Ex oleificio Costa: un rudere pieno di amianto alle porte di Taranto

costa 1TARANTO – Lo si incontra al termine della strada statale 106, entrando in città, quel complesso di capannoni, costruzioni, cisterne e abitazioni che sembrano venuti fuori dalle suggestioni oniriche del regista David Lynch. Un paesaggio dantesco che attrae perché surreale, simile a ciò che resterebbe di una fabbrica dopo un bombardamento aereo o una guerra nucleare.

Omogeneamente colorato di rosa scuro, a testimoniare oltre venti anni di sedimentazione di polveri di minerale proveniente dall’Ilva, per quello che fu prima l’Oleificio Costa e poi il Gruppo Oleario Italiano, il tempo sembra essersi fermato agli anni ’90, quando cessò la produzione di olio.

Lunga e travagliata la storia dello stabilimento oleario che nacque grazie alla famiglia Costa, titolare di una società genovese attiva già dalla metà dell’800 che si occupava di commercio di olio per uso alimentare in particolare col mercato americano. La storia, questa, di una società di commercianti che fece del vincolo di appartenenza familiare la propria forza, tanto da impiegare nel business dell’olio fino a 150 discendenti del capostipite Andrea Costa.

Tanti stabilimenti oleari sparsi in Italia (Belloli di Inveruno, in provincia di Milano, Vignole Borbera in provincia di Alessandria, Palo del Colle in provincia di Bari, Sampierdarena a Genova). Lo stabilimento oleario di Taranto nasce alla fine degli anni ’50 ed era, per l’epoca, all’avanguardia tra le aziende del settore.

Una società sotto certi punti di vista attenta al benessere degli operai già nel dopoguerra, quando favorì politiche a favore dei più anziani che potevano contare, una volta andati in pensione, di vitalizi integrativi a supporto delle piuttosto misere pensioni INPS. Olio di buona qualità, lotta alle frodi alimentari e investimento nella pubblicità (presenti nelle primissime serie di Carosello con la pubblicità del marchio Olio Dante con testimonial Peppino de Filippo, Sergio Tofano e la coppia Panelli-Valori) furono il segreto del successo della ditta Costa.

Non mancarono purtroppo dei gravi incidenti anche mortali che colpirono alcuni operai dell’oleificio. Dagli atti parlamentari del 18 gennaio 1961 si legge in una interrogazione del deputato Bogoni all’allora ministro del Lavoro e della Previdenza sociale Sullo: “per sapere se sia al corrente dei gravi infortuni avvenuti nell’oleificio Costa di Taranto, dove, a distanza di otto giorni, si sono verificati due incidenti mortali. L’interrogante chiede di sapere quali sono i provvedimenti che il ministro intende prendere per garantire l’osservanza delle norme e delle leggi contro gli infortuni”.

costa 2Ecco la risposta del ministro Sullo: «L’ispettorato del lavoro di Taranto, tempestivamente informato dei due incidenti mortali avvenuto presso l’oleificio Costa il 17 ed il 25 ottobre 1960, ha esperito con opportuna urgenza le relative indagini, trasmettendone, successivamente, le risultanze in un rapporto giudiziario alla Magistratura. Gli infortuni sono stati causati, l’uno dal rovesciamento di un trasportatore che si è abbattuto sul lavoratore Luigi Carratù, l’altro dalla caduta del lavoratore Luigi Conversano sul fondo di una cisterna che aveva contenuto glicerina e nella quale persistevano odori nocivi» (leggi qui).

Lo stabilimento di Taranto era all’avanguardia, soprattutto negli anni ’70, per la produzione di oli di semi di arachidi e girasole e per la raffinazione della sansa e del vinacciolo. I marchi Dante e Oio erano il fiore all’occhiello dell’industria olearia ma, già dalla seconda metà degli anni ’70, gli affari presero una cattiva piega. Troppo complicata la gestione della società con diversi rami affidati a componenti della famiglia ed operazioni bancarie di esposizione finanziaria che portarono nel 1984 alla cessione del settore oleario a multinazionali del settore.

Lo stabilimento di Taranto, invece. fu acquistato da una società calabrese che fondò il Gruppo Oleario Italiano che riassorbì molti degli ex operai della Costa e rilancio la produzione dello stabilimento che toccò tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 gli oltre 500 mila quintali. Il Gruppo Oleario si specializzò nella raffinazione di oli provenienti da Grecia, Tunisia, Spagna che poi rivendeva alle grandi aziende alimentari quali Carapelli, Star, Monini, Dentamaro.

costa 4Nei primi anni ’90 arrivò però il fallimento della società con l’abbandono della struttura che finì nelle mani di un curatore fallimentare e con la messa in cassa integrazione di gran parte degli operai. Da allora l’abbandono quasi totale dell’ex stabilimento di produzione olearia, dei capannoni con i tetti in Eternit e delle abitazioni del tutto fatiscenti che un tempo furono le residenze dei dirigenti delle società proprietarie. Già nel 2006 la Regione Puglia stanziò oltre 10 milioni di euro per interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica del sito che mostrava un elevato rischio di pericolosità ambientale (leggi qui).

Non sappiamo con certezza se mai è stato compiuto un vero intervento di bonifica. Sembrerebbe di no, visto che ancora oggi parte degli edifici sono coperti da pannelli ondulati Eternit sopravvissuti al tornado di fine 2012 che li disperse in ogni dove. Sarebbe allora interessante sapere se quei 10.400.000 euro stanziati nel 2006 siano stati effettivamente spesi per interventi di risanamento ambientale dell’ex stabilimento Costa. Ecco copia della deliberazione del 14/03/2007 dell’allora Commissario Prefettizio Tommaso Blonda che autorizzava una spesa di 5.000.000 di euro per caratterizzazione e messa in sicurezza del sito (leggi qui).

IL SEQUESTRO DEL 2010

Nell’ottobre del 2010, l’intero complesso immobiliare sul quale sorgeva l’oleificio fu sequestrato dai militari della finanza per violazioni in materia igienico-sanitaria e di tutela della salute pubblica. I capannoni presenti nell’area risultavano interamente coperti con pannelli di eternit danneggiati. Una persona fu denunciata. I capannoni erano rivestiti con pannelli in cemento-amianto contenenti fino al 20% in peso di fibre di amianto. I silos, interamente ripieni di residui di lavorazione, lasciati per diversi anni incustoditi senza alcuna precauzione per evitare accidentali sversamenti a terra, nonché i capannoni, si presentavano – riferirono gli investigatori – come strutture fatiscenti, senza alcun accorgimento necessario per mettere in sicurezza ed evitare la dispersione di fibre di amianto e di altre sostanze pericolose ed inquinanti nell’aria, suolo e sottosuolo (leggi qui).

costa cartello

CANTIERE APERTO

Infine, veniamo all’attualità segnalando l’avvio del cantiere per la “messa in sicurezza dell’area, la rimozione e lo smaltimento dei manufatti contenenti amianto in matrice compatta”, da parte della Ecosistem. L’importo dei lavori è di 300.000 euro.

Nel cartello affisso sulla recinzione eretta a protezione dei lavori spicca il nome della società committente: la Calme Cementi, facente parte della Calme Group e presente a Taranto con un importante centro di macinazione, disponendo anche di cave di estrazione di calcare.

La data presunta di inizio lavori era il 7 marzo 2016, quella di conclusione il prossimo 27 maggio. Cercheremo di capire, nei prossimi giorni, cosa intenderà fare la società committente dell’area dell’ex oleificio una volta bonificata e resa utilizzabile. Vi forniremo presto ulteriori aggiornamenti.

Giuseppe Aralla

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