L’Ilva e il mercato ballerino

TARANTO – In attesa di sapere se l’Ilva monterà le barricate all’interno del siderurgico per evitare ai custodi giudiziari di procedere alla vendita del milione e 700 mila tonnellate, proviamo a capire cosa accadrà sul mercato dell’acciaio qualora l’Ilva dovesse realmente rispettare le fermate indicate nella tabella di marcia del piano di ristrutturazione aziendale. Attualmente sono fermi l’altoforno 1 e cinque batterie delle cokerie. Nel periodo marzo 2013 dicembre 2015, si fermeranno altri impianti, ma anche altre unità produttive, come lo stabilimento di Patrica (in provincia di Frosinone nel Lazio) ed il centro servizi di Torino.

Per le altre unità produttive ogni valutazione verrà effettuata in seguito. Come sostenuto dall’azienda, le fermate comporteranno un’inevitabile riduzione dei volumi produttivi. In base alla tabella di marcia degli impianti, nel corso della ristrutturazione la produzione giornaliera scenderà da 18.000 tonnellate/giorno di acciaio nel periodo di fermata dell’altoforno 1 a 10.000 tonnellate/giorno nel periodo di contemporanea fermata degli altiforni 1 e 5,  rispetto alle 30.000 tonnellate/giorno ottenibili in pieno assetto produttivo. Questo significa una riduzione della produzione di acciaio da 8,3 milioni di tonnellate del 2012 a 6,5 milioni nel 2013 (con la chiusura dall’altoforno 1) e a 3,6 milioni nel 2014 (con la contemporanea chiusura di AFO 1 e 5).

Pertanto, già quest’anno verranno a mancare sul mercato 1,8 milioni di tonnellate di bramme che, qualora non venissero sostituite con importazioni dall’estero, secondo il Centro Studi Siderweb comporteranno una diminuzione dell’offerta di coils a caldo per 1,7 milioni di tonnellate e di lamiere per 151 mila tonnellate. Nel 2014 l’impatto sarà ancora maggiore in quanto la produzione di bramme diminuirà di 4,7 milioni di tonnellate rispetto al 2012, che provocheranno una minore offerta di coils a caldo per 4,3 milioni di tonnellate e di lamiere per 368 mila tonnellate. Ma quali saranno gli impatti reali sul mercato italiano?

Molto dipenderà dalla richiesta e dal consumo di acciaio nei prossimi due anni. Ad esempio, nel 2013 la domanda interna di acciaio sarà ancora condizionata dalla recessione, quindi negativa: motivo per cui l’impatto della riduzione  dell’offerta dell’ILVA di coils a caldo e lamiere sarà modesto. Più critica si potrebbe invece rilevare la situazione nel 2014: perché il calo dell’offerta di prodotti da parte dell’ILVA sarà più consistente e perché in molti ipotizzano una ripresa economica che quindi provocherà un aumento del consumo apparente di acciaio per la necessità di ricostituire un livello di scorte adeguato. Secondo il Centro Studi Siderweb “nel 2014 potrebbero quindi verificarsi tensioni sui prezzi dei coils a caldo, a maggior ragione se l’ILVA non decidesse di sostituire la riduzione della propria produzione di bramme con le importazioni. In questo caso gli utilizzatori nazionali di coils dovrebbero approvvigionarsi direttamente all’estero, sobbarcandosi i maggiori costi di trasporto e gli oneri finanziari connessi alla riduzione dei termini di pagamento delle forniture”.

A Terni una triade Marcegaglia-Arvedi-Aperam?

Eppure, mentre Piombino non si sa che fine farà e Taranto attende con ansia la decisione della Corte Costituzionale sui ricorsi di gip e tribunale dell’Appello sulla legge 231 “salva-Ilva”, a Terni la situazione appare in continua evoluzione. In Umbria si produce il 75% degli acciai speciali piani prodotti in Italia (in particolare nastri a caldo e a freddo, più tubi saldati), metalli inossidabili che finiscono per gli elettrodomestici e le automotive a più alto valore aggiunto (le marmitte delle macchine dei segmenti premium e lusso, più parti del vano motore). L’acciaieria di Terni conta 3mila lavoratori e al suo interno una sede del Centro Sviluppo Materiali, la maggiore società di ricerca applicata nel campo della siderurgia italiana, che dal 2000 ha ricevuto commesse oltre 50 milioni di euro.

Ed è di ieri la notizia secondo cui la Marcegaglia SpA ha esplicitato la volontà di partecipare a una cordata con la società Arvedi e la lussemburghese Aperam per l’acquisto delle Acciaierie di Terni: le produzioni di acciaio inox dello storico complesso, infatti, sono per le attività Marcegaglia di grande importanza. Terni produce l’acciaio che la Marcegaglia trasforma. Le stesse lavorazioni le fa il gruppo Arvedi a Cremona. Una cordata italiana/straniera dunque, si appresta ad acquistare le acciaierie di Terni dai filandesi costretti a vendere dall’antitrust europeo.

Proprio tre giorni fa, guarda caso, scrivevamo di come la salvezza per l’acciaio italiano dovrà inevitabilmente passare dal superamento della gestione familiare delle imprese che comporterà una grandissima ristrutturazione. Ma il problema, resta sempre l’Ilva. La stessa Marcegaglia ha parlato ieri di “pianificazione difficoltosa, a livello produttivo e gestionale, soprattutto perché cominciano ad evidenziarsi problemi rispetto alla fornitura di materia prima, a causa in particolare delle incertezze dell’Ilva”.

E proprio ieri si è diffusa una voce tra gli operatori del settore siderurgico. A quanto pare ormai diverse voci danno per già operativo un consorzio di 5/6 aziende orientate all’acquisto all’estero di diverse decine di migliaia di tonnellate di coils a caldo. Consorzio operativo nel settore dei tubi che punta inoltre anche ad aprire canali di vendita verso il territorio nordafricano. Ma siamo appunto alle voci. Che “qualcuno” ha tutto l’interesse a far circolare.

G. Leone (TarantoOggi, 23.02.2013)

 

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