Ilva, la solidarietà mancata

TARANTO – Doveva e poteva essere, almeno per una volta, una giornata “normale”. Nella quale dimostrare che al di là delle differenze, delle sofferenze, delle recriminazioni e dei rancori, possiamo dirci ancora uomini. Doveva essere, ma non è stato. Perché oramai è come se all’interno dell’Ilva un po’ tutti abbiano perso la bussola. Dove ognuno preferisce tirare acqua al proprio mulino in un momento in cui nulla appare certo. L’unica certezza, infatti, è che la vicenda giudiziaria ha scoperchiato una pentola a pressione il cui fondo è ancora molto lontano dall’essere visibile. Finendo con lo scatenare una guerriglia da “tutti contro tutti” che sino ad oggi ha fatto soltanto il gioco del gruppo Riva. Che tra domiciliari e fughe all’estero, tra operazioni finanziarie e scorpori vari per mettere al sicuro il tesoro di famiglia, ha lasciato che i tarantini si scannassero tra loro, in una gara a chi grida di più, a chi rivendica un diritto maggiore rispetto a quello invocato dall’avversario.

Ed è all’interno di questa “confusione totale”, come l’hanno definita gli stessi giudici della Procura di Taranto, che si colloca la storia dell’operaio Stefano Delli Ponti. Che da due anni combatte contro “il brutto male”. Nei giorni scorsi l’Usb (Unione sindacale di base), si è mobilitata raccogliendo 9000 firme di operai Ilva, che corrispondono ad un controvalore di 70mila euro in termini di ore lavorate o di ferie “ceduta” al collega, all’amico. La somma raccolta, nell’intenzione dell’Usb, dovrà infatti essere destinata al Delli Ponti “affinché possa partire e curarsi all’estero dove si sottoporrà a un intervento chirurgico delicatissimo”. Nella mattinata di ieri, dopo aver ritirato nella sede di Talsano dell’Usb i fogli contenenti le 9000 firme, l’operaio ed alcuni esponenti del sindacato di base si sono recati in azienda presso la Direzione Ilva, per richiedere lo sblocco della somma. Ma le porte della direzione sono rimaste chiuse.

Dopo ben due ore di attesa, l’Usb ha deciso di occupare per protesta l’area esterna alla direzione, bloccando un tratto di strada. Nel frattempo, l’ufficio comunicazione Ilva ha diramato una nota ufficiale nella quale si spiegava il perché del mancato ricevimento. L’azienda ha tirato in causa le regole inserite nel contratto nazionale di lavoro “che tutelano la correttezza e la veridicità della raccolta firme propedeutiche ad eventuali raccolte di denaro a favore di dipendenti in difficoltà che, in ogni caso, sono demandate alle organizzazioni sindacali rappresentative in azienda. Queste regole sono a garanzia dei lavoratori che devono sapere per cosa e con quanto stanno contribuendo”.

L’Usb non è infatti ancora rappresentato “ufficialmente” all’interno dell’azienda, a differenza di Fiom, Fim e Uilm. Per questo gli stessi incontreranno i vertici dell’azienda, forse già domani, per velocizzare l’iter e sbrogliare una matassa sulla quale sarebbe servito soltanto un po’ più di buon senso da parte di tutti. Che è puntualmente mancato. L’Ilva nella sua nota ha infatti dichiarato di considerare “molto grave la strumentalizzazione di una vicenda personale dolorosa che richiede da parte di tutti la massima sensibilità”. Di contro l’Usb ha risposto definendo “vergognoso e deprecabile l’atteggiamento dei vertici Ilva, che risulta indifferente ai gravissimi problemi di salute del compagno Stefano e ritiene che ciò sia un vero e proprio insulto alla vita umana”.

La situazione è poi tornata alla normalità, con lo “sblocco” della strada da parte dell’Usb, a seguito di un incontro fra il Delli Ponti e le altre sigle sindacali, le quali hanno assicurato che nel giro di qualche giorno individueranno la soluzione più opportuna affinché questi soldi siano assicurati alla finalità benefica per la quale sono stati raccolti. Fiom, Fim e Uilm, hanno però preferito non diramare note ufficiali sull’accaduto, nonostante i “mal di pancia” non siano mancati. Il segretario generale della Fiom, Donato Stefanelli, preferisce infatti “glissare sui modi e i toni dell’intera vicenda: noi abbiamo un altro stile, un codice etico che ci impone di occuparci di tante questioni all’interno dell’azienda, comprese quelle riguardanti gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali degli operai, completamente diverso”.

Un modo elegante per dire che alla Fiom l’operazione dell’Usb non è affatto piaciuta. Ma il sindacato di base, pur ringraziando i tanti lavoratori iscritti alle altre sigle sindacali che hanno apposto la loro firma sui moduli per aiutare Stefano, non ci sta e ribatte come non sia assolutamente vero o previsto nel CCNL metalmeccanico o nello Statuto dei Lavoratori “alcun impedimento alla libera donazione da parte dei Lavoratori in favore di propri colleghi colpiti da gravi malattie e impossibilitati ad affrontare le esose  spese per potersi curare”.

Inoltre, in merito alla questione dell’autenticità delle firme, l’Usb  risponde all’azienda, tirando però l’ennesima bordata ai sindacati confederali: “Consigliamo alla direzione Ilva di accertare che siano autentiche tutte le firme (false) apposte sulle tantissime deleghe per la trattenuta sindacale approdate negli ultimi mesi sui tavoli della stessa. Per quanto riguarda inoltre l’obbligo per cui le iniziative debbano necessariamente passare al vaglio dei tre sindacali aziendali, vorremmo rammentare che la Costituzione e lo Statuto dei Lavoratori prevedono libertà di scelta da parte dei lavoratori nell’adesione a qualsiasi sindacato e che anche in autonomia qualsiasi lavoratore ha facoltà di aiutare un proprio collega in difficoltà”.

Non solo. Perché sulle tessere, da sempre, si gioca una partita tutta interna ai sindacati. Partita nella quale, da tempo, si è inserito anche l’Usb, che rivendica “centinaia di deleghe già trasmesse da mesi con firme autentiche e non “falsificate” che attendono di essere riconosciute e che per tale ragione i nostri legali hanno già provveduto ad inoltrare ricorso al Giudice del lavoro per l’applicazione dell’articolo 28 della legge 30070 (Statuto del Lavoratori)”. Del resto, le elezioni per il rinnovo del consiglio di fabbrica, sono oramai alle porte. Il dialogo, a queste latitudini e condizioni, appare dunque impossibile. Ed anche se tutte le parti in causa consigliano all’avversario di non strumentalizzare la situazione, alla fine ognuno tira comunque acqua al suo mulino. “Vogliamo ricordare ancora che Stefano ha chiesto espressamente aiuto all’USB affinché  perorasse la propria causa dopo aver inutilmente bussato a tante porte senza ricevere alcuna risposta”.

Ma anche in questo caso, il segretario Stefanelli della Fiom non concorda: “Ci siamo occupati della vicenda di Delli Ponti tempo addietro e prima di altri”. Di contro, non riusciamo a capire il senso dell’atteggiamento della direzione Ilva, che ha pensato bene di far attendere per oltre quattro ore fuori la porta un operaio che chiedeva soltanto di essere ricevuto per consegnare le 9000 firme dei suoi colleghi, pronti a sostenerlo ed aiutarlo fattivamente nel momento del bisogno. Sarebbe bastato riceverlo immediatamente, avviando un confronto sereno anche con i sindacati confederali, invece di trasformare una giornata nata all’insegna della solidarietà, nell’ennesima sceneggiata. Il tempo di per diramare l’ennesimo comunicato stampa però, l’Ilva lo trova sempre. Tempo che per Stefano è più che prezioso. Visto che, mentre tutti gli altri intorno a lui giocano a far la guerra, lotta per restare in vita. Non crediamo affatto che l’Usb abbia voluto strumentalizzare alcunché.

Ma nello stesso tempo sentiamo il dovere di richiamare ancora una volta tutti gli operai all’unità. Perché quelle 9000 firme parlano da sole. E testimoniano come il problema della salute e dell’inquinamento i lavoratori dell’Ilva lo conoscano a fondo e lo sentano nel profondo del loro cuore. Oramai la pentola è stata scoperchiata. Le tante inadempienze, da parte dell’azienda e dei sindacati, stanno lentamente venendo a galla. Crediamo sia dunque inutile continuare a farsi rappresentare da chi, per anni, ha contribuito a creare ciò che oggi è sotto gli occhi di tutti. Del resto, chi meglio degli operai conosce cosa è successo in tutti questi anni all’interno dell’Ilva? Chi meglio di loro conoscere responsabilità ed omissioni, a cominciare da loro stessi che tante volte hanno dovuto far finta di non vedere e non sapere?

A cosa serve continuare a restare disuniti ed a votare chi poi non è in grado di rappresentarli? Come sta finendo l’epoca della grande industria, sta finendo anche quella delle rappresentanze sindacali (e non certo per colpa della magistratura). I lavoratori non hanno bisogno di tessere di partito o sindacali per far valere i loro diritti: è giunto il tempo che anche loro prendano in mano il loro destino, altrimenti finiranno inevitabilmente per essere travolti dal corso degli eventi. I cui fili sono ancora oggi tirati da chi per anni ha inseguito altre logiche, sfruttando il loro lavoro. La loro salute. E la loro vita. C’era qualcuno che oltre 150 anni fa invitava tutti i proletari del mondo ad unirsi. Forse si è ancora in tempo per farlo e rovesciare così un sistema politico/economico giunto oramai alla fine.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 07.05.2013)

 

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