Saltare oltre la siepe – Il movimento “Officine tarantine” può segnare una svolta per la città

OFFICINE TARANTINETARANTO – L’iniziativa dei giovani tarantini che hanno dato vita giorni addietro al movimento “Officine Tarantine”, che si prefigge l’obiettivo di riappropriarsi di tutti quegli spazi pubblici abbandonati e inutilizzati “al fine di recuperarli e restaurarli per svolgere attività laboratoriali di tipo artigianale artistico e culturale”, ci ha riportato alla mente un dato presente nel “Rapporto Svimez 2013 sull’economia del Mezzogiorno” che in molti hanno del tutto volutamente ignorato o sottovalutato. Il 64% dei cittadini meridionali, oltre due su tre, che nel 2011 hanno lasciato il Mezzogiorno per una regione del Centro-Nord aveva un titolo di studio medio-alto, diploma o laurea. I laureati meridionali diretti al Centro-Nord sono nel 2011 il 25% del totale, più che raddoppiati in dieci anni. Le regioni che attraggono più laureati sono la Lombardia, un primato che continua ininterrotto dagli anni 60, Lazio ed Emilia Romagna. Ma il dato più inquietante è un altro. In dieci anni, dal 2002 al 2011, a livello locale, Taranto ha visto andare via ben 12mila persone. Ad attrarre le solite mete: Roma, Milano, Bologna, Parma, Firenze, Modena, Reggio Emilia e Bergamo. Per non parlare delle centinaia di studenti di IV e V superiore che ogni anno, come si sta verificando proprio in questi giorni, vengono caricati sui pullman e portati a Bari per illustrare loro i test d’ingresso per entrare nelle università come la Bocconi, la Cattolica e la Luiss.

Per anni su queste colonne abbiamo invitato invano la classe politica e dirigente di questa città, a pensare alle alternative economiche alla grande industria, valorizzando quelle risorse che questo territorio ancora oggi possiede nonostante tutto. Al di là delle grandi incompiute come il porto e l’aeroporto, abbiamo sottolineato quanto importante fosse puntare sul turismo, sull’agroalimentare, sulla cultura, sul turismo, su progetti semplici ma efficaci per il recupero delle aree verdi e delle tante strutture ancora oggi in possesso del Demanio e della Marina Militare. Abbiamo invitato i nostri prodi ad un sussulto di dignità, dato oramai per assodato che tutte le classi dirigenti succedutesi dagli anni ’60 ad oggi, avevano scientificamente deciso di incrociare le braccia “arrendendosi” al sistema capitalistico-industriale, svendendo la salute e l’ambiente di un intero territorio. E con esso, inevitabilmente, il suo futuro. Che da sempre è solo e soltanto in mano ai giovani. Del resto, l’emigrazione “forzata” di questa città è partita sin dalla fine degli anni ’70. Sia chiaro, come ribadiamo da sempre, la colpa non può essere tutta addebitata solo e soltanto alla politica. O ai sindacati. O alle varie associazioni di imprenditori, prima tra tutte Confindustria. Certo, hanno colpe enormi. Ma a Taranto è mancata da sempre anche e soprattutto la borghesia. Che ha poltrito per decenni, lasciando che questa città si adagiasse su se stessa, che pagasse dazio a tutti i suoi difetti peggiori. Lasciando partire i suoi stessi figli. Per far sì che anche loro partecipassero al grande eldorado economico che è diventato nel corso dei decenni il Nord Italia, grazie soprattutto ai giovani del Sud. Ed è surreale che ancora oggi, a fronte della fine del finto ed illusorio boom economico italiano partito negli anni ’60 e diventato bulimico negli anni ’80 e ’90 per poi implodere negli anni 2000, gli stessi impediscano oggi ai figli di tornare. Eppure, molti di loro negli ultimi anni sono confluiti nella così detta “società civile impegnata”. Le colpe, dunque, sono di tutti. Anche se con responsabilità diverse. Probabilmente, se anche i tanti comitati ed associazioni sorte negli ultimi anni avessero sin da subito confluito in un unico movimento in grado di disegnare un’altra città possibile, evitando di disunirsi e perdersi in rivoli di invidie e gelosie, pressando la politica a cambiare rotta, forse oggi la situazione non sarebbe così come la osserviamo e la viviamo.

Del resto, ipotizzando anche per un solo istante che la politica a partire da oggi desse vita ad un’imponente manovra che mettesse al centro la valorizzazione delle alternative economiche, per vederne i frutti dovremmo aspettare non meno di 10 anni. Arco di tempo nel quale siamo certi che l’Ilva avrà chiuso i battenti, quanto meno per ciò che concerne l’attività produttiva dell’area a caldo. Così come non è alquanto peregrino ipotizzare la cessazione delle attività dell’unico forno della Cementir e la raffinazione da parte dell’Eni (che resterebbe qui come deposito del petrolio estratto con il progetto “Tempa Rossa” che dovrebbe partire nel 2015 e che prevede appunto Taranto come semplice sito di deposito del greggio grezzo estratto in Basilicata). Per non parlare di ciò che sarà di tutte quelle aziende il cui futuro già oggi appare appeso a un filo: Vestas, Marcegaglia, ex Miroglio, Natuzzi, Taranto Isolaverde, Centrale del Latte, indotto della Marina, dell’Eni, dell’Ilva, della Cementir. Soltanto per citare le vertenze più importanti. Né si può davvero pensare che l’unica alternativa possibile per i giovani tarantini possa essere quella dell’impiego nei call center, Teleperformance su tutti (nonostante si faccia finta di ignorare che altri più piccoli siano presenti sul territorio, spesso unica fonte minima di reddito per tanti giovani tarantini laureati).

Ed è proprio in questo quadro che l’iniziativa dei giovani delle “Officine Tarantine” trova il suo senso più profondo. Perché quando si tocca il fondo, si può soltanto risalire. E per farlo, quasi sempre, occorre ripartire dalle piccole cose. Che spesso sono anche le migliori e le più genuine. Ecco perché riappropriarsi dei luoghi abbandonati, di cui i Baraccamenti Cattolica rappresentano uno degli esempi più eclatanti dello scempio a cui è stata regalata la nostra città (in tanti li stanno scoprendo oggi il che è tutto dire), è forse ciò di cui i tarantini hanno più bisogno. Diventare protagonisti del presente invece che spostare l’obiettivo in un futuro sempre più lontano ed utopistico. Lo abbiamo scritto poco tempo fa: i tarantini hanno bisogno di ritrovarsi, di riabbracciarsi, di tornare a condividere ogni minimo spazio di questa città, per tornare a sorridere e a sentirsi protagonisti. Riappropriarsi delle aree verdi abbandonate così come delle tante strutture fatiscenti, rimetterle in piedi, dare loro una seconda vita e quindi un’altra possibilità. Rimboccarsi le maniche, mettere in pratica quelle idee che in tanti, troppi, sbandierano dietro ad una tastiera su facebook ma che rischiano di restare soltanto delle bellissime incompiute. Al di là dei cavilli burocratici (del tipo occupazione illegale, sgomberi, retate e menate del genere) e delle invettive della politica (secondo cui quegli spazi vanno lasciati liberi in quanto fanno gola a molti, a cominciare dai soliti palazzinari che hanno riempito di vere oscenità la città così come il Borgo Antico), questi ragazzi hanno bisogno del sostegno concreto di tutti. E’ tempo di finirla con i “mi piace” su facebook, con le sfilate alle manifestazioni e alle fiaccolate, con l’acquisto delle magliette “Taranto ribellati” che si usano solo per poche occasioni, con gli esposti in Procura, con i filmati dei fumi velenosi, con le imprese “epiche”, con la santificazione di pochi martiri a fronte di migliaia di ammalati e di morti, con ricorsi e controricorsi tra Bruxelles e Strasburgo. Sia chiaro, perché non vogliamo essere fraintesi: sono servite e servono anche queste cose. Ma hanno un peso ed un ruolo marginale sulla bilancia del futuro di questa città. I processi, lasciamolo ai magistrati ed alle aule di tribunale.

Questi ragazzi hanno mostrato ancora una volta di avere coraggio ed idee chiare. Di badare al sodo. Di voler sfidare la politica e la classe dirigente di questa città sul campo, non in rete o sui social network. Ci mettono la faccia. E molti di loro sono tornati dopo le esperienze universitarie e lavorative al Nord. Una dimostrazione unica di amore e appartenenza al territorio. Dunque, che si torni alle assemblee pubbliche. Che i giovani di questa città inizino a sentirsi davvero protagonisti e cittadini di Taranto. Che ci si riappropri di tutto ciò che ci appartiene, senza se e senza ma. Che si dia sfogo e spazio a tutte le idee positive e praticabili, specie le più concrete ed immediate. Che ognuno ci metta del suo. Seriamente e con tanta voglia di fare. Bisogna svecchiare e mandare a casa tutta quella gente che oggi in ogni settore sta tentando penosamente di riciclarsi. Questi sono i fatti. Impariamo a distinguere i fatti dalle chiacchiere. Del resto, così come avviene in natura, se la maggioranza si darà da fare, la selezione sarà naturale. E chi ancora oggi va dietro alle chiacchiere inseguendo un proprio tornaconto personale per rinsaldare e rinfocolare il suo ego, prima o poi si ritroverà da solo. Il tempo e la storia sono dalla nostra parte. Tutto il resto conta zero. “Per capire e raggiungere ciò che vuoi comincia a scartare ciò che non vuoi” (Mark Twain, Florida, 30 novembre 1835 – Redding, 21 aprile 1910).

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 7 novembre 2013)

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