Ilva: in quale altra realtà italiana l’avrebbero mai tollerata?

Una fabbrica che inquina da oltre 50 anni, un’altra che continua ad aumentare la produzione, una previsione di raddoppio di traffico di petroliere nel porto, un elevato numero di inceneritori nel territorio, un mare interno inquinato, suoli e falde contaminate in ampie aree interne ed adiacenti alla zona industriale, bonifiche che non decollano, scuole impraticabili nei giorni di vento, divieto per i bambini di giocare nella terra, eccesso di mortalità per tumori ed eccesso di malattie cardio-respiratorie: non esiste in Italia una situazione simile a quella di Taranto.

Ci chiediamo come reagirebbero i cittadini di una qualunque altra realtà in Italia se dovessero subire delle scelte simili a quelle imposte a noi. Immaginate Genova come avrebbe protestato se avesse mantenuto l’area a caldo di Ilva e avesse perso oltre 3.000 posti di lavoro: pensate che un qualunque governo l’avrebbe passata liscia se avesse avallato una scelta simile? Difficile davvero anche pensarla una industria come Ilva a ridosso di una qualunque altra città.

Certamente al Nord una industria così l’avrebbero già chiusa da anni. Non esistono più industrie così impattanti da un punto di vista ambientale nelle regioni più ricche del Centro-Nord. Porto Marghera era forse una realtà paragonabile a quella di Taranto per impatto ambientale, ma ormai ha subito un profondo processo di riconversione economica e produttiva.

Il polo chimico da anni subisce un ridimensionamento e una trasformazione. Benché le insufficienti bonifiche siano il grande problema di quell’area, la situazione tende comunque a migliorare grazie a precise scelte politiche e produttive. Attualmente si è attuata in quella zona del Veneto una strategia di grande diversificazione produttiva. Lì dove dominavano poche aziende ad elevato impatto ambientale che occupavano un enorme numero di operai, ora vi sono oltre 800 industrie manifatturiere che occupano oltre 10.000 persone.

In generale, al Nord, piuttosto che su grandi industrie mono-prodotto, si è preferito puntare su produzioni ridotte ma di alta qualità capaci di generare maggiore valore aggiunto e minore impatto ambientale. Fabbriche più piccole e più capaci di adeguarsi ai cambiamenti che il mercato e i consumatori impongono: meno giganti industriali e diversificazione diffusa è ormai la tendenza produttiva al Nord e al Centro messa in atto dai moderni imprenditori.

Lo stesso mercato dell’acciaio al Nord-Est è fatto di piccole acciaierie che arrivano a produrre complessivamente oltre otto milioni di tonnellate (più di Ilva a Taranto) occupando circa 30.000 addetti. Un enorme affare che mette in moto una filiera che coinvolge imprenditori che trasformano in loco l’acciaio in una infinità di manufatti, favorendo occupazione e generando ricchezza. La immaginereste un’Ilva a Bolzano? Oppure in Toscana attaccata a Siena o a Pisa? Oppure a Perugia o a Rimini? Sarebbe assurdo, probabilmente scoppierebbe la rivolta in queste città se qualcuno imponesse una presenza industriale come quella di Taranto.

Situazioni del genere restano ormai proponibili solo al Sud, e nelle Isole. In Sardegna per esempio, dove in provincia di Cagliari vi è la presenza di una delle più grandi raffinerie d’Europa, oppure a Brindisi con la centrale termoelettrica, oppure a Gela con un’altra raffineria. Insomma, rispetto agli anni ‘60 e ‘70 in cui le grandi industrie del Sud erano considerate cattedrali nel deserto gestite soprattutto dallo Stato, oggi poco è cambiato e anzi, il passaggio di gestione al privato ha addirittura esasperato il ricatto occupazionale, considerando la crisi economica e le minori garanzie dei lavoratori rispetto alla gestione pubblica.

Ma perfino qui al Sud, in tante città, una realtà come Ilva sarebbe impensabile. Napoli, Bari, Lecce, Salerno non accetterebbero mai di cedere al ricatto occupazionale, specialmente ora che hanno sviluppato politiche che puntano molto su turismo ed eno-gastronomia. Insomma, il lavoro sporco, tanto importante per l’economia nazionale, lo facciamo davvero in pochi in Italia e non per caso ciò avviene nelle zone più depresse e povere e incapaci di far valere i propri diritti.

E i governi che fanno? Tutti le stesse cose, cioè molto poco per il Sud. Tutto sommato, il modello economico italiano va bene così com’è a tanti che ci guadagnano da un Meridione facilmente sfruttabile e ricattabile. L’industria di Taranto mette poi in moto una filiera nazionale dell’acciaio che sarebbe sconveniente scombussolare. Genova inoltre non gradirebbe chiusure e riconversioni a Taranto e Genova conta molto più di Taranto, questo è certo e la storia ce lo insegna.