Ilva, ricatto a catena: «Operai a casa» (Il Manifesto)

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TARANTO –  Un’altra giornata ad alta tensione sul fronte Ilva.  Ieri il gip Patrizia Todisco ha respinto l’istanza presentata dall’azienda per rientrare in possesso dei prodotti finiti e semilavorati posti sotto sequestro dallo scorso 26 novembre. La richiesta era stata avanzata dall’azienda alla Procura prendendo in considerazione il decreto legge, denominato “salva Ilva”, varato il 3 dicembre.

Dopo il parere negativo fornito dalla Procura, l’istanza era quindi passata al vaglio del gip. Secondo quanto sostenuto dalla Procura, nei confronti dei prodotti sequestrati non è possibile applicare il decreto perché questo non avrebbe effetto retroattivo. «L’attività con la relativa produzione avvenuta prima dell’emanazione del decreto – viene specificato dalla Procura – non è soggetta alle regole ivi contenute».

E anche le motivazioni fornite dal gip si sono allineate sulla stessa posizione. La Todisco, infatti, cita un passaggio del decreto legge, in base al quale “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto la società Ilva spa è immessa nel possesso dei beni dell’impresa ed è in ogni caso autorizzata […] alla prosecuzione dell’attività produttiva nello stabilimento ed alla conseguente commercializzazione dei prodotti per un periodo di 36 mesi (durata dell’Aia, ndr)”. Ciò, secondo il gip, “impone di escludere radicalmente che si sia voluto attribuire efficacia retroattiva alla disposizione stessa, invocata dalla società richiedente”.

La reazione dell’azienda non si è fatta attendere. A parlare è una nota stampa orientata ad alimentare le preoccupazioni sulle conseguenze a livello occupazionale ed economico. «Tutta la produzione giacente nello  stabilimento, generata prima e dopo la data del 26 luglio 2012 e fino al 2 dicembre 2012 – fanno sapere dall’azienda – non potrà essere inviata agli altri stabilimenti del Gruppo per le successive lavorazioni o consegnata ai clienti finali». In base ai dati forniti dal siderurgico, la quantità di prodotti e di semilavorati interessati dal provvedimento di sequestro sarebbe di circa 1.700.000 tonnellate, per un valore economico di 1 miliardo di euro. Da qui  la minaccia lanciata dall’Ilva: «Mancando la disponibilità di prodotti finiti e semilavorati (quali coils neri, lamiere e bramme) verrà del tutto interrotta la lavorazione verticalizzata a Taranto e negli altri stabilimenti e sarà necessario ricostituire da zero un nuovo parco prodotti lavorati e semilavorati».

Poi, si fa riferimento ai contraccolpi sulla forza lavoro: «Da ora e a cascata  per le prossime settimane  circa 1.400  dipendenti, appartenenti prevalentemente alle aree della laminazione a freddo, tubifici e servizi correlati, rimarranno senza lavoro». Il gruppo Riva dice che il numero di questi lavoratori si andrà a sommare ai 1.200 dipendenti attualmente in cassa Integrazione per cause già note quali la situazione di mercato e i danni prodotti dal tornado che ha investito lo stabilimento di Taranto lo scorso 28 novembre. In questo comunicato, che ha tutta l’aria di un bollettino di guerra, si annuncia la fermata a catena degli impianti di Novi Ligure, Genova Racconigi e Salerno, dell’Hellenic Steel di Salonicco, della Tunisacier di Tunisi e di diversi stabilimenti presenti in Francia,  di tutti i centri di servizio Ilva, quali Torino MIlano e Padova, nonché degli impianti marittimi di Marghera e Genova.

Secondo l’azienda tutto ciò comporterà (nell’attesa di ricostituire la scorta minima per la ripresa dei processi produttivi)  una ricaduta occupazionale che coinvolgerà un totale di circa 2500 addetti. Le ripercussioni maggiori riguarderebbero Genova e Novi Ligure, dove “nell’arco di pochi giorni da oggi, saranno coinvolte circa 1.500 persone (1.000 su Genova e 500 su Novi Ligure)”. Il lungo elenco snocciolato  dall’azienda non si ferma qui. Un altro capitolo è dedicato alle conseguenze di tipo commerciale previste per il  settore tubi e altri settori strategici: «Saranno gravissime in quanto clienti di rilevanza mondiale, subiranno pesanti ritardi nella loro produzione dovuta alla mancanza di approvvigionamenti».

Come facilmente prevedibile, l’Ilva ha già indicato il suo prossimo passo: ricorrere al Tribunale del Riesame per ottenere il dissequestro dei prodotti. In serata una nota diffusa dal dicastero dell’Ambiente avverte che il Consiglio dei ministri ha deciso che il Governo presenterà un emendamento «interpretativo» al decreto «salva Taranto» in cui si chiarisce la facoltà di commercializzazione dei manufatti da parti dell’Ilva, anche di quelli prodotti prima dell’entrata in vigore del decreto ed attualmente sotto sequestro. Il governo tenta così di vanificare il provvedimento del gip di Taranto che aveva negato all’azienda il dissequestro dell’acciaio prodotto.

Alessandra Congedo (Il Manifesto)

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