Ilva, al via l’exit strategy

TARANTO – Il tempismo è sempre stato un “pregio” del gruppo Riva. A nemmeno 48 ore di distanza dal pronunciamento della Consulta, il consiglio di amministrazione di Ilva Spa riunitosi ieri a Milano, ha ufficializzato la nomina di Enrico Bondi ad amministratore delegato della società, confermando nel ruolo di presidente Bruno Ferrante. Il tutto era stato ampiamente anticipato mercoledì 27 marzo dall’ex prefetto, durante un incontro con gli operai per gli auguri di Pasqua. In quell’occasione Ferrante annunciò anche che contemporaneamente alla nomina di Bondi come ad, sarebbe stato approvato dal Cda il bilancio 2012: ma nella riunione di ieri l’approvazione è stata rinviata ad altra seduta.

L’obiettivo che sottende a questa operazione, l’ha svelato senza timori lo stesso Ferrante il 27 marzo: rendere l’Ilva Spa una società autonoma e indipendente rispetto alla proprietà dei Riva, staccandola dal gruppo Riva FIRE. Operazione che per Ferrante è “un segnale di grande serietà da parte degli azionisti che hanno deciso di affidare l’azienda a persone esterne”. Cosa ci sia di serio in un’operazione del genere è del tutto sconosciuto a noi comuni mortali. Certo è che nel prossimo futuro non ci saranno più componenti della famiglia Riva ai vertici dell’Ilva, di cui il gruppo Riva FIRE sino ad oggi ha detenuto l’87% delle azioni. Dopo la nomina di Bruno Ferrante alla presidenza dell’Ilva lo scorso 10 luglio e quella di ieri di Bondi come ad, il cerchio si è chiuso.

Ed è chiaro che il sostenere la tesi secondo cui questo cambio di poltrone sia unicamente da giustificare come logica conseguenza del terremoto giudiziario che ha colpito i vari componenti della famiglia Riva, altro non è che un gioco dialettico buono soltanto per chi non conosce i Riva e crede ancora alle favole. Come ad esempio la Fim Cisl e la Uilm Uil, che negli ultimi giorni hanno sostenuto la peregrina tesi secondo cui “ora con Bondi e Ferrante ci sono tutte le premesse – è stato il commento dei due sindacati – per un effettivo rilancio dell’Ilva”. Ma come scriviamo da tempo, la decisione di rendere l’Ilva Spa un’azienda autonoma del tutto staccata dal gruppo Riva FIRE, è un segnale sin troppo chiaro.

La nomina di Enrico Bondi come amministratore delegato, con l’ingresso nel Cda di professionalità esterne, la logica conseguenza. Un’operazione che mette al sicuro gli impianti esteri e quelli italiani non collegati direttamente alla produzione del siderurgico tarantino. L’unica a restare isolata, sarà appunto la società Ilva. Questo vuol dire che anche qualora il gruppo Riva decidesse di effettuare gli investimenti previsti dall’AIA per il risanamento degli impianti, la liquidità dovrà uscire dalle casse dell’Ilva Spa. Che sino al mese scorso veniva data in grandissima difficoltà economica dallo stesso Ferrante. Non è un caso del resto se il bilancio 2012, il piano industriale e il piano investimenti a copertura degli interventi previsti per il risanamento degli impianti, devono ancora essere presentati. Inoltre, questa operazione consentirà di mettere definitivamente al sicuro i beni della famiglia Riva (ovvero della Riva FIRE) dal rischio di un sequestro da parte della Procura di Taranto.

Per mesi infatti si è insistito sulla possibilità che la Procura potesse effettuare un sequestro di beni equivalente ai miliardi di euro necessari per gli interventi di risanamento della fabbrica, come garanzia che gli stessi venissero effettivamente svolti. Separare l’Ilva Spa dal gruppo Riva FIRE significa rendere la società completamente autonoma e indipendente dalla holding di famiglia, dopo che dal ’95 ad oggi proprio l’attività del siderurgico tarantino è stata la principale entrata per la cassaforte della famiglia. Inoltre, operando in questa direzione, i debiti sin qui contratti con banche e fornitori, resteranno soltanto sulle spalle dell’Ilva Spa.

I debiti finanziari totali della società, come riportammo nei mesi scorsi, sono passati da 335 milioni di euro nel 1996 a 2,9 miliardi di euro nel 2011, di cui soltanto 705 milioni con le banche (la più esposta sarebbe Intesa San Paolo, seguita a grande distanza dalla Popolare di Bergamo del gruppo UBI B.), corrispondenti a circa un quarto del totale. Il rimanente 75% sono debiti finanziari nei confronti delle altre società del Gruppo Ilva e della controllante Riva FIRE Spa. Che però adesso sarà tagliata fuori. Secondo un calcolo effettuato dal centro studi Siderweb, gli interventi previsti dall’AIA che dovranno concludersi entro dicembre 2015, rappresenteranno il 76% di tutti gli investimenti che Ilva ha effettuato nello stabilimento di Taranto dal 1995 al 2011. Dunque risulta sin troppo chiaro che, in assenza di un consistente aumento di capitale, la società registrerà una significativa perdita.

Ma che la grande operazione del disimpegno dei Riva abbia avuto inizio, lo conferma anche quanto accaduto mercoledì a Pratica, provincia di Frosinone, dove l’Ilva è presente con un impianto di laminazione a freddo (1 Linea di zincatura a caldo/alluminiatura) e uno di finitura (82 Linee di finitura e taglio). In pratica lì si lavorano alcuni dei coils e dei nastri prodotti a Taranto. Ma proprio l’altro ieri, giorno del pronunciamento della Consulta, ai lavoratori e ai sindacati la proprietà ha comunicato la richiesta di cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività.

In pratica l’imminente chiusura dello storico sito produttivo di Patrica. Per i lavoratori si prospetterebbero 24 mesi di cigs. Eppure, appena pochi mesi fa, l’azienda annunciò che la fabbrica di Patrica doveva diventare l’officina dell’intero gruppo. In ballo ci sono 80 posti di lavoro. Ma da Pratica arriva anche una notizia inedita: martedì 16 aprile a Roma è previsto un vertice di tutto il gruppo con il sindacato. Dunque, il gruppo Riva ha deciso di partire con lo smantellamento, dalla periferia dell’impero Ilva. Probabilmente, in un prossimo futuro, toccherà all’Ilvaform di Salerno, ai Centri servizio Ilva (Legnano, Marghera, Paderno Dugnano, Torino) ed a seguire agli altri impianti Ilva (Genova, Novi Ligure e Racconigi). Lo scriviamo da tempo: sino ad oggi non abbiamo ancora visto nulla rispetto a ciò che accadrà all’Ilva. Ad maiora.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 12.04.2013)

 

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