Vendola e la favola delle bonifiche

TARANTO – Non c’è che dire: l’inchiesta portata avanti dalla Procura di Taranto ha colpito nel segno. Sono bastate le due perizie presentate dai periti chimici ed epidemiologi nel giro di un mese, per vedere le nostre istituzioni e i nostri sindacati correre ai ripari in quella che abbiamo già definito essere una ridicola e patetica “ritirata spagnola”. Che se ha dapprima interessato il Comune di Taranto ed il sindaco Stefàno con la famosa ordinanza in cui intima all’Ilva di correre ai ripari entro 30 giorni (che ricordiamo scadranno il prossimo 26 marzo) adottando una serie di provvedimenti per limitare e/o abbattere le emissioni nocive avvertendo che gli impianti riguardanti l’ordinanza dovranno sospendere la loro attività in caso di inadempienza, ha poi richiamato sull’attenti i sindacati, specie dopo che i dati emersi dalla perizia degli epidemiologi, hanno accertato come tra gli operai dell’Ilva “esiste una maggior frequenza di denunce di malattie respiratorie e tumori non da asbesto tra i lavoratori dell’ILVA rispetto al dato nazionale“. Inevitabilmente però, quanto emerso dalle due perizie, ha finito per chiamare in causa anche la Regione Puglia del presidente Nichi Vendola, entrato di diritto nella classifica dei “narratori” preferiti dalla famiglia Riva.Nella giornata di ieri infatti, il buon Nichi ha radunato a sé i vari capigruppo e i consiglieri regionali della Provincia di Taranto, perché la situazione rischia di precipitare in tempi brevissimi, visto che il prossimo 30 marzo si svolgerà la seconda parte dell’udienza dell’incidente probatorio in cui sarà discussa le perizie degli epidemiologi: dopo di che la magistratura sarà costretta a procedere ed al momento nessuno è in grado di dire cosa accadrà. Ma per non correre il rischio di essere travolti dalla marea che inevitabilmente rischia di travolgere tutti colori che in questi anni avrebbero potuto porre un argine all’inquinamento senza colpo ferire, è meglio correre ai ripari. Ci ha pensato per primo l’esperto Florido con lo stanziamento di 100.000 euro per l’Asl di Taranto, affinché potesse partite il progetto delle mappe epidemiologiche. Dopo di che è stato il turno del sindaco Stefàno con la famosa ordinanza. Infine, ieri, è toccato a Vendola annunciare i prossimi impegni della Regione Puglia nei confronti della “questione Taranto”, scrivendo anche una lettera ufficiale al Ministro dell’Ambiente Clini, in cui richiede la convocazione di una Conferenza dei Servizi ad hoc “per il riesame dell’AIA rilasciata allo Stabilimento siderurgico ILVA di Taranto“.

Ma come mai, cari signori, tutta questa fretta proprio ora? Ricordiamo male o soltanto poche settimane addietro affermavate che il problema dell’inquinamento a Taranto era stato risolto definitivamente? Che l’Ilva è oramai da considerarsi un’industria modello europeo per quanto concerne la eco compatibilità ambientale? Che l’A.I.A. rilasciata lo scorso luglio era un momento storico ed il documento migliore possibile? Possibile che sono bastate appena due perizie di un gruppo di esperti nominati dalla Procura di Taranto per sgretolare tutte le vostre certezze? Come avete avuto modo di osservare, nella pagina accanto c’è la nota ufficiale della Regione Puglia, che informa su quanto ieri si siano detti Vendola e i suoi prodi, nella quale sono elencati i futuri e repentini provvedimenti che saranno attuati. Quella che segue, dunque, è l’ennesima “operazione verità” che siamo costretti a fare di fronte alla nuova commedia messa in atto negli ultimi giorni dalle nostre istituzioni. Per ricordare loro che i fatti dicono tutt’altro e che saranno i soli a sprofondare nell’abisso, quando il corso della storia e gli eventi finiranno per travolgerli e, speriamo, spazzarli via per sempre dalla scena politica locale.

Ora. Partiamo dal principio: per l’ennesima volta siamo costretti a ricordare al presidente Vendola che la legge anti-diossina, pur essendo un qualcosa che a livello normativo non è mai esistito prima del 2008, così come è concepita è praticamente inutile ed inattendibile dal punto di vista scientifico. Per un semplicissimo motivo: monitorare con campagne di 6-8 ore per tre giorni consecutivi le emissioni del camino E312 dell’Ilva appena quattro volte all’anno, tra l’altro sempre di mattina e mai nelle ore notturne e per di più senza l’effetto sorpresa, non ha alcuna attendibilità o credibilità. Stesso discorso per la legge sul controllo le emissioni da benzo(a)pirene: visto che l’Ilva, a differenza di Eni e Cementir, si è categoricamente rifiutata di installare le centraline atte al monitoraggio sia all’interno che all’esterno del perimetro del siderurgico: se questo è un successo, stiamo messi proprio bene. Proseguendo nella lettura della nota, ci imbattiamo in una frase che rasenta lo scandalo: “…alla luce dei fatti processuali che sono stati richiesti dal Comune di Taranto perché si giungesse ad un incidente probatorio…“. Non ci risulta che l’attuale amministrazione abbia spinto affinché la Procura di Taranto desse il via all’inchiesta attualmente in corso: nel caso attendiamo di essere smentiti da fatti o note ufficiali della Procura, altrimenti siamo, come sempre, a livello da chiacchiere del bar dello sport.

Ma il bello deve ancora venire. Perché, come fulminati sulla via di Damasco, alla Regione Puglia si sono accorti che bisogna in tutta fretta rivedere l’A.I.A., per “affrontare, in tempi rapidissimi, un’altra questione che viene fuori in modo rilevante dalle perizie: il problema della copertura dei parchi minerali e dei nastri trasportatori; l’integrale copertura di tutto ciò che rappresenta, a causa dello spandimento delle polveri sottili, un’ipoteca sulla vita e sulla salute della città di Taranto. Infatti ho reiterato la richiesta al Ministro Clini di convocare subito la conferenza di servizi per fare le valutazioni opportune alla luce di quegli elementi nuovi che i periti ci offrono“. Cioè, qui siamo al totale capovolgimento della realtà, di fronte al quale preferiamo alzare le mani: qui si vuol far credere ai tarantini che solo dopo le due perizie dei periti, alla Regione Puglia si sono accorti che esiste un problema con i parchi minerali, che da 60 anni ricoprono un intero quartiere con annesso cimitero. Stendiamo un velo sulla credibilità delle frasi del governatore Vendola: ma vorremmo sapere come sia possibile anche solo pensare che il problema dei parchi minerali non fosse a conoscenza dell’assessorato all’ambiente o all’Arpa Puglia, presenti in tutto il percorso che ha investito la commissione IPPC per il rilascio definitivo dell’A.I.A. all’Ilva: in quella sede, era il 5 luglio del 2011, il problema della copertura dei parchi minerali sparì come per magia dalle prescrizioni.

E visto e considerato che alla Regione si sono svegliati soltanto adesso, vi aggiorniamo sul corso degli eventi: a breve l’Ilva procederà con il barrieramento dei parchi, con il placet del Comune, che ridurrà solo del 50% lo spargimento delle polveri, lasciando continuare a disperdere nell’area il PM10 e il PM2,5, ovvero proprio quelle polveri più cancerogene per l’uomo che nella perizia degli epidemiologi hanno avuto un ruolo primario per quanto poi scritto nelle conclusioni della stessa: “nei 13 anni di osservazione sono attribuibili alle emissioni industriali 386 decessi totali, 237 casi di tumore maligno con diagnosi da ricovero ospedaliero, 247 eventi coronarici con ricovero, 937 casi di ricovero ospedaliero per malattie respiratorie“. Sarà per questo che Vendola è intenzionato a chiedere al Ministro della Salute una deroga al turn-over del personale sanitario nella Asl di Taranto: “se viene sottolineata una questione sanitaria, è giusto che la città abbia una corsia privilegiata anche su questo fronte“. Tante grazie.

Ma la “ritirata spagnola” della nostra istituzioni, poggia su un convincimento di base, che poi è il fiore all’occhiello di tutta questa commedia messa in piedi negli ultimi giorni: ovvero che “bisogna chiedere allo Stato di farsi carico di quello che è accaduto a Taranto. Dopo decenni e decenni di inquinamento, è giunto il tempo di una legge speciale per Taranto, un atto da parte dello Stato che si faccia carico sia del ciclo delle bonifiche che dei risarcimenti“. Ma Vendola è a conoscenza del fatto che dal 1995 l’Ilva è della famiglia Riva? E che sino al 2010 (prendendo per buona questa data che l’Arpa Puglia individua come inizio della riduzione totale delle emissioni del siderurgico) l’Ilva ha inquinato in tutta libertà? Il nostro Presidente ha inteso che la perizia degli epidemiologi riguarda gli anni dal 2004 al 2010? E che quella dei periti riguarda quanto osservato anche dai carabinieri del NOE per 42 giorni tra maggio e giugno dello scorso anno? E che Comune e Provincia di Taranto con un semplice atto di notifica, hanno la possibilità di chiedere, ancora non per molto, il legittimo risarcimento danni alla famiglia Riva per la condanna definitiva in Cassazione del 2005?

Concludiamo con la perla finale che non manca mai in queste occasioni: “Abbiamo bisogno che il Governo ci consenta subito di sbloccare le risorse e i progetti per cominciare la grande, vera opera economica e sociale di cui la città ha bisogno: la bonifica“. Visto quanto sopra, abbiamo oramai perso la speranza di far capire a Vendola e soci che finché Ilva, Eni e Cementir, opereranno sul nostro territorio, anche qualora dotate di questa famose migliori tecnologie in assoluto, esse continuerebbero ad inquinare. Non è pensabile che, tanto per fare un esempio pratico, un ipotetico 0,2 nanogrammi per metro cubo di diossina nell’aria, nel terreno, nell’acqua, non inquini solo perché rientra in un limite di legge. Qualcuno spieghi a questi signori che una bonifica può avvenire solo quando la fonte emissiva ha cessato di inquinare, ovvero di esistere. Ma, come diceva il buon De André, per non morire, a volte, “ci vuole tanto, troppo coraggio“. Quello che è sempre mancato alle nostre istituzioni, oramai fuori tempo massimo per correre ai ripari. Su questo siamo d’accordo con loro: vista la situazione, è meglio battere in ritirata. Ed anche alla svelta.

Gianmario Leone

g.leone@tarantooggi.it

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