Ilva, lo stop agli impianti per liberarci da questi veleni

TARANTO – L’ultimatum imposto dalla Procura all’Ilva è la logica conseguenza di quanto previsto nell’ordinanza di sequestro preventivo degli impianti firmata dal GIP Patrizia Todisco lo scorso 26 luglio. Specie poi se di fronte a tutto ciò che è stato messo nero su bianco, si è dovuto fare i conti con un’azienda il cui gruppo dirigente ha perseverato nell’atteggiamento arrogante di sempre, e che ha creduto, a torto, che bastasse affidare la presidenza del Cda ad un ex prefetto e licenziare il manager che per anni ha tessuto la lunga tela di Penelope fatta di amicizie interessate, per sistemare l’intera faccenda. Nulla di nuovo o di sorprendente dunque nell’ultima direttiva consegnata all’azienda rispetto alla linea intrapresa dalla Procura di Taranto.

Già lo scorso 1 settembre fu impartita la prima direttiva sin troppo chiara: fermare immediatamente gli impianti per far cessare le emissioni nocive avendo cura di preservare gli impianti dalla distruzione. Ribadendo come il sequestro non abbia alcuna facoltà d’uso a fini produttivi. Stesso dicasi per il provvedimento del 17 settembre in cui si imponeva il blocco dei rifornimenti al parco minerali. Sabato, dunque, è stata soltanto scritta l’ultima parola su un sequestro che da virtuale diventerà reale. Anche perché la scarsa collaborazione, per non dire inesistente, mostrata dall’Ilva e lamentata giovedì scorso dai custodi nella riunione in Procura, si evidenzia in tutta la sua arrogante sfida alle istituzioni ed allo sprezzo per il territorio e i cittadini di Taranto, vedendo quanto avviene di notte all’interno del siderurgico, il cui presidente Bruno Ferrante a più riprese ha assicurato come gli impianti marciassero al minimo delle loro potenzialità.

Certo, da quello che mostrano queste foto scattate da due sentinelle dalle 22 del 30 settembre alle 3 della notte del 1 ottobre, tutto si direbbe tranne che siamo in presenza di una produzione al minimo. D’altronde, che di notte l’Ilva abbia sempre fatto i suoi comodi, è cosa oramai nota a tutti. Lo dimostrano queste foto, così come il video postato su “Youtube” e ripreso dal sito di “Repubblica.it” da un abitante del rione Tamburi, che con una videocamera posta sul suo balcone, ha ripreso per dodici ore l’attività dello stabilimento: dalle ore 20:07 alle ore 7:30 del mattino. Ovviamente il video è compresso in due minuti, ma mostra un qualcosa di lampante ed innegabile: che di notte, da sempre, fanno quello che vogliono. Poi, con l’arrivo dell’alba e il sorgere del sole, magicamente, tutto lentamente si arresta, fumi, veleni, emissioni, fiamme (questo il link dove poter vedere il video: http://video.repubblica.it/dossier/ilva-taranto/ilva-il-timelapse-12-ore-a-taranto/107074?video=&ref=HREC1-3).

Il tutto, nella più assoluta impunità. Almeno sino all’altro giorno. E sino a giovedì, 11 ottobre. Giorno in cui dovranno iniziare le fasi di spegnimento degli impianti, altoforno 5 compreso. Non credete a tutti quegli impostori che dicono che una volta spento l’altoforno 5, l’Ilva muore e sarà impossibile riaccenderlo. Non è assolutamente vero. Perché negli ultimi quattro anni hanno spento a loro piacimento sia l’altoforno 1 che l’altoforno 4 (per ben tre anni), con l’altoforno 3 attualmente non in funzione. Hanno spento a fasi alterne prima l’acciaieria 1 e poi l’acciaieria 2: e nessuno ha fiatato o gridato al disastro o allo scandalo. La verità, infatti, è sempre la stessa: il Gruppo Riva non ha alcuna intenzione di fare gli investimenti che gli sono richiesti dalla Procura, né quelli che, forse, gli saranno richiesti dal ministero dell’ambiente con la nuova AIA.

Perché sono economicamente poco praticabili nel breve periodo, specialmente se abbinati alla non facoltà d’uso degli impianti per portare avanti un minimo di produzione. E siccome istituzioni e sindacati, locali e nazionali, conoscono fin troppo bene le reali intenzioni di Riva, non è un caso che già da ieri mattina abbiano iniziato ad agitarsi, invocando l’apocalisse economica che si abbatterebbe sul nostro paese qualora l’Ilva fermasse la produzione dell’acciaio italiano. Tutti chiedono al governo di intervenire e di confrontarsi con la magistratura. Non c’è che dire: un bel teatrino davvero. Ma lo spettacolo, quello vero, deve ancora iniziare. Ne vedremo ancora delle belle, questo è sicuro. Nel frattempo però, che si spengano gli impianti. Grazie.

G. Leone (dal TarantoOggi dell’8 ottobre 2012)

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