Ilva, “futuro” senza i Riva

TARANTO – I contratti, quelli ufficiali, non sono ancora stati firmati (per ora c’è solo quello da consulente), ma ora la notizia ha i crismi dell’ufficialità: Enrico Bondi sarà il prossimo amministratore delegato dell’Ilva. La sua nomina dovrebbe avvenire verso la metà di aprile, dopo che sarà approvato il bilancio 2012 dell’Ilva. Ma la notizia più importante, che è destinata a disegnare scenari delineati su queste colonne in tempi non sospetti, è un’altra. L’Ilva S.p.A. oggi controllata all’87% da Riva FIRE, diventerà una società autonoma. Il tutto è stato annunciato dal presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, che ieri ha ritrovato la parola dopo un periodo di silenzio. L’occasione è stato il precetto pasquale con tanto di messa officiata dall’arcivescovo di Taranto nello stabilimento tarantino.

Dunque, dopo 18 anni di gestione Riva, l’Ilva è destinata a diventare una società autonoma con un consiglio di amministrazione aperto, in cui siederanno anche “professionalità esterne”. Stando a quando dichiarato ieri da Ferrante, questa decisione è stata presa dagli azionisti “che hanno deciso di affidare l’azienda a persone esterne”. L’Ilva del futuro quindi, non vedrà componenti della famiglia Riva ai vertici, ed avrà ancora Ferrante come presidente e Bondi come ad.

Appena una settimana fa, su queste colonne, parlando dell’ipotesi dell’arrivo di Bondi, avevamo parlato di primo vero passo d’addio dei Riva nella gestione dell’Ilva: non ci eravamo sbagliati. Ma chi pensa che il nuovo corso sia già iniziato, si sbaglia di grosso. Perché molto, se non tutto, dipenderà da cosa accadrà il prossimo 9 aprile, giorno in cui la Corte Costituzionale si esprimerà sulla legittimità dei ricorsi presentati dal gip Todisco e dal tribunale dell’Appello in merito alla legge 231 del 24 dicembre scorso, che dopo aver recepito l’AIA, ha autorizzato l’Ilva a continuare la produzione e a commercializzare quanto realizzato prima del 3 dicembre scorso, restituendo all’azienda anche l’intera area a caldo (tutt’oggi sotto sequestro virtuale).

“Aspettiamo fiduciosi”, ha commentato il buon Ferrante. Ma la minaccia, rivolta in primis agli operai, è dietro l’angolo. “Vi rendete tutti conto che quella decisione è strategica – ha dichiarato il presidente Ilva rivolgendosi alle maestranze presenti -. Se la Corte dovesse stabilire che quella legge è costituzionale e legittima, tireremmo un sospiro di sollievo”. Ma l’azienda, in caso contrario, é pronta “a valutare situazioni differenti e scenari diversi. Abbiamo discusso su diverse opzioni, compresa quella che non liberalizza i prodotti”. Ma cosa farà l’Ilva qualora la Corte dovesse accogliere i ricorsi, Ferrante non lo dice. Semplicemente perché il plurale è usato in maniera fuorviante. Perché l’unico scenario possibile, in caso di “sconfitta”, è la chiusura.

E’ lo stesso Ferrante a lasciarlo intendere, nemmeno troppo velatamente. Partendo dal classico assunto di sempre: “Dobbiamo esprimere tutta la nostra capacità produttiva”. Anche perché pare che nell’ultimo Cda sia stato approvato il famoso piano industriale che prevede l’applicazione dell’AIA e il piano investimenti. Ma tutto questo è legato a doppio filo alla decisione della Consulta. Il ragionamento di Ferrante è il seguente: “Riteniamo sostenibile tutto questo (si riferisce agli investimenti previsti dall’AIA, ndr). Si può fare se questo stabilimento continuerà a produrre.

Bisogna investire ogni giorno nella capacità produttiva. Da essa è condizionato il futuro. Se Taranto produce ad un livello adeguato, noi avremo prospettive per il futuro”. Dunque, la minaccia è sempre la stessa: o ci lasciate produrre, o chiudiamo baracca e burattini. E la colpa non sarà di certo la nostra. Certamente però, non è un caso se la nomina di Bondi come ad e l’approvazione di bilancio, avverrà soltanto dopo il 9 aprile (ammesso e non concesso che ciò accada davvero). Come a dire che i numeri sono ancora in ballo. E potrebbero cambiare a seconda della decisione dei Giudici Supremi: non il massimo della serietà, quindi.

Del resto è stato lo stesso Ferrante a confermare come la predisposizione del bilancio dell’Ilva sia ancora in corso: “Un bilancio non semplice, complesso. Un’azienda che subisce l’iniziativa dell’autorità giudiziaria deve fare bene i conti per consentire di avere continuità. Stiamo coinvolgendo società specializzate in analisi di bilancio e professionalità esterne per costruire un bilancio credibile e sostenibile”. Soltanto all’ultimo Ferrante ha pensato bene di tornare a parlare di sicurezza sul lavoro in fabbrica, ricordando i tre infortuni mortali degli ultimi mesi (su quello di Ciro Moccia del 28 febbraio scorso il presidente Ilva non proferì parola alcuna), ammonendo (non sa chi visto che il presidente dell’Ilva è lui) come “la sicurezza non può essere mai abbandonata.Queste cose non devono più accadere, bisogna investire sempre più e dedicare alla sicurezza ogni istante delle nostre giornate lavorative”. Sarà.

Dopo di che, un passaggio sui contratti di solidarietà. “L’accordo denota la precisa volontà dell’azienda di andare avanti”. Ma Ferrante non spiega il perché sia stato deciso di estendere i contratti di solidarietà all’intero stabilimento (oltre 11mila operai) e perché la durata dell’accordo copra soltanto i prossimi 12 mesi, quando per legge gli stessi possono essere estesi sino ad un massimo di 36 mesi. “Dopo i contratti c’è un futuro, c’è un recupero di tutti i posti di lavoro. E’ un elemento molto positivo e di continuità aziendale”. Peccato che questa certezza, al momento, sia presente soltanto nella mente del presidente Ferrante. Ciò detto, ribadiamo quanto sostenuto già la scorsa settimana.

Un manager come Bondi non arriva per gestire i conti di un’azienda per un anno o due. Il suo ruolo, come recita il suo curriculum, è ben diverso. Gestisce fallimenti. Cessioni o passaggi di proprietà. Ed è molto abile a difendere i vertici delle aziende che lo assumono. Basti pensare che quando gestì il caso Parmalat, riuscì a farsi restituire dalle banche oltre 2 miliardi di euro. Ecco: i Riva hanno puntato su Bondi per gestire la loro uscita dall’Ilva, recuperare quanti più soldi è possibile dalle banche e magari da una futura vendita. Non certo per salvare Taranto e i suoi operai. Né per risanare gli impianti o bonificare ciò che hanno contribuito pesantemente ad inquinare. Né per risarcire un intero territorio e i suoi abitanti. Ma questo i nostri sindacati, così come le nostre istituzioni, lo capiranno nel tempo. Non prima di qualche mese. Quando però sarà oramai troppo tardi. “Nonostante tutte le tempeste, noi non abbiamo chinato la testa” ha concluso ieri Ferrante. Un guanto di sfida lanciato nel momento più importante per l’Ilva e la città di Taranto. Ma che cela ben altro. “La coscienza è soltanto una parola che sogliono usare i vigliacchi, ed è stata inventata apposta per tenere in soggezione i forti” (William Shakespeare, Riccardo III).

Gianmario Leone (TarantoOggi, 28.03.2013)

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