L’Ilva e quel prestito della Banca europea per gli investimenti

TARANTO – Il progetto viene presentato il 4 giugno del 2010 e si chiama “Riva Taranto Energia & Ambiente”. Il promoter è ovviamente la Riva Fire S.p.A., il ricevente la Banca europea per gli investimenti (BEI). Che il 16 dicembre del 2010, dopo sei mesi, accorda un prestito di ben 400 milioni di euro a favore della società: 200 milioni sborsati subito e ulteriori 200 concessi il 3 febbraio 2012 (la segnalazione arriva dal sito “greenreport”). Tra l’altro sono finanziamenti ben scorporati: 140 alla Ilva S.p.A. e 60 alla Rive Fire S.p.A. Il progetto (“Description”), si legge sul sito ufficiale della BEI, riguarda un programma di investimenti “in un impianto in acciaio di grandi dimensioni”.

Lo scopo (“Objectives”) è quello di mantenere la competitività del sito attraverso un vasto programma di investimenti per “migliorare le strutture di produzione, migliorare la produttività dell’azienda facilitando nel contempo l’efficienza energetica e riducendo l’impatto ambientale”. Il progetto è la “chiave” per la competitività di costo dell’impianto e alla sua sostenibilità a lungo termine (tecnica, ambientale e finanziaria), oltre che per “consolidare la diretta e indiretta significativa occupazione dell’azienda”. Inoltre, l’efficienza energetica e gli investimenti ambientali comporteranno “una riduzione dei gas a effetto serra (gas serra) delle emissioni dell’impianto, che sarà certificato dall’Istituto Italiano per l’Assicurazione della Qualità”.

Il tutto prendendo a riferimento gli impegni della valutazione di impatto ambientale del progetto, licenziata nel 2007 dal ministero dell’Ambiente italiano e poi rivista. E’ molto interessante leggere ciò che si legge sotto la voce “Environmental aspects” (aspetti ambientali): “La struttura opera sotto una Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) al fine di autorizzare nuovi investimenti ed il funzionamento dei suoi impianti vari. Un Accordo di Programma è stato definito con le varie entità locali e ministeri, ed è in corso di attuazione. Esso include un piano di adeguamento per l’impianto, al fine di raggiungere il livello di BAT, ai sensi della direttiva UE IPPC 96/61 modificato con il 2008/1; maggiori progetti di investimento sotto sono soggetti a procedure di VIA (EU direttiva 85/337 modificata 97/11)”.

E’ quanto meno “strano” che la BEI sostenga nel 2010 che l’Ilva operi grazie ad un’AIA che all’epoca era ancora in fase di scrittura (dai tecnici Ilva che “lavoravano” per la commissione IPPC) e che sarebbe stata concessa soltanto nell’agosto del 2011. Risibile, invece, il riferimento agli accordi di programma (i famosi atti d’intesa 2003, 2004, 2005 e 2006) mai attuati grazie al disinteresse interessato degli enti locali e dei sindacati, e per questo giustamente ridicolizzati dal gip Patrizia Todisco nell’ordinanza dello scorso 25 luglio, nella quale li bollò come “la più colossale presa in giro dell’Ilva ai danni del territorio ionico”. Ma la “scheda” del progetto dell’Ilva presente sul sito della BEI, riporta anche altro: “L’impianto è oggetto di un monitoraggio continuo in collegamento con le autorità ambientali per le sue emissioni in atmosfera, effluenti liquidi e lo smaltimento dei rifiuti solidi”.

Monitoraggio continuo? La sensazione è che si stia parlando di impianti industriali diversi, visto che il monitoraggio in continuo sulle emissioni dell’Ilva non è mai esistito. Oppure alla BEI saranno arrivate informazioni poco “corrette”: chissà. Inoltre, sotto la voce “Procurement” (approvvigionamenti), si legge che l’Ilva “dovrebbe ottenere attrezzature e servizi per il progetto tra le poche società di ingegneria specializzate, utilizzando negoziati internazionali. Questa procedura, che è abituale nel settore, sarebbe nel migliore interesse del progetto e in linea con la politica di approvvigionamento della Banca per i progetti del settore privato”.

Ciò detto, anche a fronte del decreto ‘salva-Ilva’ del governo, le domande che ora ci poniamo sono diverse. Primo: gli enti locali (Comune e Provincia di Taranto, Regione Puglia) e il governo, erano a conoscenza di questo finanziamento della BEI? E i sindacati? Secondo: come sono stati utilizzati questi soldi dal gruppo Riva? Anche perché, se il finanziamento della BEI ammonta a 400 milioni, il costo totale del progetto sfiora invece gli 800 milioni. Certo, sconcerta che oggi da un lato l’azienda e dall’altro il governo avanzino proposte di “finanziamento” sotto forma di aiuti pubblici all’azienda, per accelerare il risanamento degli impianti e la bonifica dell’area del siderurgico.

Così come non riusciamo a capire come sia stato possibile che quest’estate il vice presidente della Commissione europea e responsabile per l’Industria, Antonio Tajani, abbia dichiarato che l’Ilva potrebbe ottenere finanziamenti dalla Unione Europea, utilizzando altri programmi della Commissione europea – come il Fondo sociale e Horizon 2020 per l’innovazione e la ricerca – e, ovviamente, i fondi della Banca europea per gli investimenti. Certo, un sospetto lo abbiamo: e deriva dal nome (“Riva Taranto Energia & Ambiente”) e dall’obiettivo del progetto (“migliorare le strutture di produzione, migliorare la produttività dell’azienda facilitando nel contempo l’efficienza energetica e riducendo l’impatto ambientale”).

Nell’ottobre del 2011 (la notizia la anticipammo nell’aprile dello stesso anno) la Edison cedette al Gruppo Riva le centrali termoelettriche di “Taranto Energia” per 164,4 milioni di euro. Ai Riva fu ceduto l’intero capitale sociale di “Taranto Energia”, società nella quale Edison conferì il ramo d’azienda costituito dalle centrali termoelettriche CET 2 e CET 3, situate all’interno del siderurgico. Qualche giorno prima, il 30 settembre 2011, la Commissione europea dette il via libera all’acquisizione di “Taranto Energia” (società veicolo di Edison) da parte di Ilva: l’operazione venne esaminata sotto procedura semplificata. Certo, a stupire è anche l’atteggiamento delle autorità europee: un finanziamento da 400 milioni ad una delle aziende più inquinanti d’Europa, non è cosa da poco.

Inoltre, parliamo di un’azienda che la stessa UE sa essere, da anni, non a norma in merito ai livelli emissivi, anche secondo quanto sostenuto dalla magistratura tarantina dopo la perizia chimica ambientale. Inoltre, nella scheda del progetto della BEI, si legge che la riduzione delle emissioni di gas serra del siderurgico tarantino sarebbero state certificate dall’Istituto italiano per la garanzia della qualità. Ma se il progetto si riferisce davvero all’acquisizione delle centrali della Edison, è bene allora ricordare che la Edison S.p.A., nel dicembre del 2010, si classificò al secondo posto nella “speciale” graduatoria delle aziende più inquinanti stilata da Greenpeace, dall’alto delle sue 5,9 milioni di tonnellate di CO2.

Se invece il progetto si riferisce ad altro, sinceramente non sappiamo quale altra ipotesi avanzare in merito all’utilizzo del finanziamento della BEI da parte del gruppo Riva. Anche il sito “greenreport”, del resto, pone una domanda intelligente: “la BEI ha informato la magistratura italiana e quella anti-corruzione europea – ossia l’ufficio dell’OLAF (acronimo francese che sta per “Office européen de Lutte Anti-Fraude, l’Ufficio europeo per la Lotta Antifrode) di una possibile cattiva gestione del prestito all’Ilva?”. Infine, è bene ricordare che la BEI lo scorso anno ha anche finanziato con 90 milioni di euro la “Nuova Italia”, ovvero il progetto della famiglia Caltagirone per il “revamping” della Cementir (che ha ottenuto dalla Regione Puglia un finanziamento pubblico a fondo perduto garantito dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale nell’ambito del programma operativo 2007-2013 (PO FESR 2007-2013), che ammonta a 19.031.512,30 euro).

Al di là delle tante parole dette in questi ultimi mesi dunque, tutto questo dimostra ancora una volta come in realtà “ce la stanno facendo sotto il naso da tempo immemore”. E che avremmo dovuto capire, da tempo, che sarebbe ora di fidarci soltanto di noi stessi. E che, come scriviamo da anni oramai inutilmente, il futuro dovremmo costruircelo da soli, con le nostre forze, i nostri sogni, i nostri valori e la nostra dignità. Ma a guardare la non-reazione della città di fronte all’ultimo, ennesimo, sopruso attuato dal governo con il decreto legge ‘salva-Ilva’ (se non per i soliti leoni da tastiera presenti sui social network o qualche estemporanea iniziativa dei soliti noti), cresce in noi il sospetto che alla fine dei conti, forse, tutta questa voglia di lottare per cambiare radicalmente la realtà e dare un colore e un significato profondamente diverso al nostro futuro, non ci sia. Probabilmente ci accontenteremo di un’Ilva “ambientalizzata”, dei mitili allevati in Mar Grande, dei pascoli che brucano a 20 km dalla zona industriale, di un centro di ambiente e salute collocato a pochi metri dai serbatoi dell’Eni che ci dirà quanti veleni respiriamo quotidianamente, e di un nuovo, grande ospedale dove andarci a curare per i prossimi decenni. Auguri.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 11-12-2012)

 

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