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Amarcord – Ciò che eravamo. E ciò che siamo

Nel giro di qualche anno ci siamo chiusi sempre più in noi stessi. Abbiamo iniziato a parlare di meno. A vivere e condividere sempre di meno. Ci siamo fatti mangiare il cervello e l’anima da una tecnologia sempre più esasperata ed imperante. Fino a trasformarci nella società di rincoglioniti che oggi siamo. Tutti con un telefono in mano. Camminiamo con la testa verso il basso, come qualche milione di anni fa facevano i nostri antenati. Guidiamo e mangiamo con un telefonino in mano. Stiamo più sui social network che per strada o nelle piazze. E quando usciamo di casa, invece di parlare tra noi, stiamo sempre a controllare attraverso il telefono casomai qualcuno ci abbia scritto su facebook o chissà dove. Stiamo continuamente a farci foto e a postarle immediatamente per “condividerle” con i nostri amici virtuali. Si vive e si consuma tutto ad una velocità e ad una superficialità insostenibile. E le generazioni che abbiamo alle spalle appaiono ai nostri occhi geneticamente modificate.

Stiamo sempre a lamentarci, ad annoiarci, ad inseguire sogni e desideri, ma non ci siamo accorti che siamo noi stessi ad aver distrutto e abbandonato un certo modo di stare nel mondo. Critichiamo, ci indigniamo, protestiamo, ma in realtà abbiamo assecondato il tutto senza opporre resistenza. Non è dato sapere se sia mancata la forza o la voglia per farlo. O entrambe. Forse abbiamo ingenuamente creduto di restare sempre gli stessi. Che la contaminazione tecnologica fosse gestibile o qualcosa di positivo, al passo con i tempi di una società più “moderna” e più “aperta”.

Ed invece abbiamo finito per diventare l’esatto contrario. Ed oggi ci lamentiamo della mancanza di rapporti veri e sinceri. Stiamo a guardare sempre gli errori o le mancanze degli altri. Andiamo alla ricerca di emozioni forti, vere, reali, come chi va in cerca di un’oasi nel pieno deserto del Sahara. Riusciamo ad essere dolci e sensibili solo quando si tratta di mettere un “mi piace” su qualche tragedia postata su facebook. Ci basta condividere una frase, una protesta, un articolo, per sentirci apposto con la coscienza: per aver dato il nostro piccolo “contributo” al cambiamento di una società che a parole non piace a nessuno, ma nella quale poi, a conti fatti, ci sguazziamo un po’ tutti.

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