Amarcord – Ciò che eravamo. E ciò che siamo

C’è stato un tempo in cui lo sguardo di una ragazza ti provocava un turbamento sino ad allora sconosciuto. Visto che al tempo si viveva in branco e le donne erano un mondo pressoché alieno. E quello sguardo improvviso e inaspettato non sapevi come gestirlo ed interpretarlo. Del resto, in quel tempo così vicino ma che sembra appartenere ad un’epoca remota, non avevi alcuna possibilità di informarti “segretamente” sull’altro. L’unica speranza è che fosse del tuo quartiere. O che venisse nella tua scuola. O una conoscente di famiglia. Altrimenti, eri praticamente spacciato. L’unica possibilità di rivederla era in centro il sabato sera. Quando si era capaci di percorrere via D’Aquino e via Di Palma per ore ed ore attraverso le famose “vasche”.

Nella speranza di “rivederla”. Anche solo per pochi minuti. Anche perché, tra le tante altre cose, non avendo nessuna esperienza col genere “avverso”, se per puro caso avessi trovato il coraggio per fermarla, non avresti saputo nemmeno cosa dirle. Come iniziare una conversazione. Dovevi improvvisare, il che la maggior parte delle volte voleva significare una figura da pesce lesso assicurata. Non da meno era il rapporto con le compagne di classe. Quando nelle feste di compleanno ci si divideva il salotto per settori: i maschi di qua, le ragazze di là. Finché non arrivava il “genio” di turno a proporre il gioco della bottiglia, che dall’altra parte veniva il più delle volte bocciato.

Le donne hanno sempre avuto un sesto senso e un passo in più di noi, inutile negarcelo. Ed allora l’ultima chance te la dava il “dj” di turno. Che piazzava una serie infinita di lenti che erano il nostro afrodisiaco. Ogni volta che stava per terminarne uno, dentro di te ti facevi coraggio e ti dicevi pronto a fiondarti dall’altro lato della stanza per chiederle di ballare. Il che avveniva, se accadeva, almeno al decimo pezzo. E quando lei ti diceva di sì e partiva la canzone, tu non sapevi dove e come mettere le mani. Del resto, chi mai l’aveva toccata prima di allora una donna? La sensazione però, era unica. Mani sudate, gambe di legno, i piedi con cui accarezzavi ogni giorno un pallone per strada più imbranati che mai, dialogo prossimo allo zero: l’emozione però, non aveva prezzo.

Per non parlare di quando poi, una volta conosciuto il cognome di lei, trovavi il suo numero. Di casa. Non del cellulare. Sul mastodontico elenco telefonico, non certo su una rubrica personale che non sapevi nemmeno cosa fosse. E quando il telefono di casa squillava, ti appellavi a tutti i santi del calendario affinché non rispondesse il padre di lei. Perché a quel tempo i padri li rispettavamo e li temevamo. Eccome. Non solo i nostri. Ma anche quelli degli altri. Dovevi conquistarti la loro fiducia e il loro rispetto. Sembravano giganti inavvicinabili e inscalfibili. In realtà erano bambini cresciuti troppo in fretta, con troppo poco affetto. Ed anche se non lo sapevi, erano dalla tua parte. Sempre e comunque.

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