Colpevoli “inconsapevoli” – I sindacati denunciano ritardi su Aia Ilva

TARANTO – La giornata di ieri sarà ricordata come il “5 maggio” dei sindacati metalmeccanici Fiom Cgil, Fim Cisl e Uil Uilm. All’indomani dell’incontro avuto a Roma con il ministro dell’Ambiente per fare il punto della situazione sulla vicenda Ilva, le tre organizzazioni sindacali hanno infatti dato libero sfogo a tutte le loro “preoccupazioni” sulla vicenda Ilva, in particolare sull’applicazione delle prescrizioni AIA. Ma andiamo con ordine.

Per una casuale e particolarissima concatenazione di eventi, abbiamo avuto la possibilità di assistere alla conferenza stampa tenuta dalla Fiom Cgil nella sede romana di Corso Trieste, alla quale hanno preso parte il segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, il segretario nazionale Fiom responsabile per la siderurgia, Rosario Rappa e Donato Stefanelli, segretario generale della Fiom-Cgil di Taranto. Negli stessi momenti, per la prima volta a Taranto, si svolgeva il coordinamento nazionale Fim Cisl del settore Siderurgia e Alluminio, alla presenza del segretario nazionale della Fim-Cisl, Marco Bentivogli, del coordinatore nazionale della Fim-Cisl Siderurgia e Alluminio, Sandro Pasotti, e del segretario generale della Fim-Cisl di Taranto-Brindisi, Mimmo Panarelli. Nelle stesse ore, la Uil Uilm diramava una nota a firma del segretario generale della Uil, Giancarlo Turi e del segretario generale della Uilm di Taranto, Antonio Talò. Un fuoco incrociato a cui mai avevamo assistito sino ad ora.

Come detto, le tre sigle sindacali hanno colto l’occasione per “denunciare” i ritardi dell’Ilva nell’applicazione delle prescrizioni presenti nell’AIA rilasciata dal ministero dell’Ambiente lo scorso 26 ottobre. Come mai lo fanno soltanto ora, a sette mesi di distanza dal rilascio dell’autorizzazione ed a quattro dalla prima relazione trimestrale (datata 23 gennaio 2013, ndr) in cui l’Ilva annunciava i primi “inevitabili” ritardi nell’applicazione di alcune prescrizioni, peraltro confermate dalla seconda relazione trimestrale inviata al ministero lo scorso 27 aprile? La risposta è molto semplice. Sino alla settimana scorsa, i sindacati hanno pensato bene di tacere sulla vicenda dell’AIA perché hanno voluto “credere” alla promessa dell’Ilva, che ha sempre sostenuto la tesi secondo cui una volta rientrata in possesso dell’acciaio sequestrato dalla Procura (1 milione e700mila tonnellate restituire all’azienda lo scorso 14 maggio, ndr), avrebbe investito i proventi della vendita, ammontanti a circa 1 miliardo di euro, sui lavori per il risanamento degli impianti inquinanti dell’area a caldo.

La promessa, sino ad oggi, ovviamente non è stata mantenuta dall’Ilva. Che tra l’altro non ha ancora presentato al ministero dell’Ambiente, alle istituzioni locali ed ai sindacati, il piano finanziario promesso lo scorso autunno che specifichi la tempistica degli interventi, il loro costo e soprattutto la copertura finanziaria degli stessi da parte dell’azienda (le facce dei giornalisti delle testate nazionali e delle agenzie stampa presenti ieri a Roma nell’apprendere ciò era tutto un programma, ndr). Dunque, improvvisamente i sindacati si scoprono “indignati” a fronte dei ritardi sull’applicazione dell’AIA. Non solo: perché ieri a Roma, il buon Landini si chiedeva a gran voce: “Dove sono i 4-5 miliardi(ma per il ministero dell’Ambiente non erano 3,5 e per l’Ilva appena 2,5?, ndr) per gli interventi previsti dall’AIA? L’azienda li ha?”

Incredibile: hanno voluto a tutti i costi una nuova AIA per l’Ilva, hanno appoggiato il governo italiano nell’approvazione di una legge ad aziendam (la 231/2012, detta ‘salva Ilva’), e non si sono nemmeno presi la briga di verificare che il loro interlocutore, il gruppo Riva, non solo avesse l’intenzione di sostenere quei lavori ma che fosse in possesso dei requisiti minimi (le risorse finanziarie) per rispettare il cronoprogramma previsto dall’AIA. Ed oggi, come se niente fosse, dall’oggi al domani protestano, s’indignano. Non solo. Perché facendo ciò, dimostrano di non conoscere nemmeno le carte di cui parlano. Perché i sindacati dovrebbero ben sapere come sia stato lo stesso ministero ad autorizzare (cosa che scriviamo da mesi), nel merito del rispetto della tempistica delle varie prescrizioni, che l’impresa possa richiedere “modifiche non sostanziali alla tempistica degli interventi prescritti sulla base di motivazioni tecniche ed economiche”.

Dunque, il “mancato” rispetto da parte dell’Ilva nella tempistica delle prescrizioni, è del tutto “lecita”. Cadono dalle nuvole quando li si informa del fatto che lo scorso 10 maggio il ministro dell’Ambiente Orlando ha incontrato in gran “segreto” i vertici Ilva, che hanno chiesto al ministro di riconsiderare la tempistica di alcuni interventi previsti dalle prescrizioni, al fine di “ottimizzare e minimizzare l’impatto degli interventi sia sugli impianti che sul processo produttivo”. Ignorano che la scorsa settimana, a Bruxelles, il sottosegretario allo Sviluppo Economico Claudio De Vincenti ha confermato che il governo sta attentamente valutando la proposta, in quanto si è in presenza di operazioni “di grande rilievo nella riorganizzazione della produzione e di tale consistenza tecnologica che dobbiamo fissare i tempi giusti per ottenere questi risultati”. Non solo. Perché i sindacati hanno anche il coraggio di puntare il dito soprattutto su alcune prescrizioni. Come ad esempio la mancata copertura dei 90 km dei nastri trasportatori previsti dall’AIA entro il 27 gennaio scorso, operazione che Ilva ha chiesto di prorogare ad ottobre 2015.

Eppure, i sindacati dovrebbero ben ricordare che tale operazione era già presente negli atti d’intesa sottoscritti l’8 gennaio 2003 ed il 21 gennaio 2004, anche da loro, nel cui testo si leggeva come il Gruppo Riva avesse dato la sua “disponibilità a realizzare ulteriori importanti interventi finalizzati alla riduzione della diffusione di polveri nell’ambiente come la più volte auspicata copertura completa dei nastri trasportatori dall’area portuale (molo del 2° e 4° sporgente) all’area Parchi Minerali”. Sono passati 10 anni: come mai i sindacati non hanno provveduto a denunciare la mancata attuazione di tale operazione? Lamentano anche la mancata copertura dei parchi minerali, sostenendo come sino ad oggi l’Ilva abbia prodotto soltanto carte e progetti, senza passare alla fase di attuazione.

Ma quando mai i sindacati hanno sostenuto la necessità di coprire i parchi minerali? Ricordiamo male o sino allo scorso luglio hanno difeso a spada tratta la costruzione della barriera frangivento, attualmente ancora in fase di costruzione dallo scorso luglio, opera peraltro bocciata clamorosamente anche dai custodi giudiziari? Oppure lamentano il mancato inizio del monitoraggio delle emissioni dai camini: benissimo, ma non ricordiamo affatto un loro pressing affinché in tutti questi anni venisse attuato il famoso monitoraggio in continuo. Anzi, li ricordiamo plaudenti ai risultati ottenuti dalle appena 4 campagne di rilevazione effettuate dall’ARPA Puglia nel 2011, che davano per “risolto” il problema della diossina. Così come, ricordiamo male o per anni gli stessi sindacati hanno sostenuto la tesi del gruppo Riva secondo cui dal 1995 ad oggi sia stato investito la bellezza di 1 miliardo di euro per “ambientalizzare” la fabbrica e renderla più “eco-compatibile” con il territorio? Come mai se quel miliardo è stato effettivamente speso, ci sono tutti questi problemi sugli impianti dell’area a caldo?

Ecco allora che è proprio in tutto questo non detto, che va ad inserirsi il monito del procuratore generale di Lecce, Vignola, che ha accusato i sindacati di “fragoroso silenzio” in tutti questi anni. Perché oggi è troppo facile dire che ci si è costituiti parte civile nell’inchiesta penale della magistratura, o che con i propri avvocati si sono seguite le pratiche di tanti lavoratori colpiti da malattie o incidente sul posto di lavoro. Il silenzio di cui li si accusa si basa su due fatti inconfutabili: il non aver mai denunciato chiaramente l’inquinamento prodotto dall’Ilva e nell’aver sostenuto le tesi dell’azienda “sull’ecologica” gestione dello stabilimento e sugli interventi di risanamento realizzati negli anni.

Purtroppo però, tutto questo non serve a niente. Perché i nostri continuano ad andare per la loro strada. Sostenendo paradossi come la possibilità di risanare gli impianti Ilva ed allo stesso tempo continuare la produzione, oppure a mali estremi, estremi rimedi: l’esproprio della fabbrica da parte dello Stato e la realizzazione degli interventi di risanamento con i soldi pubblici: un’atroce beffa, l’ennesima, a danno soltanto dei cittadini tarantini ed italiani. Intanto, l’Ilva continua a restare chiusa nel suo assordante silenzio. Con i Riva che hanno provveduto a risistemare gli assetti industriali del gruppo, affidando l’oramai isolata Ilva Spa alle cure del neo ad Enrico Bondi, che sino ad ora non ha praticamente proferito parola. Il tutto in assenza del bilancio 2012, di un piano industriale e del piano investimenti per i lavori previsti dall’AIA. A testimonianza, ancora una volta, di come il destino del più grande siderurgico d’Europa sia stato già deciso da tempo.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 22.05.2013)

IN FUGA DAL CDA DELLA FONDAZIONE VACCARELLA

Ma la giornata di ieri sarà ricordata anche per un altro particolare, non di poco conto. Sia la Fiom Cgil che la Fim Cisl hanno annunciato la loro autosospensione dagli incarichi del Cda nella gestione della “Fondazione Vivere solidale” della Masseria Vaccarella sostenendo la tesi che “il sindacato deve uscire dalla gestione diretta di questo bene che deve tornare alla città ed ai lavoratori”. Inoltre la Fiom, che anni addietro ha espulso alcuni dirigenti proprio in merito ad alcuni “illeciti amministrativi” perpetrati nella gestione della Fondazione di alcuni suoi delegati, ha chiesto la sospensione del contributo relativo al 2013 pari a circa 440 mila euro. Che sia il sintomo di un nuovo prossimo capitolo dell’inchiesta “Ambiente Svenduto”?  Staremo a vedere.

 


 

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