Ilva verso lo spegnimento

TARANTO – Negli ultimi tempi, in molti si chiedono e ci chiedono perché mai l’Ilva continui a produrre, nonostante il sequestro degli impianti dell’area a caldo e la conseguente gestione della stessa che dalle mani dell’azienda è passata in quelle dei custodi giudiziari, che sin dai primi del mese di settembre hanno iniziato a disporre una serie di provvedimenti che vanno nella direzione dello spegnimento degli impianti, per giungere a realizzare l’obiettivo finale del sequestro: la cessazione delle emissioni diffuse e fuggitive dagli impianti che generano fenomeni di malattia e morte nella popolazione, operai in primis. Esempio di come il lavoro dei custodi proceda, nel giusto silenzio, ne è il blocco della nave che ad inizio settimana era pronta a scaricare olivina, uno dei componenti essenziali per la carica dell’agglomerato.

Ad essere ancora più precisi, la sabbia di olivina, opportunamente miscelata con silicati e catalizzatori, è ottima in fonderia proprio per la sua refrattarietà e stabilità alle alte temperature. Dunque, da questo semplicissimo esempio, si può dedurre come quando denunciato da tempo dai custodi giudiziari, ovvero che l’azienda stia tentando di ostacolare in tutti i modi il regolare processo delle operazioni di spegnimento degli impianti, sia una realtà inconfutabile. Del resto, come interpretare altrimenti l’arrivo di una nave che trasporta materiale utile alla carica dell’agglomerato, impianto in cui i materiali di ferro in pezzatura fine vengono trasformati ad elevate temperature per la loro parziale fusione e sinterizzazione, prima di passare all’altoforno, se non con la precisa volontà di continuare a produrre sino all’ultimo istante possibile? Inoltre, dopo l’ultimo summit in Procura tra Pm e custodi svoltosi mercoledì e durato ben sei ore, si è avuta ulteriore conferma dell’ostruzionismo totale dell’azienda. Motivo del contendere, le risorse necessarie per le operazioni di spegnimento degli impianti. I Pm e i custodi infatti, sostengono a ragione che sia l’Ilva a dover impiegare queste risorse: ma sino ad ora, non si ha notizia di alcuna delibera del consiglio di amministrazione dell’azienda.

Si attenderà ancora qualche tempo, in attesa che il Cda dell’Ilva, presieduto da Bruno Ferrante, deliberi lo stanziamento di tali somme. Ma come abbiamo già ampiamente documentato, attualmente il Gruppo Riva è impegnato in tutt’altre operazioni economiche. Stante così le cose, l’unica altra strada percorribile è che Procura e custodi potrebbero stanziare queste risorse “in danno”. In questo caso, sarà lo Stato a farsi carico del costo delle operazioni per poi rivalersi sui Riva ottenendo una specie di “rimborso spese”. E che Procura e custodi non abbiano intenzione alcuna di procedere con il freno a mano tirato, lo dimostra anche un’altra notizia delle ultime ore. I custodi hanno individuato la ditta esterna che dovrebbe gestire la delicata fase dello spegnimento e della messa in sicurezza degli impianti: si tratta della “Danieli & C. Officine Meccaniche SpA”, multinazionale italiana con sede a Buttrio (Udine), uno dei leader mondiali nella produzione di impianti siderurgici. La multinazionale “Danieli” possiede altre sedi operative, da Milano (Danieli Brera) alla Romania, passando per la Germania, la Francia, l’Inghilterra, la Svezia, fino ad arrivare all’apertura, negli ultimi anni, di sedi in Thailanda, Cina e Taiwan.

L’efficienza della Danieli è tale da riuscire a consegnare una commessa in soli ventiquattro mesi, completando un laminatoio in tutte le sue componenti operative; ciò la rende leader nel mercato dell’industria pesante del settore: parliamo di un colosso industriale da 600 milioni di euro di utili annui. All’inizio della prossima settimana dunque, alcuni tecnici della Danieli entreranno nel siderurgico tarantino per prendere visione degli impianti, tra cui anche l’altoforno 5, che l’Ilva vuole provare a tenere in funzione sino al luglio 2015 per mantenere vivo il cuore pulsante della produzione, con i custodi che invece hanno previsto la sua fermata immediata nel provvedimento dello scorso 17 settembre. Inoltre, proprio adesso che Ferrante non è più tra i custodi ed in attesa del pronunciamento della Cassazione su un suo eventuale reintegro, l’azione dei custodi potrebbe avere un’accelerata decisiva. Anche perché al di là dell’evidente conflitto di interesse che investiva il presidente del Cda dell’Ilva, non si può di certo ignorare o tacere come lo stesso abbia provato ad ostacolare direttamente l’operato dei custodi in almeno un’occasione.

Avvenne quando quest’ultimo accennò alla piena collaborazione dell’azienda con l’azione dei custodi, attraverso la messa a disposizione di personale specializzato per le operazioni di messa in sicurezza e spegnimento degli impianti. Ma i custodi, invece di vedersi recapitare un elenco con tecnici e operai specializzati per tali mansioni, si ritrovarono tra le mani un elenco di ben 10.000 operai senza che fossero evidenziate le loro relative funzioni: come a dire, ecco l’elenco degli operai, ora trovatevi da soli coloro i quali possono esservi utili. Ennesima dimostrazione pratica del bassissimo spessore che da sempre contraddistingue tutti coloro i quali lavorano per il Gruppo Riva.

Del resto la Procura, e prima ancora il GIP, ha da tempo ribadito come prima del diritto ad un ambiente salubre o al diritto del posto di lavoro, viene quello alla vita: diritto inalienabile e che la Procura ritiene gravemente minacciato dalle emissioni diffuse e fuggitive provenienti dagli impianti dell’area a caldo del siderurgico. Dunque, si procede e si lavora senza un attimo di sosta. In rigoroso silenzio. Nonostante in tanti, troppi, straparlino a vanvera sui social network, perché convinti che la Procura e i custodi potessero far cessare l’attività produttiva dell’Ilva in appena pochi giorni. Tralasciando ulteriori commenti sulla loro ignoranza, invitiamo tutti coloro i quali si sono auto investiti negli ultimi tempi di un ruolo che non gli è mai appartenuto prima d’ora, di restare calmi e soprattutto in silenzio, lasciando lavorare in tranquillità i custodi e la Procura, evitando di fornire inutili alibi al Gruppo Riva e ai suoi alleati, che sono ancora tanti, anche se ultimamente “stranamente” silenziosi.

Ultima, breve analisi: l’accelerazione dei custodi, è la prova provata di come questi ultimi e la Procura abbiano di fatto già bocciato le prescrizioni presenti nel riesame dell’AIA all’Ilva. Specialmente dopo l’ultima minaccia del Gruppo Riva, che ha dichiarato come “presupposto indispensabile” per l’attuazione del piano industriale con gli investimenti per la realizzazione delle prescrizioni presenti nell’AIA, il dissequestro degli impianti. Ennesima dimostrazione del fatto che Riva non farà mai nessun tipo di investimento: del resto, come in molti sanno, pur omettendo di denunciarlo, la smobilitazione è già iniziata. Tutti i mezzi più nuovi acquistati ultimamente dall’Ilva infatti, stanno lentamente lasciando Taranto, con direzione Genova. Ognuno è libero di trarre le proprie conclusioni in merito.

Gianmario Leone (TarantoOggi del 2 novembre 2012)

 

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