Ilva, tra ricatti e feriti – Confindustria minaccia mobilità per lavoratori indotto

Lo stabilimento Ilva visto dai tetti del quartiere Tamburi, 19 settembre 2013.ANSA / CIRO FUSCOTARANTO – C’è qualcuno che sulla vicenda Ilva ha deciso di giocare sporco, soffiando sul fuoco che cova sotto la cenere. Con il concreto rischio di scatenare una perfida guerra tra lavoratori. Basti pensare che anche ieri mattina, nonostante le rassicurazioni del giorno prima, molti lavoratori dell’Ilva hanno ricevuto sui loro cellulari sms che li mettevano in guardia sulla possibilità di non ricevere il premio di produzione (che si aggira intorno ai quattrocento euro e che viene garantito in due tranche, in primavera/estate ed a fine anno).

Una guerra psicologica nella quale ognuno tira acqua al proprio mulino. Perché nella vicenda dell’Ilva, che tocca interessi nazionali ed internazionali, nessuno vuole rischiare di restare con il cerino in mano alla fine dei giochi: e per farsi valere, in questi casi, conta quanto “potere” d’azione e di persuasione hai. E quello che puoi mettere sul tavolo. Un gioco al quale partecipa senza “problemi” anche Confindustria Taranto. Che ha letteralmente minacciato i lavoratori delle ditte dell’indotto e dell’appalto di non pagare gli stipendi e le tredicesime, qualora l’Ilva non eroghi quanto le ditte attendono in termini di fatture insolute. Sino ad arrivare alla mobilità coatta.

Dopo aver ottenuto un “assegno” da 34 milioni di euro lo scorso settembre con la prima tranche del prestito ponte, Confindustria Taranto si attendeva infatti un altro assegno ancora più pesante dopo la concessione della seconda tranche da parte delle banche: ben 50 milioni di euro. Che l’azienda al momento non ha. Perché solo per pagare stipendi di novembre, tredicesime e premi di produzione ai lavoratori diretti di Taranto e degli altri stabilimenti Ilva in Italia (a cominciare da Genova dove ieri è stato sospeso lo stato di agitazione proclamato dai sindacati alla notizia che l’azienda il 10 verserà regolarmente anche il premio di risultato), se ne andranno tra i 70 e gli 80 milioni di euro. I restanti serviranno per l’attività ordinaria dell’azienda.

Per indotto, appalto e fornitori (quest’ultimi vantano ben 440 milioni di scaduto) resteranno quindi le briciole. E a fronte di questa situazione, Confindustria Taranto è pronta a chiudere le aziende, a non pagare stipendi e tredicesime ed a mettere in mobilità i lavoratori. Un’azione di forza atta ad aizzare e ad esasperare gli animi, visto che nessuno (a cominciare dai sindacati che hanno giudicato come irricevibile la posizione degli industriali tarantini nell’incontro di mercoledì) crede al fatto che le aziende dell’appalto e dell’indotto Ilva, almeno le maggiori che lì operano (come ad esempio la COMES spa del presidente Vincenzo Cesareo, o grandi ditte come la GIOVE Srl e la LACAITA Srl), non abbiano la liquidità necessaria per anticipare gli stipendi e le tredicesime ai loro dipendenti. Almeno per questo mese.

E’ chiaro che le ditte debbano avere quanto spetta loro: su questo nessuno può dire il contrario. Però è altrettanto vero che ai lavoratori vadano garantiti tutti i diritti, specie in un momento difficile come questo: brandire la spada della mancata retribuzione e addirittura quella della mobilità, oltre ad essere un ricatto in stile padron Riva oggi rinnegato da tutti anche tra gli industriali tarantini, potrebbe essere una mossa controproducente in tutti i casi.

Perché è chiaro che qualora avvenisse quanto prospettato da Confindustria, i lavoratori dell’indotto e dell’appalto, e delle ditte fornitrici, diventerebbero incontrollabili. E soprattutto prenderebbero di mira i loro colleghi “privilegiati” perché impiegati diretti dell’Ilva (già si ipotizzano picchetti e blocchi alle portinerie del siderurgico). Da un lato infatti avremmo quest’ultimi (in tutto 11.500 persone) che entro Natale avranno una busta paga pesante con stipendio di novembre, tredicesima e premio di produzione; dall’altra i lavoratori dell’indotto e dell’appalto (4-5.000 persone) senza un euro: la classica guerra tra lavoratori da sempre temuta in questa città. E da evitare con il buon senso.

Intanto, nella giornata di mercoledì, si è verificato l’ennesimo incidente dell’anno all’interno dell’Ilva, con un lavoratore che ha rischiato di perdere il dito di una mano. Il tutto è accaduto nel reparto tubificio, ed ha visto come protagonista un lavoratore che stava operando su una macchina (una spazzolatrice IV 6), che secondo indiscrezioni potrebbe aver subito una modifica tra un turno e l’altro, cosa che avrebbe tratto in inganno il lavoratore che pensava di dover riprendere un lavoro iniziato precedentemente, su un preciso diametro di un tubo.

Così non è stato ed un pezzo della macchina gli è caduto sulla mano (per fortuna non sul corpo, cosa che avrebbe avuto conseguenze ben più gravi). Risultato, 15 punti di sutura alla mano più varie lacerazioni. La Fiom Cgil ha chiesto anche un incontro all’azienda, perché tra le altre cose pare che il lavoratore stesse operando da solo alla macchina, che inizialmente aveva garantito una convocazione sino a ieri però inevasa. Questo è quanto accade all’esterno ed all’interno del più grande siderurgico d’Europa, che oggi più che mai appare del tutto fuori controllo. Con tanti, troppi avvoltoi pronti a sfruttare il momento per propri tornaconti personali. E ancora una volta, a fare la parte delle prede, saranno i cittadini tutti. Lavoratori e non.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 05.12.2014)

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