Ilva, la settimana della verità

TARANTO – Inizia oggi una settimana, l’ennesima, che potrebbe rivelarsi decisiva per il futuro dell’Ilva. In effetti è da quasi un anno che, a distanza di qualche mese, ci troviamo di fronte all’inizio di “settimane decisive”. Quest’oggi infatti arriverà in via Cristoforo Colombo 44 a Roma, sede del ministero dell’Ambiente, la relazione dei tecnici ISPRA dopo la seconda ispezione effettuata all’Ilva nei giorni 28-29-30 maggio. Documento atteso con ansia dal governo, che leggendo quel rapporto proverà a farsi un’idea su qual è la reale situazione in cui versano gli impianti, rispetto all’adempimento delle prescrizioni previste dall’AIA. Disposizioni, ben 94, che è bene ricordare riguardano soltanto le emissioni nell’aria: perché la commissione IPPC è ancora a lavoro per quanto concerne quelle riguardanti l’utilizzo delle acque e la gestione interna dei rifiuti.

Come scriviamo da tempo, lo Stato si è infilato in un labirinto dal quale sarà molto difficile uscire indenni. Il gruppo Riva si è infatti da tempo disimpegnato sia per quanto concerne la gestione dell’Ilva che per il risanamento degli impianti dell’area a caldo previsto dall’AIA che fu “assorbita” dalla legge 231, la ‘salva-Ilva’. Detto dell’impossibilità di una nazionalizzazione che incontrerebbe il veto dell’Ue, così come dell’ipotesi di riscrivere in parte la legge Marzano del 2004, il governo ha deciso di restare nel recinto della legge 231/2012, emanando un nuovo decreto legge che migliori e renda più attuale il testo redatto lo scorso dicembre.

Il problema, è come farlo. La via del commissariamento appare la più probabile. Ma a chi affidare l’Ilva? Sarebbe meglio un commissario che si occupi soltanto dell’applicazione dell’AIA, lasciando all’azienda la gestione degli impianti per proseguire senza intoppi l’attività produttiva? Oppure nominare un commissario che gestisca il tutto? E chi potrebbe ricoprire questo ruolo? Un manager come Enrico Bondi, ad dimissionario dal Cda Ilva e comunque legato alla famiglia Riva, oppure un uomo delle istituzioni? Non solo. Dove andare a prendere i soldi per avviare e realizzare il risanamento degli impianti? Non certo dalle casse della neonata Ilva Spa. Né in quelle della Riva FIRE, che la Guardia di Finanza ha già trovato quasi all’asciutto in questi giorni, nel tentativo, vano, di rendere effettivo il sequestro per equivalente della cassaforte italiana dei Riva ordinata dal gip Patrizia Todisco.

Altro che 8 miliardi di euro. Se si arriverà al miliardo, ammesso e non concesso che il Riesame dia ragione alla Procura, si dovrà brindare al successo. Dunque, chi tirerà fuori soldi per risanare l’Ilva? Ovviamente il governo eviterà di intervenire direttamente. Come ripetiamo da tempo infatti, si cercherà di coinvolgere un gruppo di banche (Banca Intesa San Paolo, Gruppo UBI e Banca Leonardo le più accreditate), la Cassa Depositi e Prestiti e i fondi previsti dall’Ue nel piano della siderurgia che sarà presentato il prossimo 11 giugno. In questo caso punto di riferimento sarà la BEI (Banca europea degli Investimenti), che già nel 2010 erogò un misterioso prestito di 400 milioni alla Riva FIRE ed all’Ilva Spa.

Oltre ad aver approvato anni fa un prestito di 90 milioni di euro per il progetto della “Nuova Taranto Cementir”, attualmente congelato dal gruppo Caltagirone. Vedremo, dunque, cosa riferirà il premier Enrico Letta alle Camere domani. E soprattutto cosa uscirà dal Consiglio dei Ministri straordinario convocato sempre per la stessa giornata. Ma l’ultima parola, ancora una volta, spetterà al Cda dell’Ilva, che si riunirà, guarda caso, mercoledì, proprio all’indomani delle decisioni del governo. Scommettiamo che se ancora una volta si porgerà l’altra guancia agli interessi economici dell’Ilva e dei poteri forti, rientreranno tutte le dimissioni, per ora soltanto minacciate, dei vari Bondi, Ferrante e dei 34 kapò tra dirigenti, capi reparto e capi area dell’Ilva? Chi vivrà vedrà.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 03.06.2013)

 

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