Peacelink: “Che fine fa l’acqua che cade sull’Ilva?”

TARANTO Riceviamo e pubblichiamo una nota stampa dell’associazione ambientalista Peacelink.

Che fine fa l’acqua che cade sull’Ilva? E l’acqua con cui vengono bagnati i parchi minerali? In Italia persino un parcheggio per essere autorizzato deve essere dotato di un sistema di trattamento delle acque di prima pioggia. E la più grande acciaieria d’Europa possiede o no un sistema di trattamento delle acque di prima pioggia? Spinti da questo dubbio abbiamo chiesto al Garante dell’AIA se Ilva fosse in regola. Il Garante ha chiesto lumi ad Arpa.  E finalmente abbiamo la risposta ufficiale che alleghiamo a questo comunicato. Oggi giunge infatti la risposta ufficiale dell’ARPA alla richiesta di PeaceLink. Eccola:

“Si comunica che attualmente la struttura del sistema fognario asservito allo stabilimento Ilva spa di Taranto non consente la raccolta delle acque di prima pioggia, le quali vengono fatte confluire insieme agli altri scarichi dello stabilimento nei canali di scarico (canali Primo e Secondo), che l’azienda considera sedimentatori longitudinali”. Questo è quanto scrivono Giorgio Assennato e Massimo Blonda, rispettivamente Direttore Generale e Direttore Scientifico dell’Arpa Puglia al già Garante dell’AIA Vitaliano Esposito.

L’ARPA Puglia specifica di avere chiesto gli opportuni interventi “già dalla prima AIA” del 2011. L’inerzia che ne è seguita a questo punto è sotto gli occhi di tutti, alla luce del lapidario comunicato dell’ARPA. E’ inquietante che in tutto questo tempo un sistema indispensabile per la protezione delle acque (che tra l’altro non è una “migliore tecnologia” ma è un vero e proprio obbligo di legge) sia rimasto inattuato. E’ stato proprio il dott. Vitaliano Espostito (e poi ARPA in giornata) a comunicare per email questa imbarazzante informazione all’ISPRA e all’Ilva, oltre che a PeaceLink.

Ma che cosa prevede la legge a questo riguardo?

L’art. 113 del Decreto Legislativo del 3 aprile 2006 n. 152 (titolo III, capo IV: Ulteriori misure per la tutela dei corpi idrici) è molto chiaro nel prevedere che “ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, le Regioni, previo parere del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, disciplinano e attuano le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamentoprovenienti da reti fognarie separate”. Quindi è competenza della Regione predisporre e applicare la normativa. 

La Regione Puglia, con Deliberazione di Giunta del 19 giugno 2007, n. 883, ha adottato, ai sensi dell’art. 121 del D. Lgs. n. 152/2006, un “Piano di tutela delle Acque”. Tale piano impone che “le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne che dilavano dalle pertinenze di stabilimenti industriali, di cui alla definizione, devono essere raccolte in vasche a tenuta stagna e sottoposte ad un trattamento depurativo appropriato in loco tale da conseguire il rispetto dei limiti di emissione previsti dalla tab. 3 di cui all’allegato 5 del D.Lgs. 152/99, per le immissioni in fogna e nelle acque superficiali; il rispetto dei limiti di emissione previsti dalla tab. 4 di cui all’allegato 5 del D.Lgs. 152/99, nel caso di scarico sul suolo. Inoltre, le acque di dilavamento successive aquelle di prima pioggia, che dilavano dalle pertinenze di stabilimenti industriali e che non recapitano in fognatura, devono essere sottoposte, prima del loro smaltimento, ad un trattamento di grigliatura, disoleazione e dissabbiatura”.

Il piano regionale prevede delle sanzioni: “Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle Regioni ai sensi dell’articolo 113, comma 1, lettera b), è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da millecinquecento euro a quindicimila euro“.  L’art. 137, comma 9 D.Lgs. 152/06, dichiara che “chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle Regioni ai sensi dell’articolo 113, comma 3 (ossia chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata), è punito con l’arresto da due mesi a due anni o con l’ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro“. A questo punto la domanda è d’obbligo: chi non ha agito fino a ora per applicare la legge? Ci sono responsabilità politiche visto che l’organo tecnico aveva già segnalato il problema? La questione sarà portata all’attenzione della Procura della Repubblica.

Per PeaceLink 

Antonia Battaglia
Fulvia Gravame
Luciano Manna
Alessandro Marescotti

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