Ilva, parchi minerali lontano dai Tamburi

TARANTO – I tre custodi giudiziali nominati dal GIP Patrizia Todisco lo scorso 25 luglio (gli ingegneri Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento), dopo aver ricevuto lo scorso 1 settembre dalla Procura di Taranto l’ok per il via alla fase di attuazione del sequestro degli impianti presenti nell’area a caldo del siderurgico ordinato dallo stesso GIP, nel giro di una settimana hanno chiuso l’Ilva in un angolo, chiudendo ogni possibilità di via di fuga. Quella che si è conclusa ieri infatti, è stata la settimana in cui i custodi hanno messo nel mirino i parchi minerali, una zona di 70 ettari a cielo aperto in cui stazionano da decenni i minerali e i fossili vitali per il ciclo produttivo del colosso d’acciaio del Gruppo Riva. La scelta dei parchi, non è un caso: nell’ordinanza di sequestro preventivo delle aree del siderurgico infatti, l’elenco del GIP è il seguente: Area Parchi, Area Cokerie, Area Agglomerato, Area Altiforni, Area Acciaierie, Area GRF (Gestione Rottami Ferrosi).

Il primo atto dei custodi è arrivato mercoledì sera, quando l’azienda si è vista notificare il blocco al carico dei rifornimenti di materie prime che avviene ogni giorno agli sporgenti 2 e 4 del porto di Taranto. Obiettivo del provvedimento, diminuire immediatamente l’altezza e la mole dei cumuli di minerali presenti nei parchi, le cui polveri ogni giorno ammorbano l’aria del rione Tamburi, ricoprono l’intera area industriale e parte della città. Causando lo sforamento del PM 10 (la centralina di via Machiavelli a fine agosto ha già superato il limite annuale di 35 giorni di sforamenti possibili), che come redatto nella perizia degli epidemiologi presentata lo scorso 30 marzo, provoca nella popolazione malattia e morte.

Non solo. Perché nel nuovo vertice tra Procura e custodi giudiziali andato in scena nella serata di venerdì e durato oltre tre ore, l’Ilva ha subìto un nuovo, pesantissimo colpo, dopo aver provato per l’ennesima volta a giocare d’astuzia. Presentatosi con la proposta di ridurre del 20% l’altezza dei cumuli di minerali presenti nei parchi, il presidente Bruno Ferrante si è visto notificare altre due disposizioni da parte dei custodi: primo, spostare l’intera area parchi lontano dal confine con il quartiere Tamburi (operazione che comporta investimenti per centinaia di milioni di euro); secondo, interrompere i lavori per la costruzione della barriera anti polveri, la cui posa della prima pietra avvenne lo scorso luglio, con il placet di enti locali e sindacati (che oggi hanno “improvvisamente” cambiato idea sposando l’opzione copertura) e con la curia tarantina impegnata a battezzare la nuova opera a “tutela” dell’ambiente da parte dell’Ilva.

Ferrante, che al vertice di venerdì si era presentato con un documento di due pagine in cui l’azienda chiedeva inoltre alla Procura una deroga sul blocco dei minerali, si è visto dunque rispondere picche: e che soltanto il GIP del tribunale può concedere deroghe o “ammorbidire” l’azione dei custodi, che stanno soltanto applicando alla lettera le disposizioni contenute nell’ordinanza di sequestro preventivo degli impianti, confermate in toto dal tribunale del Riesame. Il quale, nelle sue 124 pagine di motivazioni, ha ben spiegato come non sia compito del tribunale “stabilire se e come occorra intervenire nel ciclo produttivo (con i consequenziali costi di investimento) o, semplicemente, se occorra fermare gli impianti”: tale decisione infatti, dovrà necessariamente “essere assunta sulla base delle risoluzioni tecniche dei custodi-amministratori, vagliate dall’autorità giudiziaria”.

Non è un caso del resto se nel verbale di mercoledì scorso in cui si notificava il blocco dei rifornimenti dei minerali, era spiegato che eventuali deroghe “dovranno essere richieste formalmente, con congruo anticipo, sulla base di valutazioni tecniche di dettaglio, ai custodi che provvederanno all’autorizzazione”. Il presidente Ilva invece, non solo non ha firmato il verbale in questione nella qualità di custode amministrativo contabile, ma ha presentato le richieste dell’azienda alla Procura e non ai custodi: insomma l’azienda, nonostante il tanto sbandierato nuovo corso targato Ferrante, continua nella sua politica di sempre, tentando di sfuggire alle sue responsabilità. Ma il tempo delle false promesse, delle omissioni, delle conclamate bugie, é oramai terminato. Anche gli alleati di sempre, istituzioni, sindacati, mass media locali, parte della classe imprenditoriale e curia tarantina, sono oramai con le mani legate: di fronte all’azione della magistratura che ha nei custodi il suo braccio armato, c’è ben poco da fare.

Dunque, per i custodi bisogna spostare i parchi. O coprirli. Entrambe le operazioni comporteranno investimenti di centinaia di milioni di euro: che Riva, ne siamo certi, non accetterà mai di fare. Del resto la situazione dei parchi minerali, ha trovato ampio spazio sia nella relazione dei periti chimici sia nell’ordinanza di sequestro del GIP Patrizia Todisco che sull’argomento è stata più che esplicita: “Non può sottacersi un ulteriore allarmante profilo di criticità evidenziato dai periti chimici, i quali nell’indicare nella copertura dei parchi minerali la soluzione del gravissimo ed annoso problema delle emissioni polverose diffuse provenienti da detti siti di stoccaggio e ripresa di materie prime, si sono soffermati sulle pericolose, probabili implicazioni dell’uso del pet-coke nel ciclo produttivo dell’acciaieria tarantina, uso al quale l’Ilva è stata autorizzata (!) dal decreto Aia del 4 agosto 2011”.

La copertura, dunque, come unica soluzione. Per evitare anche il continuo danno prodotto dall’utilizzo del pet-coke, autorizzato dalla famosa AIA che ora il governo vuole riesaminare, conosciuto con il triste soprannome di “feccia del petrolio”. Tra i suoi componenti, oltre agli IPA (come il cancerogeno benzo(a)pirene), vi sono ossidi di zolfo e metalli pesanti come nichel, cromo e vanadio. In base ai risultati della perizia chimico-ambientale, si evince “come le modalità di scarico, movimentazione, stoccaggio e manipolazione successiva del pet-coke siano soggette a fenomeni emissivi non convogliati”, sui quali non vi è mai stato alcun controllo né parte dell’azienda né dagli enti preposti a svolgere tale ruolo. I periti chimici lo scrivono senza mezzi termini: “Il futuro stoccaggio di pet-coke autorizzato nell’ambito del recente decreto Aia, per sue caratteristiche e contenuto di microinquinanti particolarmente critici (es. IPA), costituirà un ulteriore elemento di aggravio dello scenario emissivo relativo al parco stoccaggi”. Pertanto, “la realizzazione di tale nuovo stoccaggio dovrebbe essere subordinata alla copertura dello stesso con valutazione e applicazione di eventuale aspirazione e trattamento delle emissioni generate”. Le stesse considerazioni vengono espresse sul deposito, la movimentazione, il trasferimento dei materiali che possono generare emissioni in atmosfera contenenti sostanze inquinanti, anche considerato “l’impatto attualmente prodotto da queste pari a 668 tonnellate di polveri per anno immesse in atmosfera e la criticità della posizione periferica del Parco stoccaggi prospiciente il centro abitato(quartiere Tamburi)”.

Ecco perché non c’è nulla di cui stupirsi in merito alle scelte dei custodi: il blocco del rifornimento di materie prima, la diminuzione immediata dell’altezza e della mole dei cumuli di minerale e il loro spostamento lontano dal centro abitato, non sono altro che la logica conseguenza dell’attuale situazione dei parchi minerali dell’Ilva. Che certamente non possono essere risolte né attraverso le proposte/diktat dell’azienda (diminuzione massima del 20% dell’altezza dei cumuli e bagnatura continua delle polveri), né attraverso la tanto sbandierata opera di barrieramento, che altro non è che un semplice palliativo.

Cosa che abbiamo denunciato per mesi interi, restando inascoltati. D’altronde, se persino noi siamo in grado di affermare (senza mai essere stati smentiti) che tale opera avrebbe intercettato soprattutto le polveri pesanti aero disperse e solo nella misura del 50-70%, mentre le polveri sottili (PM 10, PM 2,5, PM 0,1) che sono le più insidiose per la salute umana in quanto più facilmente si incuneano nelle vie respiratorie veicolando sostanze altamente inquinanti e spesso cancerogene, sarebbero rimaste “libere” di spandersi nell’aria, appare scontato lo stop al proseguimento della costruzione dell’opera da parte dei custodi.

Infine, ci consta ancora una volta ricordare e ribadire come l’Ilva non abbia alcuna facoltà d’uso sugli impianti sequestrati, per quanto concerne la produzione: gli impianti, così come confermato anche dal tribunale del Riesame, vanno messi in sicurezza e risanati, non ci sono alternative. Perché l’obiettivo primario è quello di eliminare quanto prima il propagarsi delle emissioni diffuse e fuggitive, pericolosissime per l’ambiente e la salute dei cittadini. Quella che inizia oggi invece, sarà molto probabilmente la settimana in cui i custodi giudiziali notificheranno all’azienda i loro provvedimenti per quanto concerne l’area delle cokerie.

Sempre oggi inizierà la terza settimana di lavoro per la commissione IPPC-AIA incaricata dal ministero dell’Ambiente di riesaminare l’autorizzazione concessa all’Ilva nell’agosto 2011, partendo da un’approfondita analisi degli impianti oltre che dall’attuazione, da parte dell’azienda, delle prescrizioni contenute nel vecchio documento. E come abbondantemente previsto, al di là degli entusiasmi espressi a più riprese dal ministro all’ambiente Corrado Clini, la stessa commissione si è resa conto che terminare il lavoro entro il 30 settembre, con la conseguente convocazione della Conferenza dei Servizi il prossimo 15 ottobre, appare qualcosa di molto vicino ad una vera e propria utopia.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 10 settembre 2012)

 

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