TARANTO – Non solo Ilva. Stavolta accendiamo i riflettori su quanto combina la raffineria Eni sul territorio ionico. Tanto per cominciare, diciamo che la seconda parte del 2015 ha sancito un peggioramento dei picchi di emissione di acido solfidrico. Un fenomeno che si è intensificato a partire da settembre raggiungendo dei livelli particolarmente elevati a gennaio 2016. Lo dice chiaramente il dottor Roberto Giua, direttore del Centro Regionale Aria di Arpa Puglia, intervenuto questa mattina all’ex ospedale Testa per incontrare i cittadini coinvolti in via sperimentale nel progetto di monitoraggio delle emissioni odorigene nella città di Taranto (OdorTel).
Il progetto, in corso dal novembre 2013, riguarda l’applicazione di un innovativo sistema di monitoraggio delle molestie olfattive, basato sulla partecipazione della popolazione residente, in grado di intercettare in tempo reale l’evento odorigeno. Nel corso dell’incontro odierno, sono stati presentati i dati sperimentali relativi al secondo semestre 2015. Insieme a Giua erano presenti anche il direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, e il dirigente Gianluigi De Gennaro.
Come si spiega l’intensificazione di questi picchi? «Non è facile spiegare questi fenomeni – dice il dottor Giua a InchiostroVerde – sappiano che a gennaio ci sono stati livelli particolarmente elevati. Stiamo parlando di acido solfidrico e di altre sostanze a base di zolfo, tipicamente prodotte nel ciclo della Raffineria». Sull’origine di questi picchi pare non esserci alcun dubbio. Sotto accusa è sicuramente l’Eni che continua a contraddistinguersi per il suo approccio negazionista nei confronti della problematica che colpisce i tarantini a partire dalle narici. Eppure, spiega Giua, tutti gli elementi giocano contro la Raffineria: «I dati elaborati negli ultimi 2-3 anni, la direzione del vento quando si verificano i cattivi odori».
E Giua mette in evidenza come le segnalazioni dei recettori umani corrispondano ai dati critici raccolti dall’Agenzia. «Il sistema sperimentale adottato a Taranto – continua Giua – si è rivelato attendibile ed affidabile. Le segnalazioni vengono avvalorate dai risultati delle analisi dell’aria effettuate nei nostri laboratori. Viene dimostrato, quindi, il nesso causale». La validità scientifica del progetto è stata confermata dalla pubblicazione di uno studio su una rivista scientifica molto quotata – “International Journal of Environmental Research and Public Health” – dal titolo “Automated Collection of Real-Time Alerts of Citizens as a Useful Tool to Continuously Monitor Malodorous Emissions”. Questi gli autori: Magda Brattoli, Antonio Mazzone, Roberto Giua, Giorgio Assennato e Gianluigi De Gennaro.
All’inizio del 2015. sembrava che si andasse verso un miglioramento sul fronte delle emissioni odorigene. Una pia illusione. Qualcosa, infatti, nel corso dell’anno è cambiato: in peggio. «Bisogna lavorare sulle cause: fenomeni fisiologici o criticità impiantistiche non ancora risolte – continua Giua – l’attuale situazione non ci fa essere ottimisti per il futuro, quando si realizzerà il progetto Tempa Rossa che prevede l’arrivo nella raffineria Eni di Taranto di petrolio proveniente dalla Val D’Agri, definito dallo stesso Giua “particolarmente impuro” e di “bassa qualità”. Insomma, c’è poco da stare sereni. Il tutto con la complicità delle istituzioni locali e nazionali.
Alessandra Congedo
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