Emergenza Ilva, Michele Riondino: “Svegliamoci finalmente, tutti insieme”

TARANTO Michele Riondino non è solamente un attore di talento. E’ anche un figlio della nostra terra. Nato trentatré anni fa nel quartiere Paolo VI,  non ha mai dimenticato le sue origini. E lo ha sempre fatto con sensibilità e intelligenza testimoniando, ogni volta che ha potuto, il dramma di una comunità profondamente segnata da decenni di inquinamento incontrastato. In questi giorni, sul suo profilo Facebook, ha pubblicato un intervento sulle ultime vicende giudiziarie che vedono coinvolta l’Ilva. Parole sincere e accorate che invitano i tarantini a svegliarsi. Dopo aver ottenuto il suo personale e gentile consenso, abbiamo deciso di riportare il testo in questa pagina. Buona lettura.

“Non può essere una colpa amare la mia città nonostante i veleni che mi ha fatto respirare sin dal primo giorno della mia nascita, non è colpa mia se quando entrando dalla 106 la prima cosa che ti dice che sei arrivato a destinazione è l’odore pesante e acre della raffineria, non è colpa mia se la rabbia rispetto allo sfruttamento occupazionale e ambientale, che rende schiava la mia Taranto mi porta a dire sempre quello che penso così come lo penso. L’Ilva è un destino ineluttabile.

Lo è per me come per ogni altro tarantino, non importa se ci lavori oppure no, la sua presenza ha sempre condizionato la vita di tutti in città. Io personalmente l’ho sempre considerato un mostro, è difficile infatti considerare innocuo un impianto industriale che per 33 anni (la mia età) ogni giorno gli vedi sputare fiamme e fumi di ogni colore, è difficile considerare normale il fumo nero e denso sprigionato da un incendio all’interno di uno dei reparti dell’area a caldo, è impossibilerestare sereni se chi dovrebbe rassicurarti che quell’incendio e quel fumo sono innocui per la salute in realtà risolve e minimizza la faccenda dicendo semplicemente: tranquilli è olio vegetale, nessun problema.

Sono convinto che chiunque, anche i più tenaci sostenitori del patron riva, almeno una volta all’uscita della fabbrica, abbiano pensato vedendo il fumo nero sprigionarsi nel cielo: oh mio dio, che stiamo combinando? Ne sono sicuro, perché davanti a tale osceno spettacolo non si può, non si deve essere indifferenti. Non si può non aver mai pensato: mio dio che cosa sto facendo eespirare a mio figlio. Si è sempre fatto leva sul ricatto a Taranto. La dirigenza ha sempre avuto gioco facile per questo.

Se la legge Biagi consente di far lavorare padri di famiglia con contratti a progett0 con scadenze trimestrali e anche addirittura mensili, bene la dirigenza ha avuto il coraggio di mettere questi padri di famiglia nelle condizioni di non poter chiedere malattie, ferie e con l’invito-obbligo sottinteso di un minimo di due ore di straordinari al giorno, pena la mancata riconferma. Dico questo perché so, perché vittime di assurdi licenziamenti sono stati parenti e amici.

Vivere a Taranto significa vivere all’ombra di una ciminiera o di un altoforno, significa arrendersi e non alzare la voce, significa stare attenti a non scioperare e a non mostrarsi sindacalmente attivi, significa fare buon viso a cattivo gioco e assecondare le politiche del più forte, significa arrendersi all’idea di non avere una dignità, o peggio di arrendersi all’idea di vedersela calpestata o rifiutata, perché nel momento in cui la politica ti costringe a scegliere tra il lavoro e la salute vuol dire che quella stesa politica ha di te un idea precisa: ossia che tu non sei più una testa pensante, un uomo, un essere umano bensì una macchina che deve muoversi a comando.

Trovo sacrosanta l’ordinanza del tribunale di Taranto, è una liberazione leggere nell’atto: “non può più essere consentita una politica imprenditoriale che punta alla massimizzazione del risparmio sulle spese per le performance ambientali del siderurgico, i cui esiti per la comunità tarantina e per i lavoratori, in termini di disastro sono sotto gli occhi di tutti” e inoltre: “chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza”. Non potevano riconoscerci verità più accertate ed è per questo che sono convinto che da questo processo non si può essere troppo spaventati.

La politica è ora che si assuma le giuste responsabilità a riguardo e non credo che lo stato italiano possa permettersi la chiusura del più grande impianto siderurgico, la stessa Fiat non può fare a meno dell’acciaio tarantino, l’intero sistema industriale italiano imploderebbe lasciando un vuoto incolmabile. Nessuno chiuderà il mostro, ne sono sicuro, ma se col mostro ci si deve convivere allora le regole di questa convivenza devono essere chiare e rispettate. È vero con l’aria pulita non si mangia, ma l’aria pulita si respira, serve a far crescere sani i nostri figli e non è demagogia questa è pura e semplice regola di sopravvivenza. Un esòsere umano può resistere all’incirca un mese senza mangiare, all’incirca tre giorni senza bere, non più di tre minuti senza aria.

Trovo alcune prese di posizione rispetto ai giudici, che li vedrebbero colpevoli di quello che sta succedendo oggi, veramente paradossali e ritengo di un’ingiustizia inaudita il tentativo maldestro di proteggere i riva da responsabilità lampanti. Emilio Riva fu già giudicato su questi temi, ma la sua posizione non fu nemmeno scalfita per via del patteggiamento, in più quando aderì alla cordata Alitalia la sua fu quasi una santificazione e i vecchi parametri di Kyoto furono messi definitivamente in soffitta perché a suo dire avrebbe dovuto licenziare personale per poter ridurre le emissioni e nessun governo volle assumersi tale responsabilità. Determinati conti però bisogna farli prima o poi e quel momento è arrivato.

Certo la soddisfazione di questa ordinanza si ferma la dove si evince che dei 300 e più milioni di euro che il governo ha promesso di stanziare per la bonifica degli impianti ilva solo 8 milioni saranno il contributo della famiglia Riva, famiglia che è scesa dal cosiddetto “nord che produce” in terronia ad avvelenare l’aria di famiglie che volevano solo un buon impiego. “Sono con gli operai senza se e senza ma”, già la classe politica si sta spendendo a riguardo. Io invece dico “sono con gli operai senza se, ma con un ma”. Mi rivolgo infatti a tutti gli operai di oggi che sono figli degli operai di ieri. Ma come, eravamo insieme in piazza 16 anni fa a protestare contro l’impatto ambientale, contro il ricatto occupazionale, contro le ore di straordinario selvaggio, contro l’amianto, anche contro la nave dei veleni.

Eravamo insieme e i nostri padri ci criticavano perché, dicevano: contro l’azienda non ci si deve mai schierare. Noi rinnegavamo questa logica e criticavamo a nostra volta i nostri padri per la loro staticità, per il loro lassismo, per il loro arrendersi ancora prima di provarci. Oggi quei compagni sono si in piazza, ma ad attaccare una magistratura che finalmente ci ha dato ragione. Io penso che ora c’è solo da pretendere dalla politica quelle regole e soprattutto quell’interessamento che sono sempre mancate e per le quali scioperavamo dalle scuole, intasavamo il centro. Ora bisogna gridare con una voce unica che quest’azienda è nostra e che vogliamo abitarla e farla funzionare per il nostro bene e non contro il nostro bene.

Ora dobbiamo gridare che oltre alla fabbrica bisogna giocarci quelle carte che la gestione selvaggia della fabbrica stessa ha distrutto. Mi riferisco per esempio alla coltura delle nostre cozze che non possiamo più toccare perché ci mutano il DNA. Dobbiamo gridare che da noi la fabbrica ci ha avvelenato bestiame e terreno e che non possiamo più esportare il settore caseario. Dobbiamo gridare che la nostra è una terra bellissima e che la carta del turismo non siamo mai riusciti a giocarcela seriamente perché nessuno ha mai avuto il coraggio di investire su queste terre, dobbiamo gridare a tutti quelli che passano dalle nostre parti per andare in Salento che noi ormai ci siamo svegliati e che qui il mare, le spiagge, i prezzi sono migliori. Dobbiamo essere uniti e non farci condizionare più da nessuno, ne da padroni ne da politici che cercano il riscatto in una terra che è l’eldorado degli usurpatori. Svegliamoci finalmente, svegliamoci tutti insieme per una volta”.

Michele Riondino

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