Ilva, tra assemblee e futuro incerto

ILVA NUOVATARANTO – Inizieranno quest’oggi le assemblee di fabbrica in Ilva, convocate dai sindacati metalmeccanici Fiom, Fim e Uilm. Il tutto in previsione dell’incontro convocato per domani a Roma dal MiSE, il ministero dello Sviluppo Economico, dove si svolgerà il primo incontro ufficiale tra i sindacati e il commissario straordinario Piero Gnudi. A seconda delle risposte che Fiom, Fim e Uilm riceveranno da quest’ultimo, si deciderà se svolgere o meno lo sciopero con manifestazione annunciato a Roma per il prossimo 11 luglio, nel quale saranno coinvolti tutti gli operai degli stabilimenti Ilva in Italia.

A cominciare dai lavoratori della fabbrica di Patrica, nel Frusinate, per i quali oggi scatterà la procedura di mobilità con l’invio delle lettere di licenziamento, dopo l’ultima riunione di venerdì scorso, durante la quale la Regione Lazio ha detto no alla proroga della cassa integrazione per i lavoratori, nonostante l’annuncio della chiusura dello stabilimento da parte dell’azienda nell’ultimo incontro svoltosi al MiSE nelle scorse settimane. Adesso, l’unica speranza dei lavoratori laziali, è nella trattativa in corso con due società, intenzionate a rilevare la fabbrica. Ma stando alle ultime notizie, le parti sarebbero piuttosto distanti e l’intesa appare ancora in alto mare.

Le odierne assemblee con i lavoratori, serviranno ai sindacati metalmeccanici per stabilire insieme ai lavoratori le strategie da adottare nei prossimi giorni. Gli operai infatti, guardano con sospetto alla data scelta da Fiom, Fim e Uilm per lo sciopero nazionale: l’11 luglio, ovvero un giorno prima della data in cui l’azienda dovrebbe versare gli stipendi di giugno, che dovranno comprendere anche i premi di produzione. Da tempo infatti, circolano voci sul fatto che l’Ilva non sarebbe in grado di retribuire le mensilità di giugno. Ed è soprattutto su questo aspetto che Gnudi dovrà fornire risposte chiare.

Del resto, come riportammo la scorsa settimana, il commissario straordinario dell’Ilva avrebbe incontrato a Milano i rappresentanti delle tre banche ‘protagoniste’ dell’affaire Ilva: Intesa San Paolo, Unicredit e Banco Popolare. Soltanto che a differenza del predecessore Bondi, che lo scorso gennaio chiese ai tre istituti di credito di finanziare il piano industriale (redatto dalla società di consulenza McKinsey e sul quale pare che lo stesso Gnudi abbia chiesto ad un’altra società di consulenza un’analisi sulla fattibilità dello stesso e su un eventuale revisione), l’attuale commissario Ilva avrebbe chiesto un prestito di 60 milioni di euro da ottenere entro e non oltre la metà di luglio.

Il che sarebbe l’ennesima conferma di come gli stipendi di giugno siano a forte rischio. Non solo per la data entro la quale Gnudi ha chiesto di ottenere il prestito, quanto soprattutto per la somma in questione: visto che il monte stipendi mensile pesa sulle casse della società per oltre 48 milioni di euro, ai quali questo mese vanno appunto aggiunti i premi di produzione. Tra l’altro, secondo fonti sindacali, l’azienda avrebbe informato gli stessi sul fatto che l’incertezza sui pagamenti durerà sino alle 24 ore precedenti il 12 luglio: questo perché, a detta dell’azienda, si tenterà il tutto per tutto per evitare un qualcosa che non avrebbe precedenti nella storia degli ultimi anni del siderurgico.

I 60 milioni di euro sarebbero stati chiesti da Gnudi con la forma dello “smobilizzo crediti”. Un’operazione che consente di ottenere dei finanziamenti nel periodo della dilazione concessa, e di delegare a terzi (di solito le banche stesse) la gestione degli incassi dei crediti. È un modo per ottenere liquidità e fare una migliore programmazione aziendale. Lo smobilizzo crediti sarebbe stato chiesto nella formula “anticipo di portafoglio”.

Con questa modalità, la banca permette a coloro che sono in attesa di riscuotere delle somme certe a scadenza, di ottenerne subito l’accredito con un tasso di smobilizzo inferiore rispetto al fido in conto corrente bancario. Alla richiesta di Gnudi, le banche (con Unicredit più disponibile, a differenza di Banca Intesa e Banco Popolare che sono decisamente più esposte nei confronti dell’Ilva Spa per crediti pregressi) non avrebbero opposto un rifiuto netto, ma ribattuto con precise condizioni: la più importante delle quali prevede che la linea di liquidità straordinaria venga posta in “prededuzione”. Ovvero ottenendo una sorta di corsia preferenziale nella riscossione del credito vantato, rispetto agli altri debiti contratti dalla società.

Tra l’altro, è chiaro che l’eventuale prestito di 60 milioni di euro, non servirebbe comunque a coprire il debito maturato con i fornitori e le imprese dell’appalto-indotto, che secondo Confindustria Taranto ammonta ad oltre 46 milioni di euro. Il ritardo nei pagamenti delle ditte dell’appalto infatti, varierebbe dai 4 ai 24 mesi: e sono tante le imprese che rischiano di chiudere i battenti da un momento all’altro.

Sia come sia, ribadiamo per l’ennesima volta un concetto che su queste colonne abbiamo ripetuto all’infinito negli ultimi anni: quella fabbrica è destinata alla chiusura. Per precise scelte economiche del gruppo Riva, prima ancora che per l’azione della magistratura che ha accelerato i tempi di una fine annunciata. Da due anni a questa parte si sta soltanto tentando di rinviare quanto più possibile un epilogo che distruggerà un intero sistema. Economico, politico, sindacale, giornalistico e di relazioni sociali. Un punto di non ritorno dal quale, forse, potrà nascere una città migliore. Sicuramente diversa. In quale misura ancora oggi non è dato sapere.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 1 luglio 2014)

 

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