Taranto, una strage senza fine. Con tanti colpevoli

TARANTO – “Un chiaro stato di compromissione della salute della popolazione residente a Taranto”. La sentenza espressa dal ministero della Salute sulla realtà della città dei Due Mari, è senz’appello. Fotografia perfetta di una strage silenziosa lunga decenni, che ha una lunghissima lista di colpevoli, la maggior parte dei quali ancora oggi impunita. Resa possibile da uno Stato consapevole di quanto avveniva anno dopo anno (35 per l’esattezza, tanti quanti l’era Italsider) e connivente negli ultimi 17 quando la proprietà del più grande siderurgico d’Europa è passata nelle mani del Gruppo Riva. Che ancora ieri, in una nota di pochissime righe, liquidava il tutto sostenendo come si sia di fronte ad “una fotografia che rappresenta un passato legato agli ultimi 30 anni e non certo il presente”. Stessa posizione ribadita ancora una volta dall’inossidabile ministro dell’Ambiente Corrado Clini. In base a cosa si affermi ciò, non è dato sapere visto che i dati si fermano al 2009: cosa lascia supporre che negli ultimi tre anni la situazione sia migliorata è un’operazione di dietrologia di dubbio gusto.

Una sorpresa per pochi

Certo è che i dati presentati ieri a Taranto dal ministro alla Salute, Renato Balduzzi, possono essere una sorpresa ed uno choc soltanto per chi di questo territorio non si è mai interessato o mai nulla ha conosciuto. Perché il Rapporto “Ambiente e salute a Taranto: evidenze disponibili e indicazioni di sanità pubblica”, contenente l’aggiornamento agli anni 2003-2009 dello ‘Studio Sentieri’ relativo all’area SIN di Taranto, rappresenta soltanto una parte della storia di questo territorio. I risultati emersi ieri, non possono certo sorprendere i tarantini, che da anni si ammalano, muoiono e soffrono, senza soluzione di continuità. Il quadro dello studio Sentieri, è peraltro coerente con quanto emerso in precedenti studi descrittivi ed analitici di mortalità e morbosità (i primi, pubblicati negli anni ’90, si riferivano a dati risalenti al periodo 1981-1987): in particolare la coorte dei residenti a Taranto nella quale, anche dopo avere considerato i determinanti socio-economici, i residenti nei quartieri di Tamburi, Borgo, Paolo VI e nel comune di Statte “mostrano una mortalità e morbosità più elevata rispetto alla popolazione di riferimento, in particolare per le malattie per le quali le esposizioni ambientali presenti nel sito possono costituire specifici fattori di rischio”.

I dati

La mortalità a Taranto è più alta rispetto al resto della regione del 14% per gli uomini e dell’8% per le donne, mentre rispetto al resto della provincia ionica, si ammalano di tumore il 30% in più degli uomini e il 20% in più delle donne. Nelle donne l’incidenza dei tumori è più alta con dati che oscillano tra il 24 e il 100%, mentre per gli uomini rispetto alla media regionale, le possibilità di morire di tumore aumentano fino al 419%. Mentre nei bambini crescono le malattie nel primo anno di vita e la mortalità. Il più 11% generale, si riferisce all’eccesso di mortalità rilevato a Taranto rispetto alle aspettative di morte di tutti i cittadini residenti in Puglia. Si tratta di un dato ricavato dalla media tra l’eccesso di mortalità del 14% registrato tra gli uomini e quello dell’8% rilevato nelle donne nel periodo tra il 2003 e il 2009. Il rapporto, che pubblica i dati aggiornati al 2009, accerta anche che, per tutte le cause di mortalità, per tutta la popolazione, si registra un +1% rispetto al 2008. In pratica, non si salva nessuno.

Uomini e donne

Per gli uomini, l’eccesso di mortalità per tutte le cause nel periodo che va dal 2003 al 2009 rispetto alla media regionale è del 14%. Per tutti i tumori è +14%, malattie circolatorie +14%, malattie respiratorie +17%, tumori polmonari +33% e +419% di mesoteliomi pleurici. Rispetto al resto della provincia, invece, per gli uomini che vivono tra Taranto e Statte si registra un più 30% di tumori. Scendendo nel dettaglio, si registra un più 50% del tumore maligno del polmone, +100% per il mesotelioma e per i tumori maligni del rene e delle altre vie urinarie (esclusa la vescica), +30% per il tumore della vescica e per i tumori della testa e del collo, + 40% per il tumore maligno del fegato, del 60% per il linfoma non Hodgkin, del 20% per il tumore maligno del colon retto e quello della prostata e del 90% per il melanoma cutaneo. Per le donne invece, i decessi legati ai tumori sono più 13%, per le malattie circolatorie +4%, per i tumori polmonari +30% e per il mesotelioma pleurico +211%. In particolare, rispetto ai dati della provincia nel sito di Taranto e Statte, si registra un incremento totela dei tumori del 20% e nello specifico dei tumori al fegato (+75%), linfoma non Hodgkin (+43%), corpo utero superiore (+80%), polmoni (+48%), tumori allo stomaco (+100%), tumore alla mammella (+24%). Sia per gli uomini che per le donne inoltre, l’eccesso è presente anche quando si utilizzano per il confronto i tassi del Sud e delle Isole. La speranza è che, adesso, la si smetta col dire che altre provincie pugliesi o altre realtà del Sud Italia versano in condizioni peggiori rispetto a Taranto.

Il dramma dei bambini

Anche per i bambini, si registrano incrementi significativi di contrazione malattie per tutte le cause nel primo anno di vita. Inoltre, nel vertice di ieri, gli esperti hanno confermato un aumento della mortalità. Impietoso il dato in età pediatrica: a Taranto, entro il primo anno di vita, muore il 20% di bambini in più rispetto al resto della Puglia. Percentuale che tocca punte del 40% se consideriamo anche la fase prenatale. Qualcosa di abnorme, ingiustificabile e inaccettabile per chiunque. Del resto, anche nella perizia redatta dagli esperti epidemiologi nell’ambito dell’incidente probatorio nell’inchiesta in cui l’Ilva è accusata dalla procura di Taranto di “disastro ambientale doloso”, i dati sui bambini erano più che allarmanti: oltre 900 ricoveri ospedalieri (937) per malattie respiratorie, 638 delle quali in età pediatrica (49 per anno nei 13 esaminati) e 17 casi di tumore maligno riscontrati tra i bambini con ricoveri in ospedale.

Benzo(a)pirene: 6 volte di più  che a Roma

Inoltre, nel rapporto si legge anche che “lo stabilimento siderurgico Ilva, in particolare gli impianti altoforno, cokeria e agglomerazione (tutti sotto sequestro giudiziario), è il maggior emettitore nell’area per oltre il 99% del totale ed è quindi il potenziale responsabile degli effetti sanitari correlati lì al benzopirene”. Non solo: nel 2010 la stazione di monitoraggio della qualità dell’aria di Via Machiavelli ha registrato una concentrazione media annuale di B(a)P pari a 1,8 ng/m3, significativamente eccedente il valore obiettivo di 1 ng/m3 indicato dal D.Lgs. 155/2010. Per confronto si osservi che a Roma, presso la stazione sperimentale di rilevamento della qualità dell’aria dell’Istituto Superiore di Sanità, orientata al traffico, è stata registrata nello stesso anno una concentrazione media annuale sei volte più bassa (0,3 ng/m3). Questo a dimostrazione del fatto che è ridicolo continuare a sostenere come a Taranto la situazione ambientale sia identica se non inferiore a realtà di altre città italiane. Stesso discorso per le polveri sottili (Pm10) “emesse dallo stabilimento siderurgico dell’Ilva a Taranto, sono tra i principali fattori di rischio per la salute della popolazione”. Gli esperti epidemiologi nella loro relazione, riferendosi ai ricoveri di bambini per malattie respiratorie, sentenziarono che “la quota di patologia è attribuibile all’esposizione alle sostanze emesse dal complesso industriale in particolare il pm10”. Dai bambini alle donne, il passo è breve: è noto infatti che una donna in gravidanza, se vive in una zona dove è sottoposta in maniera cronica a pm10, “rischia di avere un bambino con un alterato sviluppo del polmone e nel tempo una riduzione dello sviluppo polmonare con riduzione persistente della funzionalità respiratoria”. A Taranto, nel rione Tamburi, il limite di sforamenti annuali per legge di 35 giorni del Pm10, quest’anno è stato superato a fine agosto: stesso responso nel triennio precedente (2009, ‘10, ‘11).

Allevatori “contaminati”

Consistentemente più  elevati anche i livelli di diossina e PCB registrati nel sangue degli allevatori proprietari di masserie operanti nel raggio di 20 km dal polo industriale tarantino. E’ bene infatti ricordare che dal febbraio del 2010 vige un divieto di pascolo nel raggio di 20 km dalla zone industriale. E che dal 2008 sono stati abbattuti migliaia di capi di bestiame perché contaminati da diossina. Che la perizia degli epidemiologi ha dimostrato essere proveniente dall’agglomerato dell’Ilva. Ma oltre a uomini, donne e bambini, abbiamo acconsentito a che venisse sacrificato anche il prodotto locale, pur di consentire all’Ilva di continuare a produrre acciaio. Senza dimenticare il dramma vissuto dai mitilicoltori del I seno del Mar Piccolo, che da due anni vedono i mitili prodotti dai loro allevamenti, finire direttamente in discarica o morire lentamente sprofondando nei fondali perché inquinati oltre i limiti di legge dal PCB.

Un solo futuro possibile

Eppure, nonostante tutto questo si sapesse già  dall’8 marzo scorso (quando l’ISS trasmise questi dati alla Procura di Taranto), all’Ilva, il ministero dell’Ambiente, con il sostegno delle istituzioni locali, ha concesso il riesame dell’AIA per continuare a produrre, nonostante il sequestro preventivo degli impianti di tutta l’area a caldo ad opera della magistratura. Eppure, ancora oggi, c’è chi sostiene (sindacati e azienda in primis) che quegli impianti debbano essere risanati restando in attività, perché all’acciaio non possiamo rinunciare. Ovviamente, sono teorie e pratiche del tutto fuori dalla realtà. Lo scriviamo da anni e a maggior ragione dopo ieri, lo ribadiamo con ancora più forza. A Taranto, la grande industria, deve chiudere. Senza se e senza ma. I privati devono risarcire il territorio dei danni morali e ambientali prodotti in decenni di attività legate alla sola logica del profitto. Lo Stato, oltre e a rimediare ai danni dell’Italsider sovvenzionando le bonifiche e provvedendo alla retribuzione degli operai, dovrà obbligare le istituzioni locali alla progettazione e realizzazione nel minor tempo possibile, di alternative economiche. Oltre al ripristino di tutte quelle risorse innate che offre questo territorio: dall’agricoltura alla mitilicoltura, dal turismo culturale a quello naturale. Non è più tempo di compromessi, né di accordi di programma. E’ ora di voltare pagine, definitivamente. Attendere oltre, sarebbe imperdonabile. E’ ora che la cittadinanza tutta faccia fronte comune, opponendosi con tutte le sue forze a qualunque altra soluzione che non sia la salvaguardia della salute e dell’ambiente. Taranto merita un altro futuro, un’altra storia. Lo dobbiamo ai nostri morti, ai nostri ammalati. Lo dobbiamo a chi verrà dopo di noi. E lo dobbiamo anche a noi stessi.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 23 ottobre 2012)

 

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