“Sentieri” di morte – Pubblicato lo studio sull’inquinamento dei Sin in Italia

di GIANMARIO LEONE

Porto Marghera, Gela, Taranto, Porto Torres e tanti altri ancora: sono i luoghi dove il boom economico del secondo dopo guerra ha issato i vessilli della grande industria, portando lavoro e “benessere”, ma soprattutto un inquinamento industriale senza precedenti che ha provocato uno sterminio nella popolazione italiana, in particolare in quella che abita e vive a due passi dalle grandi industrie.

E’ questo il messaggio che arriva dallo studio “Sentieri”, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e pubblicato sulla rivista “Epidemiologia & Prevenzione”. La ricerca, finanziata dal Ministero della salute di cui si ebbe una mini anticipazione nella scorsa primavera, analizza la situazione sanitaria di 44 delle 57 aree che attraverso una serie di decreti nel corso degli ultimi due decenni, i vari governi italiani hanno individuato siti da bonificare: si tratta dei famosi SIN (Siti Interesse Nazionale) dove le condizioni ambientali fanno ammalare e morire la popolazione più della media nazionale, soprattutto al Sud.

Prendendo in esame le statistiche sulla mortalità di queste aree (per un totale di 298 comuni con 5,5 milioni di abitanti) nel periodo che va dal 1995 al 2002, lo studio dell’ISS (Istituto Superiore Sanità) ha riscontrato un eccesso di mortalità rispetto alle medie regionali: si parla di 10 mila morti in più in otto anni rispetto al numero atteso se si considerano tutte le cause di morte. Cifra che scende a 3.508 decessi se invece si parla di malattie riconducibili al fatto di vivere vicino a impianti siderurgici e petrolchimici, raffinerie, inceneritori, discariche, porti, cave di amianto e miniere. Taranto possiede la maggior parte di questi insediamenti industriali: il siderurgico Ilva, la Raffineria Eni, le discariche Italcave, Ecolevante e Vergine (oltre quelle presenti all’interno del perimetro del siderurgico, n.d.r.), l’inceneritore sulla strada per Massafra, il cementificio della Cementir, il Porto.

Nello studio si parla di morti in eccesso per tumore alla pleura nei siti contaminati da amianto, per la presenza di cave di estrazione del minerale o di impianti di lavorazione. Così come si parla del “pesante bilancio sanitario vicino ai grandi impianti petrolchimici e siderurgici, come le raffinerie di Porto Torres e Gela,  le acciaierie di Taranto, le miniere del Sulcis-Iglesiente e la chimica di Porto Marghera, dove si registra l’aumento di mortalità per tumore al polmone e malattie respiratorie non tumorali”. Per non parlare dei decessi in aumento per insufficienza renale e altre malattie del sistema urinario riconducibili alle emissioni di metalli pesanti, composti alogenati e idrocarburi. Indiscreto aumento anche i decessi legati a malformazioni congenite associato all’inquinamento da metalli pesanti.

Lo studio fotografa la situazione sanitaria di una porzione rilevante del paese determinata dall’inquinamento industriale degli anni ’50-’70. Un tributo pagato dalle popolazioni locali all’industrializzazione del paese, che ha lasciato un segno pesante nella contaminazione dei suoli e delle falde, dei fiumi e nei tratti di mare antistanti le aree più critiche” ha dichiarato il coordinatore Pietro Comba, dell’Istituto Superiore di Sanità. “I prossimi passi prevedono l’analisi in queste aree delle malattie e dei ricoveri per vedere se a una aumentata mortalità corrisponde anche – come è prevedibile – una maggior carico di malattie di natura ambientale, e quanto questa situazione perduri ancora oggi”.

Sommando tutti questi casi si arriva al totale di 3.508 morti in più dal 1995 al 2002 rispetto alle rispettive medie di mortalità regionale, pari a 439 casi eccedenti all’anno: ma questi dati non sono che la punta dell’iceberg dell’impatto sanitario da cause ambientali. La stima, infatti, se da un lato considera solo un decimo della popolazione italiana, dall’altro si limita a considerare le malattie che possono essere associate “con un certo grado di certezza a cause ambientali in base alla letteratura scientifica consolidata”.

Seguendo questo processo analitico quindi, restano fuori esclusi, malattie come il tumore al seno, il diabete ed alcuni disturbi neurologici che secondo alcune ipotesi avanzate negli ultimi anni, potrebbero avere almeno in parte una spiegazione ambientale. L’analisi, infine, considera solo la mortalità, quindi non misura adeguatamente le malattie non letali. Lo studio “Sentieri” però, non vuole lasciare nulla di intentato. Per questo, se invece si va a considerare tutto il complesso delle varie cause di morte, l’eccesso sale a 9.969 casi (oltre 1.200 casi all’anno), quasi tutti concentrati nel Sud Italia (8.933 decessi).

I maligni però, sono sempre dietro l’angolo, come avvoltoi silenti. Come sapere se queste morti non riguardano solo o soprattutto gli operai che hanno lavorato e lavorano nelle industrie interessate dallo studio? La risposta è quanto mai chiara. E letale. “Ce lo dice il fatto che per quasi tutte le malattie considerate la mortalità ha riguardato sia gli uomini sia le donne e tutte le classi d’età. Tutta la popolazione quindi è stata più o meno interessata dalla contaminazione diffusa” spiega l’autrice di Sentieri Roberta Pirastu, della Sapienza di Roma.

Una popolazione che, già penalizzata da condizioni socioeconomiche sotto la media, deve per giunta fare i conti con una maggiore concentrazione di attività inquinanti” aggiunge Francesco Forastiere del Dipartimento di epidemiologia della Regione Lazio. “Loro pagano in prima persona con morti e malattie, mentre le bonifiche, in forte ritardo, le paga tutta la collettività e quasi mai i privati che hanno determinato queste situazioni”.

Nei prossimi anni partirà inoltre una serie di studi di bio monitoraggio umano e analisi di alcuni alimenti, per colmare le lacune della ricerca attuale. Lo studio Sentieri è infatti di tipo geografico-descrittivo, e non ha potuto misurare direttamente l’esposizione delle popolazioni ai diversi inquinanti. I morti in più sono solo un importante ed ulteriore campanello d’allarme di una situazione degradata. Manca però l’individuazione puntuale delle sostanze killer e del modo in cui queste – dal suolo, dalle falde e dai corsi d’acqua – abbiano contaminato le persone. Le ipotesi però non mancano.

Si ipotizza che questi inquinanti migrino dai terreni agli ambienti domestici sotto forma di vapori” spiega Loredana Musmeci, dell’Istituto Superiore di Sanità. “Un’altra via importante di contaminazione è attraverso il consumo di alimenti, in particolare verdure e pesce”. Una caratterizzazione chimica dei terreni inquinati e campagne di analisi del sangue e di altri liquidi biologici della popolazione esposta consentiranno di formulare un quadro preciso della contaminazione ambientale, nonché un piano efficace di risanamento di questa Italia avvelenata.

Qualcuno leggendo le analisi dello studio “Sentieri” ritrova una “vaga” descrizione della nostra città?

g.leone@tarantooggi.it

 

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