Tamburi, ieri un’altra marcia per la vita

TARANTO – Sono i bambini, nelle loro magliette bianche raffiguranti l’ormai nota Apecar, ad animare la prima fila del corteo. Dietro i liberi e pensanti in “miniatura” c’è lo sguardo vigile di mamme e papà, con passeggini al seguito, sempre più consapevoli di una grande responsabilità: lasciare ai propri figli una Taranto migliore, finalmente libera dai veleni industriali.  “Io non delego, io partecipo”, è lo slogan scelto per la manifestazione che prende avvio da piazzale Democrate, intorno alle 10. A radunarsi sotto un sole beneaugurante ci sono cittadini di ogni età. Come accaduto per la fiaccolata del 5 ottobre, anche questa volta emerge la trasversalità di una partecipazione che non fa distinzioni anagrafiche, culturali e sociali. A rimpolpare il corteo ci pensano gli studenti delle scuole superiori che dopo aver superato il ponte di pietra si accodano ad alcune migliaia di persone già pronte a marciare.

Ad unire tutti è un concetto chiaro, già evidenziato dal gip Patrizia Todisco nei provvedimenti che dispongono il sequestro dell’area a caldo del siderurgico: la salute viene prima di tutto; il diritto alla vita non accetta compromessi. «L’Ilva inquina troppo – dice Francesca, dieci anni, che tiene stretta la mano della sorellina più piccola – i tarantini devono vivere e lavorare senza ammalarsi». Affianco a loro c’è la mamma, ormai una veterana delle manifestazioni. «Mia figlia non è andata a scuola per essere qui – racconta Mary, accompagnata dal marito – la nostra famiglia partecipa sempre unita. Tutti i tarantini dovrebbe fare come noi».

E’ un fiume umano vivace e colorato quello che si snoda per le vie dei Tamburi. La musica sparata dagli altoparlanti dell’Apecar rimbalza tra i palazzi con l’intento di scuotere tutti dal torpore, anche coloro che restano inchiodati ai balconi, frenati ancora da qualche ritrosia. Eppure le esortazioni non mancano. «Scendete giù, unitevi a noi, lottiamo insieme per una Taranto libera», è l’invito di alcuni attivisti del comitato “Cittadini e lavoratori liberi e pensanti”. Non mancano gli striscioni appesi ai palazzi. All’angolo tra via Orsini e via Galeso ce n’è uno che copre sei piani: “I Tamburi hanno pagato per interessi di Stato e privati”. Poco più avanti ne compare un altro: “E’ cambiata la storia, Apecar fino alla vittoria”.

Sui cartelli si legge anche altro: “Ci avete rotto le cozze”, “Alternative o barbarie”, “Sì ai diritti, no ai ricatti”. Eloquente anche la scritta riportata su un altro striscione: “Cittadini e lavoratori contro ricatti e tumori”. Non può passare inosservato il messaggio lanciato da un gruppo di amici: “Lorenzo e Mauro lottano con noi”. Alla mente torna lo sfogo di Mauro, un papà che prese la parola nel corso di una precedente manifestazione per raccontare il dramma del suo bimbo malato, ancora sottoposto a cure. Una storia che ha commosso tutti. «Oggi non possono essere qui – ci dice un amico di Mauro – ci sembrava giusto partecipare anche per loro».

Arrivati in piazza Gesù Divin Lavoratore, la vivacità si stempera per lasciare spazio al minuto di silenzio in ricordo delle vittime dell’inquinamento. Segue un applauso che si prolunga nel tempo, mentre lo sguardo si posa su un altro striscione appeso a un balcone: “Aia: è vietato giocare, è permesso inquinare”. Nell’ultimo tratto che divide dalla tappa finale, piazza De Amicis, prende la parola Cataldo Ranieri, uno dei portavoce dei “liberi e pensanti”. «Guardate lì, le ciminiere continuano a sputare veleni come se niente fosse, non hanno alcun rispetto per noi – dice – ora deve venire fuori tutta la verità: vogliamo i nomi di coloro che hanno venduto Taranto».

Chiaro il riferimento all’inchiesta della Procura denominata “Ambiente venduto” che promette di smascherare un inquietante sistema di collusioni a livello politico, imprenditoriale, giornalistico e sindacale. Non manca poi un cenno al riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale. Le novità annunciate dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini non lo hanno convinto: «Quel documento è soltanto un aiuto all’Ilva, concede altri due o tre anni di veleni, fin quando Riva avrà voglia di spremerci».
Ranieri esprime dubbi anche sui tempi relativi allo spegnimento degli altiforni: «Noi sappiamo come si fa, bastano venti giorni. Abbiamo tutte le competenze per procedere, senza affidarci ad esterni, ma l’azienda non ce le riconosce. Noi rappresentiamo la ricchezza di Riva, eppure lui non ci rispetta». Parole di fuoco anche contro il sindaco Stefàno (“dovrebbe marciare insieme a noi, ma non c’è”) e contro Balduzzi: «Che impegni ha il ministro della Salute? Perché non è venuto a Taranto per presentare i nuovi dati sui tumori?”. Il fiume umano si ferma in piazza De Amicis, dove sono collocate delle sagome di cartone raffiguranti le vittime dell’inquinamento. Uomini, donne e bambini strappati alla vita mentre erano intenti a rincorrere sogni e speranze. Gli stessi sogni e le stesse speranze che animano adulti e bambini a fine manifestazione, mentre improvvisano un girotondo traboccante di vita.

Alessandra Congedo

«LA STRADA E’ LUNGA MA VINCEREMO NOI»

Il corteo avanza per le vie dei Tamburi con la vitalità tipica delle manifestazioni organizzate dai “liberi e pensanti”. A marciare ci sono anche degli operai Ilva, in bilico tra i timori legati alla salute e quelli relativi al posto di lavoro. Tra chi fatica a prendere sonno la notte, assillato da mille pensieri, c’è Francesco. La sua presenza è discreta. Rimane ai margini pur sentendosi in sintonia con i componenti del comitato. «Loro hanno ragione: il diritto alla salute è la prima cosa ma è importante anche il diritto al lavoro – dice – ora, purtroppo, è in corso una partita a scacchi tra l’azienda e la Procura. Il ministro dell’Ambiente dovrebbe mediare per trovare la soluzione migliore. Nelle altre nazioni civili l’industria siderurgica convive con la salvaguardia della salute. Io sono convinto che sia possibile anche qui»

Tra i manifestanti che percorrono via Orsini c’è anche Angela, una donna da sempre residente al quartiere Tamburi. Anche lei indossa con fierezza la maglietta dell’Apecar «Non ne possiamo più di raccogliere polvere di minerale, ora siamo stanchi – si sfoga – una mia parente è morta a soli vent’anni per una leucemia. In famiglia non mancano problemi respiratori ed allergie. Senza dimenticare che mio fratello è stato tra i “mobbizzati” dell’Ilva. Ha ricevuto un trattamento indegno di un Paese civile». Nel suo sguardo si coglie una luce che sa di speranza. «Il cambiamento è in atto – afferma con convinzione – la strada è ancora lunga ma alla fine vinceremo noi».

Protagonista di una storia dolorosa è Franco, a cui è stato recentemente diagnosticato un cancro al colon. Per decenni ha vissuto nel quartiere Tamburi. Dopo la malattia della figlia, colpita da leucemia, ha pensato di trasferirsi a Leporano. Ma la sua aspirazione ad una vita più serena deve fare i conti con una nuova sfida. «Ho scoperto la malattia per caso. Non avvertivo alcun disturbo particolare. La settimana prossima subirò un intervento che dovrebbe essere risolutivo – ed aggiunge – mi sembra giusto invitare i miei concittadini alla prevenzione: è fondamentale per salvarsi la vita». Qualche metro più avanti c’è Peppe (nella foto). Marcia tenendo strette tra le mani le foto dei suoi genitori. Il suo papà è morto giovane, dopo aver lavorato per anni all’Ilva. La mamma è venuta a mancare poco dopo per un altro brutto male. «Sono sicuro che oggi avrebbero voluto partecipare al corteo – si confida – è anche per loro che oggi sono qui».

Alessandra Congedo

httpv://www.youtube.com/watch?v=XxeK8ga6DXo&feature=youtu.behttp://www.youtube.com/watch?v=XxeK8ga6DXo&feature=youtu.be

 

 

 

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