Tra richieste continue di intervento e voti in dissenso dal gruppo, il 5 Stelle ha infatti rallentato i lavori dell’Aula, con il chiaro intento di far slittare l’avvio dell’esame del decreto sull’Ilva. L’obiettivo, negli intenti dei senatori del M5S, è quello di mettere quanta più pressione possibile al governo, in modo tale da convincerlo a correggere alcuni passaggi del testo, quanto meno limitando le deroghe in materia ambientale e penale. L’ostruzionismo in Aula da parte del Movimento, era stato annunciato dopo che tutti gli emendamenti presentati al testo licenziato dalla Camera, erano stati bocciati o ritirati e trasformati in ordini del giorno, dopo la richiesta del governo accolta dalle commissioni Industria e Ambiente del Senato al rientro dalla “vacanza” di due giorni all’interno dell’Ilva e in riva alla città dei Due Mari. L’esecutivo, come contropartita dopo l’ok alla sua richiesta, si è impegnato ad attuare una serie di modifiche al testo, definite “migliorative”.
A causa dei ritardi imposti dal M5S, il cui atteggiamento è stato fortemente criticato dalla triplice alleanza formata delle larghe intese formata da Pdl, Pd e Scelta Civica, la Conferenza dei capigruppo ha approvato alcune integrazioni al calendario dei lavori, stabilendo che a palazzo Madama si lavorerà sino al prossimo 9 agosto. Dopo le votazioni sul decreto Lavoro, interrottesi ieri alle 20 e che si concluderanno entro oggi, si andrà avanti nell’esame del decreto legge sull’Ilva e su quello degli Ecobonus. Difficilmente però, il governo cederà su alcune questioni chiave in merito alla vicenda del siderurgico tarantino, specialmente per quanto attiene alla nomina del commissario Enrico Bondi, contestata dal SEL e M5S, ma mai in discussione o per quanto attiene il peso dei dati epidemiologici in campo sanitario. Nel caso dovesse verificarsi ciò che al momento è considerato imponderabile, ovvero la mancata conversione in legge del decreto 61, bisogna ricordare che resterebbe comunque in vigore la legge 231/2012 approvato dal governo Monti. Ciò comporterebbe però il mancato commissariamento dell’Ilva, la destituzione di Bondi e un’azienda nuovamente allo sbando visto che all’indomani del decreto varato dal governo Letta lo scorso 4 giugno, fu azzerato l’intero Cda dell’azienda. In pratica, si tornerebbe indietro di sette mesi. Come in un eterno gioco dell’oca in cui da anni è finita la vicenda Ilva.
Gianmario Leone (Il Manifesto)
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