Eni, una centrale per il raddoppio. I retroscena

TARANTO – Il 23 giugno 2011, sul sito del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, è stato pubblicato un decreto protocollato col numero 348, nel quale vengono riportate le 39 pagine con cui la “Commissione Tecnica per la verifica dell’Impatto Ambientale – VIA e VAS”, il 2 aprile del 2009 espresse il suo “parere interlocutorio negativo” riguardo alla compatibilità ambientale del progetto “Incremento della capacità di lavorazione della Raffineria di Taranto”. Dunque, ad oltre due anni di distanza, finalmente entriamo in possesso di un documento fondamentale per capire le strategie dell’Eni per la raffineria di Taranto. Soprattutto, in questi giorni sveleremo tutte le bugie di chi, ancora oggi, prova a speculare sulla verità che questa città, dopo oltre 40 anni di industria pesante ed inquinamento, meriterebbe dalla A alla Z. Smaschereremo le bugie dell’Eni, ovviamente. Ma anche quelle della politica, dei sindacati, e di tutti coloro i quali si ergono a paladini di un cambiamento partendo da denunce fittizie, spesso non veritiere, e che rispondono a dettami che arrivano dall’alto, da quei legami tra politica, imprenditoria, sindacati e mass media, che continuano ancora oggi a provocare danni indicibili a questa comunità.

Ma torniamo a noi e a ciò che più ci interessa. Molti ricorderanno il discusso “Ampliamento della capacità di lavorazione da 6,5 a 11 milioni di tonnellate all’anno”, ovvero la richiesta di  raddoppio che l’Eni avanzò diversi anni or sono. Le 40 pagine del parere della Commissione Tecnica VIA-VAS, sono come detto un documento alquanto prezioso: al suo interno vengono elencate tutte le attività svolte presso la raffineria di Taranto (che la stragrande maggioranza di politici ed addetti ai lavori ancora oggi non conoscono: rimarrà impressa nella memoria storica di questa città, la “soddisfazione” espressa da un consigliere comunale dell’attuale amministrazione durante la Commissione Ambiente dello scorso luglio, quando lo stesso rivolgendosi ai dirigenti dell’Eni scesi a Taranto per presentare il progetto della nuova centrale Enipower, li ringraziò per avergli fatto finalmente capire cosa fa l’Eni a Taranto dal 1952) e all’interno del quale sono presenti, una ad una, tutte le autorizzazioni ricevute dall’azienda petrolifera a partire dal lontano 1991. Autorizzazioni che riguardano sia la Provincia di Taranto quanto la Regione Puglia, oltre che ovviamente il Ministero dell’Ambiente. Fanno sorridere, dunque, le dichiarazioni di tanti che ancora oggi dicono di non sapere, di non conoscere chi ha inquinato Taranto. O le affermazioni di chi dichiara che l’Eni sia colpevole solo di “compensare” in maniera non adeguata la città dei Due Mari. Come le abbiamo noi, immaginiamo che queste carte siano da anni in possesso delle nostre istituzioni, dei sindacati, di tutti coloro i quali potevano agire per tempo ed invece hanno preferito guardare dall’altra parte. Ritardando in maniera imperdonabile quegli interventi che probabilmente avrebbero salvato tantissime vite umane, oltre a lasciare aperta la strada per una reale possibilità di bonifica di un territorio che oggi presenta livelli di inquinamento talmente critici da far ipotizzare bonifiche di durata ultra decennali.

Bisogna altresì riconoscere come, all’interno del parere della Commissione Tecnica di VIA-VAS, non venga omesso nulla: ed è proprio grazie a questa “mancata” omissione che siamo riusciti a scoprire alcune cose molto interessanti. In questo nostro speciale, abbiamo scelto di arrivare dritti al punto, senza tediarvi inutilmente attraverso un elenco infinito di cifre, dati, autorizzazioni, leggi e via dicendo. Andando a capire il perché ancora oggi, con la pubblicazione del Decreto da parte del Ministero, a due anni di distanza da quel parere non sia stato possibile per l’Eni attuare il tanto agognato raddoppio. I motivi sono di duplice natura: uno strettamente tecnico, l’altro più legato all’impatto che tale raddoppio avrebbe in termini di inquinamento e di salute sui cittadini.

Per quanto concerne quest’ultimo, nel parere della Commissione Tecnica VIA-VAS, compare lo studio dell’“Atlante della Sanità Italiana 2001”: un documento datato, certo, ma che contiene informazioni tutt’altro che trascurabili. Lo studio analizza i dati di mortalità per gli anni 1996-1998 riscontrati nelle diverse Aziende Sanitarie Locali (ASL) italiane. Nello studio compare un indicatore nuovo, la “mortalità evitabile”: in pratica vengono calcolati quanti anni persi, in proporzione a quelli potenzialmente ancora vivibili degli individui della popolazione residente, siano attribuibili a carenza di prevenzione, diagnosi o terapia. Per quanto riguarda la ASL di Taranto, manco a dirlo, risultano esserci valori di mortalità evitabile in tutti i casi superiori a quelli medi regionali. A livello nazionale, invece, i valori di Taranto sono superiori “solo” per quelli riferiti agli anni di morte evitabili connessi a malattie del sistema circolatorio ed altre cause.  Inoltre, sempre da questo studio si evince, ancora una volta, come i dati relativi alle morti per tumore siano superiori a tutti gli altri dati regionali, sia per gli uomini che per le donne e sia per la fascia d’età dai 0-74 sia per quella maggiore dei 74 anni. Infine, le morti per malattie dell’apparato respiratorio (che colpisce maggiormente le donne) risultano superiori alla media nazionale sia a livello locale che regionale per entrambi i sessi e le categorie di età considerate. Dunque, conclude la relazione, “facendo riferimento a tutte le cause di morte, si rileva come i dati dell’Asl di Taranto siano superiori, per entrambe le fasce d’età, alle medie regionali e nazionali”. Avete capito, dunque, di cosa stiamo parlando? Parliamo di dati risalenti agli anni 1996-1998, aggiornati nel 1999, nel 2000 e nel 2001. Dati certificati, non idee o pensieri sparati senza costrutto. Ed è quindi davvero immaginabile che nessun politico di allora sapesse? Che a nessuno sia venuto in mente allora di chiedere l’istituzione di un Registro Tumori? O di avanzare richiesta per una serie e approfondita indagine epidemiologica? Possibile che questi dati siano caduti nell’oblio generale? Possibile che essi non possano andare a confluire nel Registro Tumori di Taranto, costretto oggi a far partire l’orrenda conta di morti ed ammalati dal “solo” 2006?

Tutto questo c’entra anche con il raddoppio della raffineria Eni in quanto, lo stesso, “comporterebbe un aumento delle emissioni dai camini della raffineria e delle ricadute degli inquinanti sul territorio. Ciò è dovuto non tanto alle modifiche impiantistiche che in generale, di per sé condurrebbero ad un miglioramento della qualità dell’aria, ma alla contemporanea previsione del raggiungimento della massima capacità di lavorazione del greggio, passando dagli attuali 6,5 agli 11 milioni di tonnellate annue”. Per concludere, il parere interlocutorio negativo è dovuto al fatto che l’Eni ha indicato nella sua richiesta, analisi sugli  inquinanti principali, dunque fornendo un progetto parziale. Così come nella richiesta dell’Eni, risulta parziale lo studio e l’analisi dell’incidenza del raddoppio sui cinque SIC (Siti d’Importanza Comunitaria) presenti nell’area in questione, oltre a mancare l’approfondimento sull’andamento dei livelli di ozono e l’apporto previsto dal progetto alla sua formazione.

Una centrale per un raddoppio

Come detto in precedenza, però, il “parere interlocutorio negativo” della Commissione Tecnica VIA-VAS, è anche di natura tecnica. Ed è a questo punto che entra in gioco la famosa centrale termoelettrica a ciclo combinato da 240 MWe che Enipower (società controllata al 100% dall’ENI che non va però confusa e identificata con “ENI Raffineria”) vorrebbe realizzare all’interno della Raffineria Eni.

Come si ricorderà, il progetto della nuova centrale a turbogas è stato “venduto” dall’Eni come essenziale per la vita stessa della raffineria. In quanto l’attuale centrale termoelettrica alimentata ad olio combustibile che produce l’energia utile al ciclo di produzione della raffineria, è vetusta, pericolosa ed altamente inquinante. Dunque, hanno sempre argomentato dall’Eni, necessita di essere sostituita. Bene. Il problema è che da sempre i numeri non tornano. Perché, infatti, sostituire l’attuale centrale in parte ad olio combustibile ed in parte a gas di 85 MW come quella in esercizio, con un impianto di quasi 288 MW integralmente alimentato a gas? 288 MW sì, e non i famosi 240. Perché nel progetto della nuova centrale, è previsto che bisogna aggiungere il mantenimento dei 39 MW di uno degli impianti oggi in funzione alimentato a fuel gas e altri 8,3 MW della turbina a contropressione. Tutto questo, prevede che il 72.7% dell’energia prodotta (5 volte l’attuale) venga venduta sul mercato, mentre il rimanente resterà a servizio della raffineria. Le conseguenze negative per la salute e il territorio si identificano in un peggioramento delle emissioni di monossido di carbonio (da 87 ton/a a 456 ton/a), della CO e di un formidabile incremento della CO2 del 276%.

Il bello è che noi, sino ad oggi, ci siamo opposti a questo progetto prendendo per buone le panzane rifilateci dall’Eni e dai sindacati, oltre che da gran parte delle istituzioni locali, tranne la Regione Puglia (Delibera n. 1540 del 7 agosto 2009) che il 21 giugno 2010 inoltrò all’Avvocatura regionale la richiesta di impugnativa, davanti al TAR del Lazio, del Decreto Ministeriale n. 209 del 26 aprile 2010, con cui il Ministero dell’Ambiente, di concerto con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, espresse parere favorevole sulla “pronuncia di compatibilità ambientale presentata dalla società ENI Power S.p.A., concernente la realizzazione di una centrale a ciclo combinato da 240 MWe all’interno della Raffineria ENI di Taranto”. In realtà, la verità sta nella carte del parere della Commissione Tecnica VIA-VAS e per la precisione a pag. 12 del documento in questione. Quando si legge che, nelle modifiche progettuali proposte dall’Eni per incrementare la capacità di raffinazione della raffineria di Taranto, progetto denominato “Taranto Plus – Sistema Logistico Taranto Sud”, ha un ruolo primario la “ristrutturazione della Centrale Enipower situata all’interno della raffineria”. Il raddoppio prevede una serie infinita di installazioni di vario tipo, tra cui anche la preoccupante “realizzazione di 14 nuovi serbatoi di stoccaggio per il greggio e per i prodotti finiti”. Ma soprattutto nel parere risulta chiaro che “le nuove unità componenti il progetto “Taranto Plus” necessitano tanto di energia termica che elettrica. Per il funzionamento degli impianti essa sarà prelevata dalla rete di Raffineria, a sua volta alimentata dalla centrale gestita da Enipower che sarà sottoposta a potenziamento con risanamento”.

Dunque, ecco confermato dalle carte e non da congetture da quattro soldi, i nostri “dubbi” di sempre: ovvero che la nuova centrale a turbogas servirà a produrre energia tale da poter alimentare una raffineria “raddoppiata”. Altro che energia da vendere sul mercato. Ma non c’è solo questo. Perché il “parere interlocutorio negativo” della commissione tecnica VIA-VAS, la centrale Enipower ha un ruolo chiave. Perché, senza di essa, viene chiarito che le emissioni provocate dal raddoppio della raffineria, aumenterebbero per tutti gli inquinanti principali (SO2, NOx, CO e polveri). E’ altresì chiarito come il beneficio ambientale derivante dal raddoppio sarà possibile solo con la nuova centrale Enipower. Dunque, ecco svelato l’arcano: all’Eni la nuova centrale serve eccome. E serve di quella potenza (240MW) perché da un lato andrebbe ad alimentare una raffineria “raddoppiata”, mentre dall’altro aiuterebbe a ridurre le emissioni di tutti gli inquinanti principali, ad eccezione del NOx (sigla usata per indicare tutti gli ossidi di azoto). Ecco perché l’Eni non ha alcuna intenzione di costruire una centrale a turbogas di minore potenza. Perché qualora accettasse la richiesta avanzata da Regione Puglia, Comune e Provincia di Taranto (con queste ultime che si sono accodate all’ente principale come fa il cagnolino con il suo padrone dopo aver dichiarato ai quattro venti il loro sì alla costruzione della nuova centrale Enipower) di dimezzare la potenza (quindi da 240 MW a 120 MW) non potrebbe portare avanti il progetto, mai del tutto abbandonato, di raddoppio della raffineria di Taranto.

Detto ciò, è bene ricordare che nel progetto di “raddoppio”, è presente anche il famoso nuovo metanodotto che l’Eni ha chiesto al Comune di Taranto di costruire all’interno della raffineria, e che è strettamente legato al progetto della nuova centrale Enipower. Per un semplice, ma importantissimo motivo: in realtà il metanodotto ha due diramazioni finali: una diretta ad ENI Power (“Metanodotto di Allacciamento centrale Enipower di Taranto – Raddoppio con previsione di nuova centrale termoelettrica per la quale come detto in precedenza ENI ha recentemente fissato un bando di concorso che si è perso nel vuoto cosmico dell’universo) e l’altra a ENI R&M (cioè alla Raffineria, Metanodotto di Allacciamento impianto ENI R&M di Taranto”). Dunque, se due più due fa quattro, il quadro è sin troppo chiamo. Ricordiamo a futura memoria che l’assenso al progetto definitivo (che avvenne grazie a 19 voti favorevoli, 7 astenuti e 4 contrari, che assicurarono il numero legale) alla realizzazione del metanodotto da parte del Consiglio Comunale di Taranto (la delibera è la numero 18 del 2010), risale al 1 marzo 2010: per l’occasione il sindaco Stefàno pensò bene di assentarsi, mentre l’attuale presidente della Commissione Ambiente del Comune di Taranto, Gabriele Pugliese, scelse di astenersi.

Questi sono i fatti, queste le carte, queste le verità. A cui altre seguiranno. Ci piacerebbe affermare che “tutto il resto è noia”, ma purtroppo è la nostra triste, tragica realtà.

 Gianmario Leone

g.leone@tarantooggi.it

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