notizia la anticipammo nell’aprile dello stesso anno) la Edison cedette al Gruppo Riva le centrali termoelettriche di “Taranto Energia” per 164,4 milioni di euro. Ai Riva fu ceduto l’intero capitale sociale di “Taranto Energia”, società nella quale Edison conferì il ramo d’azienda costituito dalle centrali termoelettriche CET 2 e CET 3, situate all’interno del siderurgico. Qualche giorno prima, il 30 settembre 2011, la Commissione europea dette il via libera all’acquisizione di “Taranto Energia” (società veicolo di Edison) da parte di Ilva: l’operazione venne esaminata sotto procedura semplificata. Certo, a stupirci fu anche l’atteggiamento delle autorità europee: un finanziamento da 400 milioni ad una delle aziende più inquinanti d’Europa, non è cosa da poco.

noltre, parliamo di un’azienda che la stessa Ue sa essere, da anni, non a norma in merito ai livelli emissivi, anche secondo quanto sostenuto dalla magistratura tarantina dopo la perizia chimica ambientale. Inoltre, ponemmo un’ultima domanda (sotto il suggerimento del sito online “green report.it): “la BEI ha informato la magistratura italiana e quella anti-corruzione europea – ossia l’ufficio dell’OLAF (l’Ufficio europeo per la Lotta Antifrode) di una possibile cattiva gestione del prestito all’Ilva?”. “Il bugiardo deve avere buona memoria” (Marco Fabio Quintiliano  Calagurris, 35-40 d.C. – Roma, 96 d.C. oratore romano e maestro di retorica stipendiato dal fiscus imperiale).

Gianmario Leone (TarantoOggi. 13.02.2013)

 

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