Taranto e Ilva, il rumore del potere

TARANTO – Si dovrebbe svolgere quest’oggi a Roma, un vertice a tre sulla vicenda Ilva: attorno al tavolo siederanno il primo ministro Mario Monti, il ministro dell’Ambiente Corrado Clini e il ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera. Il che non prevede nulla di buono. Specialmente in riferimento a quanto dichiarato ieri da quest’ultimo: “Non sempre capisco l’attitudine di una parte della magistratura su questo tema”. Il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, ha trovato l’occasione per tornare a parlare dell’Ilva a “Roma Incontra”. “Mai chiedere a nessuno – ha sentenziato – di scegliere tra salute e lavoro”. Eppure, non ci risulta che le cose stiano esattamente così. Visto che lo Stato prima, ed il privato Riva poi, per decenni hanno scelto al posto dei cittadini di Taranto, imponendo loro di sacrificare sull’altare del “Dio denaro” non solo la salubrità dell’ambiente, ma anche la loro stessa salute. E poi, di grazia, per quale motivo la popolazione tarantina non può scegliere in totale autonomia quale diritto preservare? Inoltre, perché si continua a vedere come unica fonte di lavoro per questo territorio il siderurgico, e non lo sviluppo e la crescita di altre alternative economiche?

Possibile che i nostri ministri, le nostre istituzioni e i sindacati abbiano una vista così limitata da non saper guardare oltre questo sistema di sviluppo che negli anni ha mostrato tutti i suoi fallimenti e i danni irreparabili inflitti all’ambiente ed alla popolazione? “Si può mettere in condizione l’impianto di essere ambientalmente accettabile”. “Ambientalmente accettabile”? E cosa vorrebbe dire? Che con qualche aggiustamento il siderurgico più grande d’Europa emetterebbe nell’aria, nell’acqua e nel suolo emissioni inquinanti “accettabili” rispetto alle attuali? E poi, accettabili per chi? Come si fa a stabilire se un tot di emissioni siano accettabili per l’uomo e la sua salute? O per una donna incinta? Per un anziano? Per un bambino? Per il mare, l’aria e la terra? O per la falda acquifera di cui tutti pare se ne guardino bene? Per non parlare della chiosa finale del ministro Passera, che disegna il solito, del tutto falso, scenario apocalittico: “Interrompere o fermare l’impianto, vuol dire fermarlo per sempre, con un costo sociale e umano enorme”.

Ma il ministro Passera è a conoscenza del fatto che l’Ilva negli ultimi quattro anni ha fermato l’AFO 1 e 4? Sa che si sono fermate anche prima l’acciaieria 2 e poi l’acciaieria 1? Il tutto soltanto per “una sfavorevole congiuntura economica”? Ed allora, se nel recente passato questi impianti sono stati fermati (e non per pochi giorni) e poi rimessi in marcia, perché oggi questa stessa operazione non si può più fare? Perché non si è parlato di dramma economico dagli alti costi sociali ed umani quando l’Ilva, di sua sponte, ha scelto di fermare gli impianti perché le conveniva da un punto di vista squisitamente economico? Perché il ministro Passera non ha il coraggio di dire che anche lui, come tutti gli altri, teme la reazione di Riva qualora la Procura respinga anche la nuova AIA non concedendo la facoltà d’uso per la minima capacità produttiva e mantenga ancora in atto il sequestro preventivo degli impianti? Perché il ministro Passera non ha il coraggio di dire che il problema è soltanto l’altoforno 5 da cui dipende gran parte della produzione dell’Ilva, che il governo vuol mantenere in piedi nonostante sappia perfettamente quanto drammatica sia la situazione ambientale e sanitaria di Taranto?

Il gioco, dunque, è sempre lo stesso: prima la logica del profitto, poi tutto il resto. Ma nella giornata di ieri, è intervenuto anche il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che in occasione dell’inaugurazione dei corsi della Scuola superiore della magistratura a Scandicci (Firenze), in merito alla vicenda Ilva ha auspicato si raggiunga quanto prima un’intesa per “contemperare i diversi valori in gioco attraverso la comprensione tra magistratura e istituzioni rappresentative, nazionali e locali”. Una prova difficile da risolvere “in uno spirito di reale collaborazione istituzionale”. Ma il presidente della Repubblica, che all’epoca del boom economico italiano fu uno dei maggiori sponsor istituzionali per la costruzione del siderurgico a Taranto, è uomo politico di lunghissima esperienza per non sapere, nel profondo del suo animo, che la corda si è spezzata definitivamente. E che quel clima da lui invocato, qui non è mai esistito.La collaborazione tra istituzioni, sindacati e privato, quella sì che è sempre esistita. Ed è andata sempre a danno dell’ambiente e della salute dei cittadini. Quindi violando quella Costituzione che lei stesso difende un giorno sì e l’altro pure. Non è più tempo di compromessi “storici”, caro Presidente. Taranto merita verità e giustizia. Ora, non nei prossimi decenni. E la popolazione tarantina tutta, dal primo degli operai all’ultimo degli anziani, ha il diritto sacrosanto e inviolabile di vivere in un ambiente sano. Tutto il resto, economia e Pil compresi, verrà dopo. Nella speranza che siano realmente “alternativi” ad un sistema che oramai non si regge più in piedi e sta implodendo giorno dopo giorno.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 16 ottobre 2012)

 

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