Mar Piccolo: la Marina sa, ma tace
TARANTO – In attesa della riunione della Cabina di Regia di martedì prossimo dove conosceremo la parte preliminare dello studio, che sarà completato a marzo del prossimo anno, che ARPA Puglia e CNR stanno portando avanti sullo stato reale dell’inquinamento del I seno del Mar Piccolo, proseguiamo nel nostro viaggio-inchiesta, riportando ancora una volta tutto quello che abbiamo denunciato in questi anni su questa storia.
Quest’oggi completeremo il quadro riguardante le dirette responsabilità della Marina Militare nell’inquinamento del I seno del Mar Piccolo. Come si ricorderà, anche la “Relazione tecnica sullo stato di inquinamento da PCB nel SIN Taranto ed in aree limitrofe“, redatta dal Servizio Ciclo dei Rifiuti e Bonifica della Regione Puglia, indicò come fonte primaria accertata di inquinamento da PCB del Mar Piccolo aree a terra gestite dalla Marina Militare (tramite Arsenale, con l’ex area IP e la zone “170 ha” di cui abbiamo parlato in questi giorni), in cui la presenza di PCB fu accertata anche nei terreni e nella falda superficiale.
Negli anni la contaminazione è stata veicolata dalla falda superficiale, che in quei luoghi ha sempre avuto come punto di approdo finale, proprio le sponde del Mar Piccolo a nord di via del Pizzone. Parliamo di un sito esteso per circa 23.000 mq, in cui sin dal 1890 é stata svolta attività da parte di numerose aziende di supporto alla Marina Militare, mediante il ricorso di sostanze altamente impattanti dal punto di vista ambientale come vernici, solventi, olio di taglio, olio idraulico ed idrocarburi.
La caratterizzazione realizzata dai tecnici della Regione, interessò una superficie ancora più estesa: circa 30.000 mq. Anche in questo caso, ovviamente, il moto della falda è orientato verso il bacino del Mar Piccolo. Le attività dei tecnici furono condotte tra il maggio e il luglio 2009, e si articolarono in differenti fasi. Tutti i sondaggi vennero effettuati sino ad una profondità compresa tra i 6 e gli 8 metri. La caratterizzazione del sito evidenziò nei terreni una contaminazione da metalli pesanti (antimonio, arsenico, mercurio, piombo, rame, selenio, vanadio e zinco), da policlorobifenili e da idrocarburi leggeri e pesanti. Le analisi delle acque evidenziarono una contaminazione da composti alifatici clorurati cancerogeni, PCB, sostanze inorganiche e metalli pesanti.
L’analisi di rischio sito specifica, a causa dell’estensione del territorio in questione, venne divisa in due zone. Sia sul suolo superficiale, che sul suolo profondo e nella falda di entrambe le zone, furono riscontrati superamenti delle concentrazioni di soglia di rischio per PCB, mercurio, arsenico, rame, nichel, zinco, seppur in valori differenti. Il 14 ottobre 2010 si riunì la Conferenza dei Servizi regionale per l’esame dei documenti “Piano di integrazione alla caratterizzazione ambientale” e “Progetto preliminare di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda” del sito in esame. ARPA e Regione, in quella sede, sostennero che il progetto di caratterizzazione del MISE necessitava di una rielaborazione. Nel successivo tavolo tecnico dello scorso 4 ottobre 2011, a cui parteciparono anche rappresentanti di ARPA e Comune di Taranto, furono decise nuove ispezioni e rilievi idrogeologici, prevedendo la realizzazione del progetto per la messa in sicurezza della falda entro metà novembre. Sappiamo già com’è andata a finire.
Oltre all’ex area IP e alla zona “170 ha”, esiste anche un altro punto inquinato: si trova nella porzione est del Comprensorio Arsenalizio della Marina Militare ed è denominata “Zona Gittata”. Ha un’estensione di 1500 mq ed è stata adibita per anni a vasca di deposito di fanghi di dragaggio, rimossi e smaltiti nel 2009. L’area è pianeggiante e prospiciente la costa. Sempre nel 2009 avvenne la dismissione della vasca e furono eseguite delle indagini ambientali preliminari che evidenziarono il superamento, nel suolo, delle concentrazioni soglia di contaminazione per siti commerciali e industriali per i parametri piombo, rame, zinco, arsenico e PCB. Le quote del terreno risultate contaminate, si trovavano ad una profondità maggiore di 10 cm.
Nella conferenza dei servizi regionale del 23 settembre 2011 convocata per l’approvazione del piano di caratterizzazione dell’area “Zona Gittata”, furono decise nuove indagini. Il piano di caratterizzazione, venne approvato con le seguenti prescrizioni: “nell’area verranno eseguiti indagini geoelettriche lungo 4 stendimenti, di cui 2 paralleli allo sviluppo longitudinale della vasca e 2 ortogonali ad essi; le ulteriori indagini dirette sul suolo consisteranno in 4 sondaggi interni e 2 esterni all’area, spinti fino alla profondità di almeno 4 metri; le indagini dirette su falda consisteranno nell’attrezzare a piezometro 1 dei carotaggi interni e 2 carotaggi esterni; i piezometri raggiungeranno la profondità di 2 metri al di sotto della frangia capillare, 1 di essi sarà spinto fino all’intercettazione del banco delle Argille Subappennine; per ciascun punto di campionamento saranno prelevati 3 campioni di terreno da analizzare, di cui uno a fondo foro o in corrispondenza della frangia capillare; la validazione da parte di Arpa dei risultati delle analisi avverrà su 2 campioni di terreno e 1 di acqua; il set di analiti dovrà comprendere tutti gli elementi già indagati in fase preliminare“. Tutto questo è stato realizzato? E se sì, quando? E che risultati si sono ottenuti? Ancora oggi non è dato sapere.
Le responsabilità della Marina Militare, sempre nel 2011, trovarono ulteriore riscontro nella mappa sulla “Distribuzione dei PCB nei sedimenti dei Mari di Taranto“, presentata dal CNR nel corso della riunione tecnica che si svolse a Taranto giovedì 11 agosto 2011 (si era nel pieno della prima emergenza mitili), dalla quale si evinceva chiaramente come la presenza maggiore di PCB nel I seno del Mar Piccolo si trovasse in corrispondenza dell’Arsenale Militare, degli ex cantieri navali Tosi, di una parte di Buffoluto, e dalla parte dei Tamburi e del Galeso.
Tornando per un attimo indietro nel tempo, è bene ricordare ancora una volta che il 18 settembre 2001, con Decreto Ministeriale n. 468, venne messo nero su bianco il regolamento del “Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale“. Per quanto riguardava la città dei Due Mari, il decreto aveva stabilito la “Bonifica e ripristino ambientale di aree industriali, di specchi marini (Mar Piccolo) e salmastri (Salina grande)“. La superficie interessata dagli interventi di bonifica e ripristino ambientale, per il solo Mar Piccolo, prevedeva 22,0 km2 (51,1 km2 Mar Grande, 9,8 km2 Salina Grande). Lo sviluppo costiero riguardava un totale di circa 17 km.
Il perimetro del territorio in questione, riguarda l’area dichiarata “Area ad elevato rischio di crisi ambientale” nel lontano novembre 1990. La dichiarazione venne reiterata nel luglio 1997. Con decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 1998, venne inoltre approvato il “Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della Provincia di Taranto“. Siamo quasi alla preistoria. Già nella relazione del decreto ministeriale, venivano elencate in maniera inequivocabile le condizioni di assoluta criticità ambientale in cui versava il Mar Piccolo.
Tutto ciò detto, è praticamente impossibile quantificare un danno del genere. Quanti soldi ci vorrebbero per risarcire un’intera comunità a cui è stata privata la possibilità di avere un mare pulito dove poter coltivare e pescare i migliori mitili di tutto il Mediterraneo? E di avere una falda libera da ogni tipo di inquinante? Nella riunione della V commissione ambiente della Regione del 9 settembre 2011, di cui abbiamo parlato nell’articolo di due giorni fa in merito alla situazione dell’ex area IP, fu calcolato per somme astratte che per l’intervento di bonifica per tutto il Mar Piccolo avrebbe di gran lunga superato i 200 milioni di euro.
Nell’atto di intesa sottoscritto a Roma il 26 luglio 2012 riguardante la bonifica e l’ambientalizzazione dell’area tarantina, per la “Bonifica e alla messa in sicurezza permanente dei sedimi contaminati da PCB del Mar Piccolo” furono stanziati appena 21 milioni di euro, garantiti dal “Fondo Sviluppo e Coesione” della Regione Puglia ed inserito nell’ultima delibera CIPE. Soldi dei cittadini, non certamente della Marina Militare o del ministero della Difesa. Di cui quasi tutti a Taranto paiono aver paura. O di cui comunque paiono soffrire un profondo stato di sudditanza psicologica. Ma ancora oggi non ci è dato sapere il perché. “Con quanta imprudenza molti cercano di levar di mezzo un tiranno senza essere in grado di eliminare le cause che fanno del principe un tiranno” (Baruch Spinoza Amsterdam, 24 novembre 1632 – L’Aia, 21 febbraio 1677).
Gianmario Leone (TarantoOggi, 12.12.2013)