Ilva, la battaglia dell’acqua non è finita

“Trovo ingiustificabile il rinvio per l’assenza del Presidente Vendola, competente sull’argomento, e di altri componenti del governo regionale, dei lavori odierni della V commissione consiliare”. A parlare è il consigliere regionale Fabiano Amati, ex assessore regionale alle opere pubbliche. La riunione convocata mercoledì, aveva come obiettivo quello di discutere dell’avvio in esercizio dell’impianto di ultraffinamento Gennarini-Bellavista di Taranto, il cui utilizzo permetterebbe di sostituire con acque ultra affinate quelle prelevate dallo schema idraulico del Sinni e del Tara, attualmente utilizzate da Ilva (il cui consumo ammonta a 250 litri al secondo) e di invasare, con la risorsa risparmiata, la Diga del Pappadai (in fase di collaudo) consentendo così di mettere in funzione un’opera utile ad integrare la richiesta di acqua sia potabile che utilizzata per scopi irrigui: ma bisognerà agire in fretta, altrimenti il rischio prossimo molto concreto è quello di perdere i 14 milioni di euro stanziati dalla Protezione civile nazionale. Il risparmio idrico, una sua migliore gestione e l’attivazione di opere realizzate con ingenti risorse pubbliche, è stato infatti un tema centrale nella politica dell’ex assessore Amati. Il Presidente della V commissione consiliare, Donato Pentassuglia, si è impegnato  a convocare una nuova riunione il prima possibile, affinché si possa discutere dell’argomento con la presenza dei rappresentanti del governo regionale.

Ma la battaglia sull’oro blu, che abbiamo seguito per anni su queste colonne, ha radici lontane. Il punto di non ritorno, che segnò l’inizio dello scontro frontale tra l’ex assessore Amati e l’Ilva, è datato ottobre 2011. Quando in quel di Potenza si svolse la riunione del “Comitato di coordinamento per l’accordo Puglia-Basilicata”. In quell’occasione fu accolta la proposta della Regione Puglia che prevedeva che dal 2012 il costo dell’acqua per uso agricolo sarebbe stato ridotto del 25% , mentre quello per uso industriale sarebbe aumentato nella misura del 250% nel 2012, del 400% nel 2013 e del 500% nel 2014. Le variazioni dovevano riguardare le imprese agricole ed industriali che utilizzano la risorsa prelevata dalla Regione Basilicata, calcolate sul costo sostenuto nel 2011.

La revisione del modello tariffario, stabilito soltanto in via provvisoria dal Comitato nel 2004, rientrava nel percorso indicato da una direttiva europea che prevedeva come a partire dal 2010 gli Stati membri avrebbero dovuto provvedere “affinché le politiche dei prezzi dell’acqua incentivino i consumatori a usare in modo efficiente le risorse idriche e perché i vari settori di impiego dell’acqua contribuiscano al recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi per l’ambiente e le risorse”. Il Comitato di Coordinamento stabilì quindi un percorso di variazione graduale delle tariffe, che avrebbe comportato l’incremento della componente ambientale per il settore industriale fino al quintuplo della tariffa stabilita per l’uso potabile: a fronte di ciò, il settore irriguo avrebbe beneficiato già dal 2012 di una riduzione tariffaria del 25%.

E’ bene inoltre ricordare come la Regione Puglia abbia cercato invano, attraverso una lunga e complicata trattativa tra 2010 e 2011, di convincere l’Ilva ad utilizzare l’uscita del depuratore Gennarini-Bellavista, la cui costruzione sarebbe stata affidata all’Acquedotto pugliese. Al siderurgico sarebbe stato assegnato il compito di provvedere ai costi di gestione dell’impianto adoperato per il “riciclo” dell’acqua. Se avesse accettato la proposta della Regione, l’esborso per l’azienda sarebbe stato di poco superiore al milione di euro. In base all’aumento graduale previsto da quanto stabilito nell’ottobre del 2011 invece, l’Ilva dal 2012 al 2014 avrebbe dovuto sborsare tra i 6 e i 12 milioni di euro. Invece ancora oggi, per il prelievo di 250 litri al secondo dall’invaso del Sinni, spende “appena” 2 milioni 500mila euro. “Appena”, sì: perché il costo della componente ambientale é sempre stato uguale per tutti: da una semplice famiglia sino alla più grande azienda siderurgica europea, abbiamo sborsato 8 centesimi di euro a metro cubo.

Ma la storia non finisce di certo qui. Perché la prescrizione di utilizzo delle acque ultra affinate del depuratore Gennarini-Bellavista era contenuta anche nel decreto di autorizzazione integrata ambientale (AIA) emesso dal ministero dell’Ambiente nel 2011, proprio in recepimento delle richieste della Regione Puglia contenute nella delibera della Giunta regionale del 4 luglio 2011. Prescrizione contro la quale Ilva presentò ricorso al TAR di Lecce, così come per altre presenti nella precedente AIA. Per fortuna però, nel 2012 i giudici amministrativi di Lecce rigettarono il ricorso dell’azienda, ritenendo legittima la prescrizione richiesta dalla Regione Puglia “di obbligare ILVA, entro 24 mesi, alla predisposizione di un sistema di distribuzione interna, al fine di utilizzare nei propri impianti produttivi, e prioritariamente, le acque affinate degli impianti reflui civili di Taranto Gennarini/Bellavista, secondo accordi da stipulare con la Regione Puglia, che disciplineranno le modalità di gestione degli impianti e la relativa contribuzione annuale fissa al costo di gestione a carico di ILVA”.

Parallelamente, il TAR ritenne legittimo l’ulteriore obbligo a carico dell’Ilva “di predisporre, entro sei mesi dal rilascio dell’AIA, uno studio di fattibilità finalizzato a ridurre il prelievo primario del 20% entro 3 anni e del 50% entro la scadenza dell’AIA, mediante il riuso delle acque dolci usate nel ciclo produttivo e attraverso il riutilizzo delle acque degli impianti di trattamento reflui civili della zona, secondo accordi da stipulare con la Regione, compatibilmente con la fornitura quali-quantitativa conforme alle esigenze di utilizzo”. La motivazione di legittimità posta a fondamento del rigetto del ricorso, nella parte relativa alle prescrizioni sull’approvvigionamento idrico dell’industria siderurgica tarantina, era relativa al potere della Regione di incentivare il risparmio delle risorse idriche ha ora un esplicito riferimento nell’art. 99, secondo comma, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per il quale “le regioni, nel rispetto dei principi della legislazione statale, e sentita l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, adottano norme e misure volte a favorire il riciclo dell’acqua e il riutilizzo delle acque reflue depurate”.

A sua volta il D.M. 12 giugno 2003 n.185, richiamato nella prescrizione impugnata, ha dettato norme tecniche “per il riutilizzo delle acque reflue domestiche, urbane ed industriali attraverso la regolamentazione delle destinazioni d’uso e dei relativi requisiti di qualità, ai fini della tutela qualitativa e quantitativa delle risorse idriche, limitando il prelievo delle acque superficiali e sotterranee, riducendo l’impatto degli scarichi sui corpi idrici recettori e favorendo il risparmio idrico mediante l’utilizzo multiplo delle acque reflue” (art. 1, primo comma). Tenuto conto del quadro normativo, la prescrizione con cui si favorisce l’uso delle acque affinate dell’impianto Gennarini/Bellavista “si dimostra legittima e ragionevole, dal momento che viene accompagnata da una serie di misure volte a impedire sostanziali nocumenti all’attività produttiva, poiché l’utilizzazione delle acque non è prevista in via esclusiva (bensì “prioritariamente”), a seguito di accordi con la Regione Puglia” e, soprattutto, “compatibilmente con la fornitura quali-quantitativa conforme alle esigenze di utilizzo”.“Negli stessi termini del previo accordo con la Regione e della compatibilità con le esigenze di utilizzo si esprime la prescrizione del parere istruttorio (che onera Ilva di predisporre uno studio di fattibilità finalizzato a ridurre il prelievo primario)”.

Tutto questo però è finito nel congelatore amministrativo proprio con il riesame dell’AIA del 2011, deciso dal ministro dell’Ambiente, Corrado Clini. Non è un caso, del resto, se la parte relativa all’acqua è ancora in fase di studio della commissione IPPC. Nel frattempo l’acqua continua a scorrere. E il rischio di perdere l’ennesima occasione, in termini di investimento, che possa ricongiungerci al concetto di giustizia sociale e di rispetto dell’ambiente, è molto più che concreto. “Spendiamo milioni e milioni per cercare acqua su Marte e non facciamo niente per conservarla qui e per cercarne di più per quelli che hanno sete” (José Luis Sampedro, La senda del drago).

Gianmario Leone (TarantoOggi, 26.04.2013)

 

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