Mar Piccolo, la Marina Militare inquina ancora – “Zona Gittata” ancora in attesa della messa in sicurezza

cozze diossina taranto

cozzeTARANTO – Quando lo scorso 21 febbraio chiedemmo ai componenti della Cabina di Regia per le bonifiche (che si occupa del rione Tamburi, del mar Piccolo e dell’area PIP di Statte), quando e se la Marina Militare sarà chiamata in causa per rispondere, e magari anche risarcire questa città, dell’inquinamento prodotto nel I seno del Mar Piccolo e dei danni inestimabili recati all’ambiente marino del bacino e alla mitilicoltura tarantina per svariati decenni, ci fu risposto che una volta terminato lo studio di ARPA e CNR e una volta deciso come e se intervenire (dopo aver consultato esperti ed organizzazioni di fama mondiale, il che porterà via altri mesi di tempo), la Marina Militare sarà chiamata alle sue responsabilità.

Nel mentre che tutto ciò si realizzi però, l’inquinamento prodotto dalle aree a terra in uso alla Marina continuano imperterrite ad inquinare la falda (in particolar modo quella superficiale) e il mare. Da anni su queste colonne seguiamo (anche grazie all’impareggiabile collaborazione del sito inchiostroverde.it), pur con tutte le difficoltà del caso, le vicissitudini delle aree a terra gestite dalla Marina Militare che la “Relazione tecnica sullo stato di inquinamento da PCB nel SIN Taranto ed in aree limitrofe“, redatta dal Servizio Ciclo dei Rifiuti e Bonifica della Regione Puglia nel 2011, indicò come fonte primaria accertata di inquinamento da PCB del Mar Piccolo: la presenza del micidiale inquinante fu accertata sia nei terreni che nella falda superficiale.

Nel corso degli anni, la contaminazione è stata veicolata proprio dalla falda superficiale che ha come approdo finale le sponde del Mar Piccolo a nord di via del Pizzone. Parliamo di un sito esteso per circa 23.000 mq, in cui sin dal 1890 é stata svolta attività da parte di numerose aziende di supporto alla Marina Militare, mediante il ricorso di sostanze altamente impattanti dal punto di vista ambientale come vernici, solventi, olio di taglio, olio idraulico ed idrocarburi.

La caratterizzazione realizzata dai tecnici della Regione, interessò una superficie ancora più estesa: circa 30.000 mq. Le attività furono condotte tra il maggio e il luglio 2009 e si articolarono in differenti fasi: tutti i sondaggi vennero effettuati sino ad una profondità compresa tra i 6 e gli 8 metri. La caratterizzazione evidenziò nei terreni una contaminazione da metalli pesanti (antimonio, arsenico, mercurio, piombo, rame, selenio, vanadio e zinco), da policlorobifenili e da idrocarburi (leggeri e pesanti).

Le analisi delle acque evidenziarono una contaminazione da composti alifatici clorurati cancerogeni, PCB, sostanze inorganiche e metalli pesanti. L’analisi di rischio, a causa dell’elevata estensione del sito, venne divisa in due zone. Sia sul suolo superficiale, che sul suolo profondo e nella falda di entrambe le zone, furono riscontrati superamenti delle concentrazioni di soglia di rischio per PCB, mercurio, arsenico, rame, nichel, zinco, seppur in valori differenti.

Il 14 ottobre 2010 si riunì la Conferenza dei Servizi regionale per l’esame dei documenti “Piano di integrazione alla caratterizzazione ambientale” e “Progetto preliminare di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda” del sito in esame. ARPA e Regione in quella sede sostennero che il progetto di caratterizzazione del MiSE necessitava di una rielaborazione. Nel successivo tavolo tecnico del 4 ottobre 2011, a cui parteciparono anche rappresentanti di ARPA e Comune di Taranto, furono decise nuove ispezioni e rilievi idrogeologici, prevedendo la realizzazione del progetto per la messa in sicurezza della falda entro metà novembre.

Ma dal 2011 ad oggi, poco o nulla è cambiato. Prendiamo il caso dell’area denominata “zona Gittata”, che conta un’estensione di 1500 mq ed è stata adibita per anni a vasca di deposito di fanghi di dragaggio, rimossi e smaltiti nel 2009. Nello stesso anno avvenne la dismissione della vasca e furono eseguite le indagini ambientali preliminari che evidenziarono il superamento, nel suolo, delle concentrazioni soglia di contaminazione per siti commerciali e industriali per i parametri piombo, rame, zinco, arsenico e PCB.

Le quote del terreno risultate contaminate, si trovavano ad una profondità maggiore di 10 cm. Il 18 febbraio 2011 la Marina Militare – Arsenale Militare Marittimo Direzione Lavori e Servizi di Taranto (con nota prot. n.DLS/10/4443-DSA/RLS) trasmetteva gli elaborati del “Piano di Caratterizzazione” dell’area. Nella conferenza dei servizi regionale del 23 settembre 2011 convocata per l’approvazione del piano di caratterizzazione dell’area, furono decise nuove indagini. Il piano di caratterizzazione venne approvato con diverse prescrizioni (che abbiamo già riportato in passato).

Il 23 novembre 2011 veniva pubblicata la determinazione n.122 da parte del dirigente servizio ciclo dei rifiuti e bonifica, Giovanni Campobasso, che concludeva l’iter burocratico. Sono passati oltre due anni. In cui il tutto è rimasto sospeso: dalla Regione infatti, ancora ieri ci hanno confermato di essere in attesa che la Direzione Lavori e Servizi dell’Arsenale comunichi gli esiti della caratterizzazione e la conseguente analisi di rischio. Attività propedeutiche alla messa in sicurezza dell’area. Che a tutt’oggi in sicurezza non è. Come mai tanto ritardo? Perché la Marina continua a tacere? Perché tace la politica? E perché la città intera non denuncia tutto questo? Il Mar Piccolo, intanto, continua ad assorbire veleno. E, nello stesso tempo, a rigenerarsi.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 05.03.2014)

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