Taranto, la Cgil tra numeri e teoria

TARANTO – 9694 lavoratori in cassa integrazione. 12764 persone che usufruiscono dell’indennità di disoccupazione e 1953 in stato di mobilità. 400, invece, i licenziamenti soltanto nell’ultimo anno. I dati della crisi del territorio ionico e della città di Taranto in particolare, aggiornati al 30 settembre scorso, sono stati resi noti ieri mattina dalla Cgil. Numeri che parlano da soli: e che sono la più chiara rappresentazione del fallimento di un intero sistema economico, che ha “usufruito” di inesistenti politiche economiche da parte di tutte le classi dirigenti che si sono alternate alla guida del “sistema Taranto” dagli anni ’60 in poi. Pare incredibile, eppure in una delle città più industrializzate d’Italia, si registrano dati di disoccupazione e di cassa integrazione come se di quelle aziende fossero rimaste soltanto le ceneri.

“A parte l’Ilva – ha dichiarato il segretario generale, Luigi D’Isabella – sono tante le vertenze ancora in piedi e lungi dal vedere uno sbocco positivo: Teleperformance, Natuzzi, Miroglio, Nardelli, Tct e Casa di cura Santa Rita su tutte”.   Alla vigilia della conferenza stampa di ieri mattina, era stata annunciata la presenza dei lavoratori-simbolo della crisi tarantina: i delegati del call-center Teleperformance, gli operai della Miroglio, Nardelli e Natuzzi, dell’appalto ILVA, delle società di pulizia, della TCT e della Casa di cura Santa Rita. Ma ieri, nella saletta delle conferenze della sede di via Dionisio, più di qualcuno ha marcato visita. Segno evidente di un distacco sempre più profondo tra i lavoratori e i sindacati, radicatosi negli ultimi anni. Il segretario generale della Cgil di Taranto, era invece affiancato dai componenti della segreteria provinciale della CGIL.

L’incontro di ieri mattina, aveva inoltre l’obiettivo di dare significato alla presenza della Cgil tarantina alla manifestazione di sabato a Roma organizzata in collaborazione con la Fiom, a cui prenderanno parte tutti i lavoratori impiegati nelle aziende italiane in crisi, in primis quelle metalmeccaniche. Lo slogan scelto, del resto, non lascia adito a fraintendimenti: “Il lavoro prima di tutto!”. “Saremo presenti a Roma con i lavoratori di tutte le aziende tarantine in crisi, perché la nostra realtà rischia di essere offuscata dall’emergenza Ilva – ha chiarito il segretario -. Perché se è vero che i problemi del siderurgico meritano massima attenzione, non bisogna dimenticare le altre importanti aziende in difficoltà”. Certo, lo slogan scelto, “Il lavoro prima di tutto!”, stona un po’ con la situazione tarantina, specialmente per quanto concerne l’Ilva di Taranto e la posizione assunta dalla Fiom, che spinge per una maggiore tutela della salute, per cittadini e operai.

“Lo slogan rispecchia la difficile situazione economica nazionale, così come quella tarantina – sottolinea D’Isabella -. Ma noi vogliamo anche un miglioramento ambientale delle realtà aziendali”. Per quanto riguarda la vicenda Ilva, la Fiom ha preso a modello la Thyssen di Duisburg e il sogno della produzione di acciaio “pulito”. Magari attraverso una politica industriale che investa in tecnologie ed innovazione, con l’ausilio di investimenti pubblici (il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, per l’Ilva parlò chiaramente di “prestiti” da parte dello Stato) o di natura europea per riprendere quanto sostenuto dal commissario europeo all’industria, l’on. italiano Tajani. Questo pensiero “innovativo”, serve al segretario generale D’Isabella per tornare a sponsorizzare la “bontà” dei progetti “Tempa Rossa”, nuova centrale Enipower e revamping della Cementir. Che per la Cgil comporteranno una riduzione dell’impatto ambientale della grande industria sul territorio, oltre a generare posti di lavoro in più e favorire l’utilizzo di imprese, soprattutto edili, del territorio tarantino. Ma il segretario D’Isabella dimentica, ad esempio, come per la centrale Enipower i dirigenti Eni non abbiamo previsto alcuna assunzione: semplicemente, la forza lavoro sarà utilizzata nel cantiere per i lavori di dismissione di una parte della vecchia centrale ad olio combustibile e per la costruzione della nuova a turbogas. L’a.d. Milani, nell’estate dello scorso anno, su questo punto fu chiarissimo.

Ancora peggio, se vogliamo, il discorso per il progetto “Tempa Rossa”. Sempre restando in tema di “assunzioni” e lavoro per le imprese locali, D’Isabella dimentica che il bando di gara “Progetto Tempa Rossa Impianti Off-Shore” pubblicato sul supplemento della Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea (Prot. 2011/00426 del 04.02.2011) per l’aggiudicazione dell’appalto dei lavori per la costruzione di due enormi serbatoi e l’allungamento del pontile, prevedeva che le aziende partecipanti avessero un profitto annuale minimo di 250 milioni di euro. Ora: ci piacerebbe sapere quale azienda presente sul territorio tarantino, che non sia l’Ilva, presenti nei suoi bilanci tali cifre. Per non parlare del revamping della Cementir: quando lo scorso anno i dirigenti della società della famiglia Caltagirone si presentarono in Commissione Ambiente al Comune di Taranto, parlarono di appena 20 posti di lavoro in più. Ma nello scorso gennaio ci imbattemmo nella “Relazione istruttoria” datata 28 luglio 2010 a firma di Puglia Sviluppo spa (la ex Sviluppo Italia Puglia spa, società controllata dalla Regione Puglia) alla quale l’ente regionale affidò il compito di organismo intermediario per l’attuazione, tra gli altri, del regime di aiuti denominato “Aiuti ai programmi d’investimento promossi da Grandi Imprese da concedere attraverso Contratti di Programma Regionali”, grazie alla quale il progetto della “Nuova Italia” Cementir ottenne la deliberazione “di ammissibilità della proposta alla fase di presentazione del progetto definitivo” (con delibera n. 1843 del 6 agosto 2010 della Giunta regionale pugliese e firmata dal presidente della Giunta, Nichi Vendola) con cui si deliberava un prestito di 20 milioni di euro alla stessa azienda per la realizzazione del progetto.

Ma nella relazione, nel paragrafo relativo al “Criterio di selezione 5, analisi delle ricadute occupazionali”, si leggeva: “Relativamente all’impatto occupazione diretto dell’iniziativa proposta, […] l’azienda ha indicato, a correzione di quanto inizialmente affermato alla data di presentazione della domanda, un incremento nell’anno a regime pari a 5,2 ULA (unità lavorative annuali, il numero di dipendenti occupati mediamente a tempo pieno durante un anno)”. Ciò significa che la Cementir, che tra ottobre 2008 e settembre 2009 ha occupato in media a Taranto 122,8 persone, darà lavoro a 128 lavoratori nel 2013 (quando il nuovo impianto sarebbe dovuto entrare a regime, come dichiarò lo stesso Caltagirone nell’aprile 2011). Per una volta, evitiamo di elencare anche tutte le complicanze in merito all’impatto ambientale che queste opere avranno sul territorio ionico. Perché il pensiero della Cgil, in merito alle nuove opere della grande industria, è identico a quello di Cisl e Uil. Ed allora la domanda sorge spontanea: ma i progetti li hanno mai letti? “Il lavoro prima di tutto”? Forse, ma almeno che prima si assicurino ci sia davvero e non che sia l’ennesimo bluff per questo territorio.

G. Leone (TarantoOggi, 18 ottobre 2012)

 

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