Ilva, un decreto su misura

TARANTO – Il decreto decreto-legge n. 207 del 3 dicembre 2012 firmato lunedì dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha già fatto registrare i primi effetti. A cominciare dal nuovo e sfrontato attacco alla magistratura tarantina da parte del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini: “Mi interessa far ripartire l’azione di risanamento e mi auguro che nessuno si opponga a questo obiettivo, sempre più urgente”.

A domanda su un’eventuale azione della magistratura, ha dichiarato: “Io sto alla legge ed è quella pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale che deve essere rispettata da tutti. Se qualcuno non vuole rispettarla, non questione di cui devo occuparmi io”. Un monito che suona come un sinistro “non mettetevi di traverso”. Certo, è facile ora dichiarare di essere dalla parte della legge, una volta che il decreto firmato da Napolitano e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, è diventato operativo a tutti gli effetti. Con la magistratura ora “costretta” a tenerne conto. Ma la partita è ancora lungi dal considerarsi conclusa.

Intanto, andiamo ad analizzare il testo del decreto, che da ‘salva-Ilva’ ha trovato un nome decisamente più originale: “Disposizioni urgenti a  tutela  della  salute,  dell’ambiente  e  dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti  industriali di interesse strategico nazionale”. E’ nell’articolo 1, “Efficacia dell’autorizzazione integrata ambientale in caso  di  crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale”, che troviamo la sintesi e l’essenza di un decreto che continuiamo a definire non solo anti-costituzionale, ma di stampo dittatoriale e fuori da ogni logica che non sia quella del profitto.

Il comma 1 del suddetto articolo prevede, come anticipato già ieri, che “in caso di stabilimento di  interesse strategico nazionale, quando presso di esso sono occupati  un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiore a duecento da almeno un anno, qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell’occupazione e della produzione, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare, in sede di  riesame dell’autorizzazione integrata ambientale, la prosecuzione dell’attività produttiva per un periodo di tempo determinato non superiore a 36  mesi”.

Occupazione e produzione, dunque: l’ambiente e la salute, nonostante si parli di un’autorizzazione che deve essere concessa dal ministero dell’Ambiente, sono parole che non figurano. Come scritto anche ieri, infatti, contano soltanto i freddi numeri. Che in tutta questa vicenda hanno un peso decisivo. E con cui dobbiamo fare i conti se vogliamo capire il perché lo Stato italiano ha sacrificato sull’altare dell’economia italiana (residuo di un capitalismo sempre più allo sbando) il diritto alla salute e alla vita in un ambiente salubre dei cittadini di Taranto e della sua provincia. L’acciaio Ilva copre il 67% del consumo effettivo della nostra manifattura.

Lo stop del siderurgico provocherebbe al manifatturiero italiano danni quantificabili, per quanto riguarda solo i coils, in 3 miliardi di euro, dovuti alle maggiori spese di trasporto e di stoccaggio dei coils importati dall’estero, più l’aggravio degli oneri finanziari. Tutti i settori industriali italiani, infatti, necessitano dei coils e delle lamiere tarantine. È prodotto con l’acciaio di Taranto il 25% dell’automotive italiano: non solo le macchine Fiat, ma soprattutto i componenti e i sistemi che finiscono montati sulle automobili tedesche, francesi, giapponesi e coreane. Il 16% dell’acciaio usato nel comparto dei prodotti in metallo (per esempio i casalinghi). Il 20% delle macchine e degli apparecchi meccanici (sempre il 20% nelle macchine movimento terra e nei trattori). L’8% nella carpenteria pesante.

L’8% nelle costruzioni. Il 15% nei tubi. Il 2% della cantieristica navale. Il 4% nel bianco: frigoriferi, elettrodomestici e lavatrici. L’intera manifattura italiana, grazie all’acciaio tarantino, soddisfa fra il 14% e il 25% del suo fabbisogno produttivo. Ma il problema, non è da intravedere soltanto nei sovra costi industriali: quanto nella dinamica finanziaria. Che trae ossigeno, almeno per il momento, dal nuovo decreto. Nelle filiere che adoperano l’acciaio Ilva infatti, i pagamenti avvengono fra i 6o e i 90 giorni. Nel caso in cui l’Ilva dovesse chiudere, e in Italia le multinazionali straniere occupassero gli spazi di mercato finora occupati dal gruppo Riva, i tempi si accorce-rebbero in maniera significativa. Gli stranieri infatti, pretendono di essere pagati cash. O, al massimo, entro 30 giorni. Ecco perché a prescindere dal problema politico-giudiziario, risolvere il problema Ilva eviterebbe al Paese una tensione finanziaria in tutta la manifattura del nostro Paese.

Nel comma 3, invece, troviamo le disposizioni di carattere sanzionatorio penali e amministrative contenute nelle normative di settore: “la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di cui al comma 1 è punita con sanzione amministrativa pecuniaria  fino al 10% del fatturato della società risultante dall’ultimo bilancio approvato”. Il fatturato netto del Gruppo Riva nel 2011 è stato 10.015 milioni di euro. Mentre il risultato dell’esercizio del Gruppo di 327,3 milioni. Il 10%, è poco più che un’inezia, da qualunque parte la si voglia guardare.

Ma è il comma 4, quello più importante e che lascia senza parole. “Le disposizioni di cui al comma 1 trovano applicazione anche quando l’autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell’impresa titolare dello stabilimento. In tale caso i provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell’autorizzazione, l’esercizio dell’attività d’impresa”. In pratica, il decreto non solo supera il sequestro in atto, ma non terrà conto di qualunque altra iniziativa che intraprenderà la magistratura tarantina. Se non è anti costituzionale un provvedimento del genere, se non c’è conflitto tra poteri diversi dello Stato in questo caso, non sappiamo cos’altro deve accadere.

L’articolo 2, “Responsabilità nella conduzione degli impianti”, è un’altra perla. “Nei limiti consentiti dal presente decreto, rimane in capo ai titolari la gestione e la responsabilità della conduzione degli impianti di interesse strategico nazionale anche ai fini dell’osservanza di ogni obbligo, di legge o disposto in via amministrativa, e ferma restando l’attività di controllo dell’autorità”. E’ davvero inaccettabile riportare nelle mani del gruppo Riva, la gestione degli impianti e la responsabilità della conduzione degli stessi, peraltro ai fini dell’osservanza degli obblighi di legge: ma il presidente Napolitano ha letto le carte dell’ordinanza di sequestro preventivo dell’area a caldo e delle custodie cautelari per tutti gli esponenti della famiglia Riva? Il dubbio, è quanto mai lecito. Visto che gli stessi sono agli arresti domiciliari, o latitanti, proprio per l’esatto contrario di quanto previsto nel decreto.

Il comma 4 dell’articolo 3, “Efficacia dell’autorizzazione integrata ambientale rilasciata il 26 ottobre 2012 alla società ILVA S.p.A. Controlli e garanzie”, introduce e delinea la figura del garante, che dovrà essere nominato entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto: dunque entro il 13 dicembre. Il suo lavoro durerà per un periodo non superiore ai tre anni e dovrà vigilare sulle disposizioni presenti nell’Autorizzazione integrata ambientale: il suo compenso è stimato in misura non superiore ai 200.000 euro lordi. La figura del garante dovrà essere dotata di “indiscussa indipendenza competenza ed esperienza”: purtroppo, dovrà essere segnalato dal ministro dell’Ambiente.

Il Garante, si avvarrà della consulenza dell’Istituto superiore per la  protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) che dovrà, una volta ascoltate le rappresentanze dei lavoratori (quindi i sindacati, e qui il terrore diventa cosa del tutto lecita), acquisire le informazioni e gli atti ritenuti necessari che l’azienda, le amministrazioni e gli enti interessati “devono  tempestivamente fornire, segnalando eventuali criticità riscontrate nell’attuazione della  predetta autorizzazione e proponendo le idonee misure, ivi compresa l’eventuale adozione di provvedimenti di amministrazione straordinaria”.

E’ del tutto evidente che chi ha scritto questo decreto, non conosce affatto la storia di Taranto e dell’Ilva degli ultimi decenni. Così come non conosce come il gruppo Riva ha gestito il siderurgico più grande d’Europa, né il ruolo del tutto connivente con l’azienda portato avanti dai sindacati metalmeccanici. Così come non conosce gli studi epidemiologici, né i dati drammatici sull’incidenza dei tumori e di tutte le malattie connesse all’inquinamento industriale. Così come non conosce i dati relativi all’inquinamento del mare, del suolo, della falda acquifera. Non conoscono la nostra storia. O, molto più semplicemente, la ignorano volutamente.

Gianmario Leone (TarantoOggi del 5-12-2012)

 

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