Ilva, il Tribunale rigetta richiesta risarcimento residente Tamburi

tamburi-57TARANTO – Non tutte le malattie possono essere legate alle emissioni dell’Ilva che invadono da decenni sul quartiere Tamburi. Questo il senso della sentenza pronunciata ieri mattina dalla Terza Sezione Civile del Tribunale di Taranto relativa ad una causa dell’ottobre 2011, avanzata da una residente del quartiere Tamburi affetta dal 2005 da “mielite trasversa D10-D11 in soggetto con vescica neurologica” che ha reso paraplegica la signora. La residente difesa dagli avvocati Annamaria e Filippo Condemi aveva infatti chiamato in giudizio l’Ilva Spa e l’ex direttore Luigi Capogrosso, difesi dagli avvocati Francesco Perli ed Enrico Schiavone, chiedendo il “risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non subiti ed in particolare del dalla alla saluta nella misura risultante dall’espletanda perizia”. Il tutto alla luce del fatto che sin da bambina era stata esposta alle emissioni inquinanti dello stabilimento siderurgico e “in particolare a mezzo di analisi di laboratorio accertava che nel suo organismo erano presenti elevate quantità di materiali dannosi per l’organismo umano, quali metalli pesanti e altre sostanze inquinanti immesse nell’ambiente dal locale stabilimento siderurgico”.

Queste le premesse, ribaltate però dalla conclusioni del CTU medico legale istruito per la causa che potesse fare chiarezza sulla natura della patologia e su di un possibile rapporto causa effetto con l’esposizione alle emissioni dell’Ilva. “L’attrice (la residente) è affetta sin dal 2004 da “mielite trasversa D10-D11 di natura idiopatica con paraparesi flaccida”, patologia di origine autoimmune e quindi del tutto non correlabile con sostanze in ipotesi anche nocive e/o inquinanti provenienti dal locale stabilimento ILVA ed in genere con esposizione a polveri o gas di provenienza industriale – ha spiegato il giudice Pietro Genoviva nella sentenza -; detta patologia non è nemmeno astrattamente correlabile con le sostanze ritrovate nell’esame del capello e delle urine dell’attrice, effettuate nel giugno 2011 e giudicate per altro scarsamente attendibili, specie per quanto riguarda i rilevati valori dell’arsenio, che, se reali, sarebbero stati esiziali per qualsiasi essere umano.

A fronte di tali limpide ed inequivocabili conclusioni medico-legali, supportate dall’analisi clinica della periziata, nonché dallo studio della documentazione versata in atti e della letteratura scientifica sull’argomento, non può che pervenirsi al rigetto della domanda attrice, con tutte le conseguenze di legge anche in ordine alle spese di lite, che, liquidate solidalmente in favore dei convenuti costituitisi in giudizio a ministero degli stessi difensori, e tenendo conto dei parametri di cui al DM 140/2012, si determinano come da dispositivo”. Una sentenza relativa al solo caso della mielite trasversa, certo: ma che evidenzia una volta di più come sia imprescindibile continuare a portare avanti tutti quegli studi epidemiologici necessari per fare quanta più chiarezza possibile sui danni causati alla salute umana dall’inquinamento della grande industria.

 

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