“Belli di papà”? Un film sulla fertile “Terronia”
Taranto ripresa dal regista Guido Chiesa nella pellicola Belli di papà è una terra verace, un groviglio affascinante, dal quale emerge l’anelito del riscatto. Chi si è sentito colpito nell’orgoglio dallo scenario degradato del centro storico e dai fumi dell’industria noti al mondo come souvenir (nel film c’è una battuta: «Ma qui non siamo ai Caraibi… »), dovrebbe invece riflettere sul messaggio del lavoro finanziato da Colorado, che nel weekend di Ognissanti è risultato primo al botteghino con un ricavo di quasi un milione e mezzo di euro.
Questa commedia densa di battute, nella quale il capo-comico Diego Abatantuono è travolgente, consegna al pubblico una storia che è tagliata per i tempi moderni. Rimescolando con una sceneggiatura viva l’originale opera messicana Nosotros los nobles, il torinese Chiesa (apprezzato per i seriosi Il partigiano Johnny e Lavorare con lentezza), seppur con una regia difettosa (inquadrature convenzionali e tagli nel montaggio eccessivi), rende onore al sentimento «terrone». Nella boscaglia dei paradossi (l’ambiente mediterraneo sporcato dall’industria, la provincia al chiaroscuro tra radici umane e cementificio, la ristorazione gustosa ma non «a regola») la gente alla lunga dona il suo sentimento miracoloso. Allora lo scenario permette uno escamotage familiare severo, ma finalizzato all’educazione.
Tornato a Taranto ventisette anni dopo il film Figli di Annibale, Abatantuono, affascinante settantenne, firma una nuova fuga degna dei latitanti. Finge di sviare alle manette per bancarotta fraudolenta ed affronta, su una Fiat Panda inverosimile, coi figli bamboccioni, il viaggio con destinazione Taranto. È la terra della sua infanzia, di un amore clandestino e mai dimenticato. È la terra in apparenza arida, perché capace di diventare fertile se lavorata con l’amore. Lasciandosi alle spalle la sua azienda ricca (lo scenario è la Camera di Commercio di Taranto), spinge i giovani viziati (il trio Andrea Pisani-Francesco Di Raimondo-Matilde Gioli è talentuoso) ad un ambiente di stenti (la casa decadente è nel Vico Paisiello, adesso realmente in preda all’incuria), nel quale dovranno far qualcosa mai fatta per sopravvivere: lavorare. Il finale svela il riscatto sociale dei figli, capace di far mondare un padre peccatore: da spocchiosi e fannulloni settentrionali a generosi lavoratori trapiantati nel Sud con il seme dell’amore. Taranto? È una città che ispira e che alla lunga affascina. Merito del cinema-verità.
Alessandro Salvatore (La Gazzetta del Mezzogiorno)
N.B. In questi giorni InchiostroVerde ha pubblicato alcuni comunicati stampa (Confcommercio, M5S) che esprimono forti critiche nei confronti della Apulia Film Commission per aver finanziato un film girato a Taranto che offenderebbe la città. Ci è sembrato giusto, quindi, ospitare un punto di vista opposto che permette di leggere e interpretare diversamente il senso di “Belli di papà”.