Ilva, un decreto tira l’altro – I dettagli di un provvedimento scontato

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TARANTO – Se decidessimo di dare ragione al filosofo Gianbattista Vico, che oltre due secoli fa teorizzava i “corsi e i ricorsi storici” della storia, ci sarebbe poco da stare allegri. Il pensatore napoletano infatti, sosteneva che nel corso del tempo alcuni accadimenti si ripetevano con le medesime modalità, anche a distanza di secoli; e che ciò avveniva non per puro caso, ma in base ad un preciso disegno stilato della divina provvidenza. Al che, a guardare come nella vicenda dell’Ilva le date e i vari “anniversari” s’intrecciano tra loro, il pensiero maligno un po’ ci sfiora.

Il 3 dicembre dello scorso anno, l’allora governo tecnico guidato da Mario Monti, varava il decreto n. 207 sulle “Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale”. Un intervento diretto dello Stato, che di fatto salvava l’Ilva dall’azione della magistratura e da una chiusura pressoché certa. Ieri, 3 dicembre 2013, il Consiglio dei ministri del governo delle larghe intese guidato da Enrico Letta, ha approvato un decreto legge sulle emergenze ambientali ed industriali contenente alcune norme per la “Terra dei fuochi”, all’interno del quale una parte rilevante riguarda le “Disposizioni urgenti per la tutela dell’ambiente, del lavoro e per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale”.

Molto più semplicemente, un modo articolato ed elegante per camuffare l’ennesimo intervento dello Stato nell’intricata vicenda dell’Ilva di Taranto. Un provvedimento annunciato, al cui testo hanno lavorato alacremente nelle ultime settimane i tecnici dei ministeri Ambiente e Sviluppo economico, sotto la supervisione dei commissari Ilva, Enrico Bondi ed Edo Ronchi. Che negli ultimi tempi hanno minacciato a più riprese le loro dimissioni, qualora il governo non fosse intervenuto in loro “aiuto”. Sul tavolo, i “problemi” derivanti dalle lungaggini burocratiche e della mancanza di liquidità a fronte dei tanti interventi da effettuare sugli impianti dell’area a caldo del siderurgico, previsti dall’AIA.

 I “soldi” dei Riva

Non è un caso dunque, se la questione del reperimento delle risorse finanziarie, è al primo punto del nuovo decreto. Addirittura in premessa si afferma che “la insufficienza delle risorse finanziarie a disposizione della struttura commissariale rischiano di vanificare il rispetto del termine di 36 mesi per l’attuazione delle Aia”. Eppure lo scorso 23 luglio, durante l’audizione presso le commissioni Ambiente e Industria del Senato, lo stesso Bondi assicurò che “dopo una attenta valutazione di criticità e priorità della situazione ambientale e una verifica dello stato di attuazione dell’AIA, delle prescrizioni della magistratura e degli organi di controllo, saranno mobilitate e rafforzate le risorse aziendali dedicate al risanamento, al fine di supportare la predisposizione del nuovo piano di interventi ambientali (previsto dal decreto n. 61 del 4 giugno 2013), connesso e integrabile con il piano industriale”. Si sarà “sbagliato”? Probabile.

Il testo approvato ieri infatti, prevede che dopo l’approvazione del piano industriale e del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, “il titolare dell’impresa o il socio di maggioranza è diffidato dal commissario straordinario a mettere a disposizione le somme necessarie” entro 15 giorni dal ricevimento della diffida “mediante trasferimento su un conto intestato all’azienda commissariata”. Le somme, si legge ancora nel decreto, “sono scomputate in sede di confisca delle somme sequestrate, anche ai sensi del Dlgs 231/2001, per reati ambientali o connessi all’attuazione dell’Autorizzazione integrata ambientale”.

Il titolare dell’impresa o socio di maggioranza, ovviamente, è ancora oggi il gruppo Riva. A cui però proprio il governo ha sottratto lo scorso giugno la gestione della fabbrica, commissariandola, a fronte della totale inadempienza nell’attuazione delle prescrizioni AIA (per poi restituirgliela entro tre anni, almeno questo prevede il decreto legge approvato lo scorso 4 giugno e convertito nella legge 89 dello scorso 4 agosto). E’ dunque pressoché scontato che quei soldi non arriveranno mai dal gruppo lombardo. Cosa che sia il governo, che Bondi e Ronchi, sanno molto bene. Tanto da essere costretti ad aggiungere nel testo approvato ieri che “ove il titolare dell’impresa o socio di maggioranza non metta a disposizione del commissario straordinario, in tutto o in parte, le somme necessarie, al commissario straordinario sono trasferite, su sua richiesta, le somme sottoposte a sequestro penale in relazione a procedimenti penali a carico del titolare dell’impresa o del socio di maggioranza, diversi da quelli per reati ambientali o connessi all’attuazione dell’Aia”.

E’ sicuramente significativo questo passaggio ed è chiaro questa scelta è stata indotta dalle esperienze passate: onde evitare un nuovo scontro diretto con la magistratura tarantina, il governo questa volta guarda a Milano, dove la Guardia di Finanza nei mesi scorsi ha sequestrato 1,9 miliardi di euro al gruppo Riva nell’ambito dell’inchiesta portata avanti dalla procura milanese per frode fiscale (truffa ai danni dello Stato e trasferimento fraudolento di valori) e appropriazione indebita ai danni dei soci di minoranza. Risorse che al momento si trovano nel Fondo unico della giustizia. In caso di eventuale proscioglimento nel processo che verrà, il gruppo Riva non potrà richiedere indietro le somme sequestrate, in quanto il decreto prevede che le somme impiegate per l’attuazione dell’AIA “non saranno comunque restituibili”. Ma non è detto che sarà così scontato ottenere i soldi in questione. Non è un caso se oltre alla trattativa con le banche portata avanti da Bondi, negli ultimi giorni si stia provando a coinvolgere la Cassa Depositi e Prestiti, oltre che la BEI (Banca Europea degli Investimenti) attraverso il Piano dell’Acciaio redatto nel giugno scorso.

Sanzioni? Le pagheranno sempre i Riva

Nel testo ha trovato spazio anche la spinosa questione delle sanzioni previste dalla legge 231/2012 e riprese dalla 89/2013, per la mancata attuazione delle prescrizioni AIA. Ed è questo il punto più delicato e ambiguo del nuovo decreto. Il testo prevede che non ci sarà “nessuna sanzione speciale per atti o comportamenti imputabili alla gestione commissariale dell’Ilva se vengono rispettate le prescrizioni dei piani ambientale e industriale, nonché la progressiva attuazione dell’Aia”. Per essere ancora più chiari, il governo ha chiarito che “la progressiva adozione delle misure” è intesa nel senso che la stessa è rispettata se la qualità dell’aria nella zona esterna allo stabilimento “non abbia registrato un peggioramento rispetto alla data di inizio della gestione commissariale” e se “alla data di approvazione del piano, siano stati avviati gli interventi necessari ad ottemperare ad almeno il 70% del numero complessivo delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni integrate ambientali, ferma restando la non applicazione dei termini previsti dalle predette autorizzazioni e prescrizioni”. Dunque, ciò che conta sarà “dimostrare” di aver avviato il 70% degli interventi, senza priorità alcuna sull’importanza degli stessi e sull’effettiva conclusione. Tanto, c’è sempre l’ipotesi del fallimento dietro l’angolo, prevista dalla legge 89 del 4 agosto. Inoltre, le sanzioni riferite ad atti imputabili alla gestione precedente al commissariamento, ricadranno sulle “persone fisiche che abbiano posto in essere gli atti o comportamenti”, sempre i Riva, e non saranno poste a carico dell’impresa commissariata “per tutta la durata del commissariamento”: dunque, nel caso l’azienda ritorni al gruppo lombardo, saranno i Riva a farsene carico: il che, come ribadito nelle scorse settimane, una sua logica ce l’ha.

“VIA” con le autorizzazioni

Infine, nel testo sono presenti anche le semplificazioni delle procedure di VIA (da 180 a 90 giorni), sulle modalità di bonifica e di combinazione tra norme urbanistiche in vigore e opere quali la copertura dei parchi minerari. Come riportato nei giorni scorsi infatti, per quanto riguarda i parchi primari è stato trovato il modo per far sì che non impattino come indici urbanistici sul vigente piano regolatore di Taranto (l’elevata altezza della struttura prevista per la copertura, 80 metri, aveva già messo in allarme più di qualcuno). E’ stato deciso che le coperture dei parchi saranno considerate come “volumi tecnici” e non urbanistici: volumi tecnici, si specifica, funzionali alle attività industriali che necessitano di risanamento ambientale. In questo modo, non sarà necessario mettere in cantiere la variante del piano regolatore di Taranto. Inoltre, i tempi di rilascio della VIA passeranno da 180 a 90, giorni mentre i tempi di istruttoria per l’assoggettabilità o meno degli interventi alla VIA da 120 a 45 giorni. In particolare, per la VIA che andrà rilasciata per la copertura dei parchi minerali primari, i tempi sono stati “compattati” da 120 a 90 giorni. Il provvedimento prevede inoltre che nei casi di maggiore criticità, il ministero dell’Ambiente convochi la conferenza dei servizi per lo sblocco delle autorizzazioni: in pratica, la Conferenza dei servizi del SUAP del Comune di Taranto rischia di essere inglobata da quella presso il ministero dell’Ambiente se si dovessero creare intoppi “burocratici”. Il ministero dell’Ambiente ha peraltro escluso per la copertura dei parchi minerali secondari, l’assoggettabilità alla VIA chiesta invece dal Comune di Taranto. In pratica ha vinto Ronchi.

La rivoluzione su facebook

Intanto sui social network si è scatenata l’ennesima “rivoluzione” tarantina. Dove si minacciano azioni epocali tanto per sentirsi diversi dal resto della “molle tarentum”. Ma la verità è che questa città ha da tempo deciso di non lottare, perdendo nell’estate del 2012 un’occasione storica e per certi versi irripetibile per cambiare la sua storia. Tra chi si è defilato, chi vede nella Procura e nell’Ue i nuovi messia, chi continua a coltivare il proprio orticello e chi continua a sentirsi sempre meglio degli altri, non si muove più una foglia. Per fortuna che ci sono i ragazzi che ancora credono in un futuro diverso, che parta dal recupero dal basso delle zone verdi e dalla riappropriazione delle aree “demaniali” abbandonate e prossime all’ennesima bulimia della sete di denaro dei soliti noti. “C’è sempre una filosofia per la mancanza di coraggio” (Albert Camus, Mondovi, 7 novembre 1913 – Villeblevin, 4 gennaio 1960).

Gianmario Leone (TarantoOggi, 04.12.2013)

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