Abbiamo rinunciato a tante, troppe cose. Un tempo era “proibito” dire di sì. Oggi più che mai sembra proibito dire di “no”. La rinuncia, un tempo considerato un valore, oggi assomiglia ad un’onta morale. Eppure dire di “no” è una delle poche forme di resistenza attiva che oggi ci è rimasta. Ci siamo fatti imporre di tutto. Assecondiamo mode e tendenze quasi come fossero tanti piccoli messia. Per cambiare una società ed una realtà, oltre alla lotta quotidiana sul territorio sempre più appannaggio di pochi, basterebbe dire tanti piccoli “no”. Per conservare la nostra vera essenza, la nostra anima, i nostri sogni e desideri. Per non lasciarci contaminare ancora di più. Per far rinascere quel bambino che è rimasto in ognuno di noi. Per tornare ad essere consapevoli del fatto che le scelte, di qualunque natura, dipendono sempre e soltanto da noi. E da nessun altro.
Torniamo a dire di “no”, proprio come quando eravamo bambini. Ripartiamo da noi stessi, riappropriamoci della nostra vita, dei nostri pensieri. Torniamo ad essere bambini nel senso più profondo del termine. In fondo, ognuno di noi ha bisogno di un abbraccio in cui lasciarsi andare e due occhi da guardare. Che siano di un amico o di un compagno poco importa. Tutti noi abbiamo un maledetto bisogno di “condividere”, toccandoci e sentendoci di pancia. Non nell’anonimato di uno schermo di un telefonino o nella fredda e squallida realtà di un social network. “Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è esserci seduto accanto e sapere che non l’avrai mai” (Gabriel José de la Concordia García Márquez, soprannominato Gabo, Aracataca, 6 marzo 1927 – Città del Messico, 17 aprile 2014). Salviamoci finché siamo ancora in tempo.
Gianmario Leone (TarantOggi, 28.07.2014)
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