Riva, c’è il decreto. Basterà?

lettaTARANTO – L’ultima parola spetterà al premier Enrico Letta, che ieri dagli Stati Uniti ha dichiarato un perentorio “deciderò io”. Ma a meno di improbabili e clamorosi ripensamenti, venerdì il Consiglio dei Ministri approverà un decreto, l’ennesimo, per salvare ciò che resta dell’impero del gruppo Riva in Italia. Ad anticipare l’imminente scelta del governo, il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato. Il testo che sarà esaminato venerdì, consta di appena 5 articoli. In pratica, si tratta di una semplice estensione del decreto del 4 giugno scorso, il ‘salva Ilva bis’.

Questo perché il governo, come previsto nel primo articolo del nuovo dl, ha deciso di estendere il commissariamento Ilva anche alle “controllate o collegate” ad essa: il tutto per “riprendere” la produzione, dopo il sequestro avvenuto due settimane fa, degli stabilimenti del Nord della Riva Acciaio, dopo la serrata dell’azienda, ennesima rappresaglia di un gruppo industriale che in Italia non vuol restare un minuto di più. Secondo il nuovo decreto, sarà possibile consentire per legge “l’utilizzo e la gestione di beni, azioni e liquidità, anche e nonostante un sequestro preventivo”. Le norme entreranno in vigore “il giorno stesso della pubblicazione”, e saranno applicabili anche “ai sequestri già disposti” prima di quella data: questo perché, ha spiegato il ministro Flavio Zanonato, “se avviene un sequestro deve avvenire tutelando l’attività produttiva”.

Il secondo articolo estende il regime del commissariamento, prevedendo la nomina di “fino a tre sub commissari” e la tenuta di una “contabilità speciale riguardante i beni oggetto di sequestro”. Commissario e subcommissari, “sono immessi nella titolarità e nel possesso delle azioni, delle quote sociali, dei cespiti aziendali e della liquidità delle società” sotto commissariamento, “e le amministrano al fine di perseguire l’esercizio delle attività d’impresa”. A loro anche il compito di redigere e approvare i bilanci della spa Ilva e delle sue controllate (prevede l’art. 3). Il quarto riguarda il nodo dei beni sotto sequestro preventivo, compresi titoli, quote azionarie e liquidità, anche se in deposito; e indica che “l’organo di nomina giudiziale ne consente l’utilizzo e la gestione agli organi societari esercitando i necessari poteri di vigilanza”. La liquidazione dei beni sequestrati e la destinazione dei ricavi al fondo unico di Giustizia è una ipotesi prevista nel caso in cui “l’attività di impresa non sia concretamente e oggettivamente perseguibile”.

Ed è proprio in questo articolo che sta la vera “novità” di questo nuovo decreto. Una norma di carattere generale, che però va a modificare l’articolo 53 della legge 231 sulla responsabilità amministrativa delle società. Con la nomina del custode, “si intendono eseguiti e rispettati gli adempimenti previsti dal codice di procedura penale”. L’ultimo comma dell’articolo 4 stabilisce la retroattività per garantire che le modifiche si applichino anche ai sequestri già disposti alla data di entrata in vigore del decreto, quindi compreso il caso Riva Acciaio. L’ultimo articolo dispone l’immediata entrata in vigore delle norme: il dl va inquadrato come “ulteriori disposizioni urgenti a tutela di imprese di interesse strategico nazionale”. Et voilà, il giochino è fatto.

Più che le pressioni dei partiti e dei sindacati però, a condurre il governo sulla strada di un nuovo decreto, è stato il commissario Ilva Enrico Bondi, che oltre ad aver minacciato immediate dimissioni, ha sostenuto la tesi secondo cui il blocco degli stabilimenti della Riva Acciaio, finirebbe per colpire anche l’Ilva di Taranto, ostacolando così “il lavoro di risanamento ambientale e di rilancio sul mercato”. Sarà. Guarda caso però, il Governo è intenzionato ad allargare i poteri di Bondi, affidandogli anche le controllate dell’Ilva che potrebbe gestire direttamente o tramite sub commissari.

Anche se pare che durante l’incontro avuto nella tarda serata di ieri con i sindacati metalmeccanici, lo stesso Bondi non abbia manifestato la volontà di gestire anche i 7 stabilimenti della Riva Acciaio come commissario. Sia come sia, la verità resta soltanto una: il gruppo Riva ha abbandonato al suo destino anche gli stabilimenti del Nord, dopo aver fatto lo stesso con il siderurgico tarantino. Ed ora tocca al governo provare a tenere in vita, quasi come fosse un malato terminale, l’intero comparto siderurgico italiano che dipende per oltre la metà proprio dall’Ilva e dagli stabilimenti Riva del Nord.

Ciò detto, questa grande commedia all’italiana (come l’abbiamo ribattezzata ultimamente su queste colonne), ha un “acerrimo” nemico: la Procura di Taranto. Che continua a far fare brutte figure al governo, ai sindacati, a Confindustria, a Federacciai e a tutti coloro i quali non hanno capito praticamente nulla degli ultimi provvedimenti giudiziari della magistratura tarantina. Anche ieri, sia la Procura che il gip Patrizia Todisco, hanno ribadito che somme di denaro, conti correnti, titoli, valori e “ogni altro rapporto bancario e finanziario facente parte di complessi aziendali” devono ritenersi beni compresi nel complesso aziendale “essendo destinati all’esercizio dell’attività di impresa, già svolta in forma individuale o societaria e proseguita dall’amministratore giudiziario”.

Quindi non possono “affluire al Fondo unico di Giustizia se non in occasione dell’eventuale liquidazione dell’azienda”. La Procura ribadisce ancora una volta che beni e titoli possono essere usati dall’amministratore giudiziario, il commercialista tarantino Mario Tagarelli, e che su di essi non vi è alcun blocco. “Diversamente risulterebbero impedite l’attività e la gestione imprenditoriali – con tutti gli adempimenti ad essa connessi – facenti capo all’amministratore giudiziario”. Come scritto anche dal gip nella tarda serata di ieri infatti, spetta infatti all’amministratore giudiziario gestire i soldi sequestrati al Gruppo Riva, compresi i pagamenti, “purché venga assicurata la prosecuzione dell’attività aziendale e salvaguardate le finalità del sequestro” e “le somme non possono essere reimmesse nel possesso della proprietà perché ciò equivarrebbe ad un dissequestro”.

Così come è bene ricordare che il decreto di sequestro dei beni del Gruppo Riva “non riguarda i crediti” vantati dallo stesso nei confronti dei clienti e “non è stata posta alcuna preclusione all’uso dei beni da parte del soggetto proprietario”. Se il gruppo Riva vuol chiudere, è per una sua libera scelta: finire della sceneggiata. Quest’oggi, infine, il ministro all’ambiente Andrea Orlando incontrerà il commissario Ue all’ambiente Janez Potocnik a margine dei lavori dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York: l’incontro è l’ultima occasione per evitare che domani la commissione Ue apra una procedura di infrazione contro l’Italia per le violazioni ambientali dell’Ilva. Staremo a vedere.

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 25 settembre 2013)

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