Diossina a Taranto: una lunga storia con dettagli da chiarire

Accese polemiche, in questi giorni, hanno visto parte del mondo ambientalista locale e alcuni consiglieri regionali schierati da una parte e il direttore scientifico di Arpa Puglia Massimo Blonda dall’altra sul caso picchi di diossina a Taranto riscontrati come valori deposimetrici in via Orsini nel Novembre 2014 e febbraio 2015. Le polemiche riguardano l’interpretazione della relazione finale con cui Arpa Puglia spiega le cause all’origine dei valori di concentrazione abnormi riscontrati nei due mesi in oggetto.

La relazione chiarisce che la diossina misurata nel quartiere Tamburi è senza dubbio di origine Ilva, non chiarendo del tutto il modo in cui sia finita nel deposimetro di via Orsini e nei terreni circostanti. Della questione abbiamo aggiornato a più riprese i lettori di Inchiostroverde (leggi qui). Il caso diossina a Taranto si è sviluppato a partire dal 2008, quando Peacelink fece analizzare un pezzo di formaggio proveniente da una azienda agricola vicina all’Ilva. Il formaggio conteneva 4,28 picogrammi di diossina e 15,22 di PCB per grammo di grasso, oltre i limiti di legge che erano di 3 picogrammi per diossine e 6 per diossine + PCB.

All’epoca i limiti di emissioni industriali di diossine e furani erano di 100 ng/Nm3. Con la Legge Regionale n. 44 del 19 Dicembre 2008 furono portati prima a 2,5 fino al 31 dicembre 2010) e poi a 0,4 ngTEQ/NmD. Malgrado la riduzione dei limiti di emissioni consentite e l’effettivo abbattimento di esse (il camino dell’impianto di agglomerazione di Ilva passò da emissioni di 8 ngTEQ/Nm cubo a 0,2), il rischio diossina non è per nulla scomparso a Taranto.

Negli anni seguenti si sono appurati vari casi di contaminazione da diossine e PCB. È del 2010, per esempio, l’allarme lanciato da Fabio Matacchiera sulla contaminazione delle lumache raccolte nei pressi dell’area industriale. Nel 2011 diossina e PCB furono ritrovati con valori sopra i limiti consentiti anche in alcuni campioni di mitili provenienti dal primo seno del Mar Piccolo. Nei mesi che andavano da giugno ad ottobre 2011, i mitili prelevati mostravano valori di non conformità all’uso alimentare per il parametri diossine e PCB e tali valori erano coerenti con i superamenti delle soglie di attenzione nei sedimenti marini ove venivano allevati i mitili. Fu quello l’anno in cui tonnellate di mitili furono distrutti dall’AMIU e trattati come rifiuti speciali.

Dal 2011 ad oggi permane ancora, grazie a varie ordinanze regionali, il divieto di allevamento mitili nel primo seno o in alternativa la possibilità di allevarli per i primi mesi con obbligo di controllo e di distruzione nel caso di evidente contaminazione. Di fatto, la gran parte dei mitilicoltori hanno trasferito le proprie attività in Mar Grande o nel secondo seno del Mar Piccolo. Si calcolano in diversi milioni di euro i danni per la mitilicoltura causati dall’inquinamento da diossine e PCB dal 2011 ad oggi.

La diossina è un composto organico persistente, i cui tempi di degradazione sono molto lunghi. La sua azione nell’organismo umano è neurotossica e genotossica. La Convenzione di Stoccolma del 2001 impegnò gli stati che la firmarono a bandirla o a ridurne al minimo la produzione. Essa si accumula nella piramide alimentare. Dalle fonti inquinanti arriva nelle acque, nel suolo, nei sedimenti. Attraverso i foraggi, pascolo e mangimi contaminati arriva agli animali da allevamento e da questi all’uomo attraverso la carne e i prodotti animali quali uova e latte.

Come spesso avviene con gli inquinanti liposolubili, la diossina tende ad accumularsi nella piramide alimentare, concentrandosi sempre più verso il vertice di essa. I livelli di diossine accumulati sono direttamente correlati alla durata della vita, a parità di condizioni di assunzione. Nel 2012, una pubblicazione di Iavarone, De Felip et al. ha evidenziato come la presenza di metalli pesanti, diossine e PCB nei lavoratori di allevamenti zootecnici del tarantino sia direttamente proporzionale alla vicinanza dall’area industriale in cui essi operano e influenzata dall’età anagrafica, raggiungendo, in alcuni casi, valori significativi e indicativi di evidente contaminazione.

Sempre dello stesso anno è uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità nell’ambito del progetto Womenbiopop per valutare la presenza di diossine e PCB in oltre 80 donne suddivise tra le aree di Taranto e Laterza. Lo studio non ha evidenziato livelli di contaminazione significativamente differenti tra le donne di Taranto (area più inquinata) e quelle di Laterza (area presa come riferimento in quanto ritenuta non inquinata). Questo studio è stato fortemente criticato da Peacelink ed altri che hanno ritenuto il campione scelto non valido, in quanto formato da donne di giovane età ( tra 20 e 40 anni) in cui la diossina non ha avuto il tempo di accumularsi in modo significativamente differente nei due gruppi.

Sicuramente, a partire dal 2008, grazie soprattutto all’iniziativa di singole associazioni e ambientalisti, il tema diossina è centrale nella valutazione del rischio sanitario a Taranto. Da qualche anno la ASL effettua regolarmente prelievi di campioni nella filiera alimentare, registrando in rari casi superamenti dei livelli consentiti per diossine e PCB. Anche in questo caso Peacelink contesta la metodica operata dalla ASL per i controlli che si svolgono in percentuali predominanti nel latte vaccino, prodotto in cui la diossina si concentra meno che nelle carni.

Il vero problema della diossina è l’accumulo e la lenta degradazione. Seppure le fonti inquinanti si fermassero domani, il primo seno del Mar Piccolo, le aree industriali e i loro confini nel raggio di diversi chilometri, aree importanti del Quartiere Tamburi risulterebbero contaminati ancora per diversi anni.

Essenziali sono quindi le bonifiche e il blocco delle fonti inquinanti. Le bonifiche risultano però, in alcuni casi, procedere a rilento, come per esempio in Mar Piccolo, dove si studiano ancora le metodiche più opportune di intervento e addirittura l’opportunità o meno di intervenire. Nel 2015 la Regione Puglia ha finanziato per 480.000 euro un progetto di Arpa Puglia, in collaborazione con il Dipartimento di Veterinaria dell’Università di Bari, della durata di 24 mesi, che avrà lo scopo di monitorare in modo capillare tutta la filiera alimentare, evidenziando eventuali criticità riscontrate nei campioni analizzati (leggi qui).  È quindi decisamente di attualità il rischio diossina a Taranto e le autorità sanitarie e di controllo ambientali dovranno continuare a valutare livelli di inquinamento ed eventuale rischio sanitario per la popolazione, in un’area in cui la diossina è solo uno dei tanti aspetti che concorrono a tenere alta l’attenzione.

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