Incendio tra Lama e San Vito: aiutiamo le canne a resistere (qui e altrove)

Una pianta domina in tutto il territorio incolto intorno a Taranto: la canna.

È una sempreverde generosa e tenace che si adatta ai terreni aridi e pietrosi e che rinasce sempre dopo che incendi o tagli ne hanno distrutto il sottile fusto.

Grazia Deledda ha fatto di essa la metafora dell’uomo in balìa degli eventi. Canne al vento sono gli uomini che subiscono il loro destino, che si piegano, non avendo una forza tale per opporsi alle avversità.

E le canne infatti muoiono mille volte e rinascono nelle terre di nessuno che si affacciano sulla nostra litoranea o intorno al Mar Piccolo e nelle zone interne della Salina grande.

Sono tipiche di quelle terre, spesso abbandonate o troppo aride per essere coltivate. Si sviluppano in terreni che bruciano mediamente ogni due o tre anni, spesso nell’indifferenza degli enti preposti alla tutela ambientale, pur rappresentando spesso vere e proprie oasi naturalistiche, rifugio di tanta fauna migratoria e stanziale.

Ultimo incendio, tra i frequenti che trasformano in terra ricoperta di cenere ettari di canneti, quello che si è sviluppato sabato tra Lama e San Vito, in una zona in gran parte demaniale.

Un canalone che rappresenta forse l’ultima area libera dal cemento in un territorio ormai super sfruttato dall’urbanizzazione spesso selvaggia degli anni passati.

Un gran danno dal punto di vista ambientale e il sospetto che dietro quest’ultimo incendio vi possa essere stata la manina di qualcuno interessato allo sfruttamento di quelle terre.

Sarebbe allora il caso che il Comune di Taranto, oltre che censire tutte le aree verdi di interesse naturalistico, elaborasse e mettesse effettivamente in pratica un piano di tutela di queste vere e proprie ricchezze ambientali spesso lasciate in balia di gente senza scrupoli.

Troppo spesso abbiamo osservato aree naturalistiche divenire improvvisamente terreni coltivati o edificati o discariche di inerti.

Aiutiamo le canne a resistere quindi, affinché non siamo noi stessi canne al vento, inermi di fronte allo scempio del territorio.