Ilva, Battista lascia M5S mentre Nevoli resta

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Decisioni differenti per i consiglieri comunali M5S di Taranto. Massimo Battista annuncia le dimissioni dal movimento perché “ha tradito l’elettorato tarantino a cui aveva parlato di chiusura dell’Ilva”. Resterà in Consiglio Comunale come indipendente.

“Lo stesso Movimento che per anni ha criticato le leggi salva Ilva, quelle che hanno permesso al più grande stabilimento siderurgico d’Europa di produrre dal 2012 pur sotto sequestro della Magistratura – spiega Battista – nel resto d’Italia esulta per aver “salvato” i posti di lavoro.

Nei primi 100 giorni di governo non ha mosso un dito per cancellare almeno una di quelle leggi, sono ben 12, che fino a pochi mesi fa citavano ad esempio di come i partiti abbiano svenduto la salute dei cittadini di Taranto. Eppure basterebbe un decreto. Sarebbe sufficiente una firma per cancellare, soprattutto,  l’ignobile immunità penale che lo scorso governo ha esteso ai vincitori del bando.

Non viene fatto perché, come ammesso dagli stessi vertici di Mittal in un incontro al Mise, rinuncerebbero all’intera operazione. Nulla più di quanto dovrebbe perseguire una forza politica che diceva di voler ridurre gradualmente la produzione, formare i lavoratori per le bonifiche e impiegarli nello smantellamento degli impianti. L’esatto contrario di quanto c’è scritto nel contratto con Mittal.

Alla luce di tutte queste valutazioni, ringrazio le persone che in questi mesi mi sono state vicine e che non si sono mai risparmiate. Come me sono state tradite. Anche per loro proseguirò la mia attività politica come consigliere comunale di Taranto aderendo al gruppo misto di minoranza, spinto dai tantissimi attestati di stima ricevuti in questi giorni”.

Sottolinea Battista che a “tutt’oggi nessuno conosce il piano industriale di Mittal: quali impianti verranno fermati e quali lavoreranno di più; in che modo si passerà dal produrre 6 milioni di tonnellate di acciaio su base annua a 8, senza alzare l’asticella dell’inquinamento. Si ignora se verranno prese in considerazione solo le emissioni convogliate o le rilevazioni al quartiere Tamburi; se i bambini continueranno ad andare a scuola sotto le ciminiere. Sembra di essere tornati ai tempi della legge-truffa della Regione Puglia sulla diossina, quando l’unica cosa chiara era che la produzione non andava fermata”.

Francesco Nevoli resta in M5S e diffonde la seguente nota stampa:

“Non sono avvezzo a condividere un concetto come atto di fede, ma sono solito approfondire ogni questione, così da pervenire ad un mio personale convincimento svincolato da suggestioni di sorta.

Così ho fatto anche con riguardo al parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, relativo alle possibili anomalie della gara per il trasferimento del complesso industriale ILVA, aggiudicata ad Arcelor Mittal. L’ho letto e riletto più e più volte per la complessità delle questioni che sono trattate al suo interno.

Non nascondo che di primo acchito mi è sembrato di non condividere la decisione di Luigi Di Maio di non annullare la gara: la mia attenzione era stata catturata essenzialmente dall’ultimo paragrafo, quello relativo alla individuazione ed alla valutazione dell’interesse pubblico necessario per procedere all’annullamento.

Nella parte finale di questo paragrafo, infatti, l’Avvocatura mette in rilievo, tra i valori tutelati dalla Costituzione da porre in bilanciamento, “le esigenze di tutela ambientale e salute pubblica”, ossia quei valori che abbiamo sempre sostenuto essere risultati soccombenti nei vari decreti salva-ILVA e ammazza-Taranto rispetto all’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva dello stabilimento.

Questo dato l’ho immediatamente messo in relazione ad alcuni passaggi di una sentenza della Corte Costituzionale, solo richiamata nel parere: si tratta della pronuncia più recente (depositata a marzo 2018) sulle varie norme fatte ad hoc per il caso ILVA. In essa la Consulta ha ritenuto – per quella specifica disciplina normativa – che il legislatore avesse trascurato del tutto, a vantaggio esclusivo della produzione, “le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (artt. 4 e 35 Cost.)”.

In buona sostanza, mi sembrava che l’Avvocatura stesse servendo un assist per l’annullamento della gara!

Dopo l’ennesima lettura, tuttavia, ho realizzato che, a causa del coinvolgimento emotivo con cui ho vissuto tutte le varie fasi di questa vicenda, avevo omesso di valutare il parere nella sua interezza e soprattutto la normativa di riferimento, nel suo testo letterale e nella sua interpretazione giurisprudenziale.

Ho cercato allora di mettere un po’ di ordine nell’analisi delle questioni.

A luglio Di Maio aveva segnalato dei profili di possibile irregolarità della gara all’ANAC, che aveva su ciascuno di essi ravvisato delle criticità. In considerazione di ciò, Di Maio aveva avviato il procedimento amministrativo per l’eventuale annullamento d’ufficio del decreto di aggiudicazione ad Arcelor Mittal (art. 21 nonies legge 241 del 1990).

È importante precisare che per annullare un provvedimento occorre innanzi tutto che questo sia illegittimo e poi che sussistano “ragioni di interesse pubblico” all’annullamento. Per opinione concorde dei giudici amministrativi l’interesse pubblico deve essere concreto ed attuale e non può coincidere con il mero interesse al ripristino della legalità.

A questo punto Di Maio si è rivolto all’Avvocatura Generale dello Stato per chiedere una valutazione sulle criticità riscontrate dall’ANAC in merito al procedimento con cui si è pervenuti all’aggiudicazione. Con l’occasione ha sottoposto all’Avvocatura anche altri aspetti, tra cui la discussa questione della legittimità costituzionale dell’immunità riconosciuta per legge ordinaria all’aggiudicatario, nonostante questa non riguardi in maniera specifica la procedura di aggiudicazione.

L’Avvocatura, quindi, ha analizzato nei paragrafi iniziali del parere una per una le varie problematiche poste ed in quelli finali i vari aspetti della procedura di annullamento, concludendo con la disamina dei criteri per la valutazione dell’interesse pubblico, secondo lo schema indicato dalla legge (illegittimità amministrativa prima e interesse pubblico poi).

Pur confermando le varie criticità segnalate, l’Avvocatura si è espressa in termini di possibile illegittimità amministrativa (sotto il profilo dell’eccesso di potere) a proposito della questione dei “mancati rilanci”, nella quale però – si legge – competeva “un amplissimo potere discrezionale” ai Commissari, i quali avevano ritenuto non ammissibile l’offerta in rilancio proveniente da AcciaItalia, l’altra cordata che aveva partecipato alla gara.

A fronte, quindi, di questa eventuale situazione di illegittimità, per annullare il provvedimento di aggiudicazione si doveva individuare “un interesse pubblico concreto ed attuale particolarmente corroborato”,   tenendo però conto dell’esistenza di tutti i seguenti fattori, sicuramente di segno contrario:

  • la procedura di gara si è esaurita già da molto tempo, mentre la normativa richiede che il potere di annullamento sia esercitato “entro un termine ragionevole”;
  • tutte le criticità non sono riferibili a comportamenti di Arcelor Mittal (non ci sono elementi per ritenere che non sia stata in buona fede), che vanta a ragione una posizione di legittimo affidamento determinata dalla aggiudicazione e dalla stipula del contratto;
  • AcciaItalia a suo tempo non ha proposto alcuna impugnativa;
  • AcciaItalia risulta addirittura cancellata dal Registro delle Imprese a seguito della sua messa in liquidazione.

Sulla base di questi elementi, se Di Maio avesse annullato il decreto di aggiudicazione, il suo provvedimento di annullamento sarebbe stato impugnato da Arcelor Mittal dinanzi al TAR e sospeso nel giro di 15/20 giorni. Il giudizio amministrativo, infatti, prevede una fase cautelare che si svolge in termini molto ristretti, proprio per evitare che gli effetti del provvedimento impugnato possano durare fino al giudizio di merito, che viene invece celebrato dopo diversi mesi. Ottenendo la sospensiva dal TAR, Arcelor Mittal sarebbe entrata comunque nella disponibilità dello stabilimento, ma alle condizioni previste nel contratto sottoscritto dall’allora Ministro Calenda, senza alcuna possibilità di miglioramento sotto il profilo lavorativo ed ambientale.

Per quanto riguarda l’immunità, che è bene ribadire non riguarda la legittimità della gara, l’Avvocatura si è sostanzialmente limitata ad affermare che “ogni valutazione in ordine alla costituzionalità di una norma di legge compete alla Corte Costituzionale in sede di giudizio incidentale” e che “l’apprezzamento della specificità della concreta situazione merita, soprattutto in caso di esimenti penali, particolare cautela e rigore”, così deludendo le aspettative mie e – sono sicuro – di tanti altri.

Alcuni si pongono la domanda: è stato utile attivare questa procedura, che ha visto coinvolte diverse strutture dello Stato? Io sono fermamente convinto di sì.

Ho ben scolpito nella testa quando durante la scorsa legislatura i nostri Portavoce in Parlamento fecero istanza di accesso agli atti per poter visionare il contratto sottoscritto con Arcelor Mittal e fu consegnato loro un documento in cui le pagine erano pressoché tutte bianche, salva la dicitura  “OMISSIS”: il vecchio Governo non ci consentiva di sapere nulla!

Visti gli enormi interessi economici in gioco e l’atteggiamento di totale chiusura manifestato nei confronti di chiunque volesse conoscere i termini dell’accordo contrattuale per il trasferimento dell’acciaieria più grande di Europa, è stato doveroso da parte di Di Maio, una volta insediatosi al MISE, verificare tutti i passaggi di una complessa procedura durata ben due anni e contraddistinta da fasi di brusca frenata alternate ad improvvise accelerazioni, consumatesi in gran segreto nelle stanze dei palazzi romani.

Il risultato finale di tutta questa vicenda mi lascia sicuramente amareggiato perché confidavo nel fatto che potesse essere finalmente giunto il momento della “chiusura delle fonti inquinanti” di ILVA, ma la situazione che ci ha lasciato l’ex Ministro Calenda non lo ha consentito.

Con una gara già espletata, un contratto firmato, norme di legge di carattere generale cogenti ed orientamenti giurisprudenziali consolidati, con i quali CHIUNQUE – anche un Ministro della Repubblica Italiana, anche se a qualcuno può sembrare strano – deve necessariamente confrontarsi, non era possibile ottenere quel risultato che tutti i Portavoce Tarantini nel passato più o meno recente hanno reclamato con tutto il fiato che avevano in gola.

Per averne contezza però occorreva entrare nella disponibilità del dossier ILVA nella sua completezza ed effettuare tutti quei passaggi che giustamente sono stati compiuti.

Come egli stesso ha annunciato, Luigi Di Maio nei prossimi giorni verrà a Taranto.

Ci metterà la faccia: spiegherà, sicuramente meglio di me, tutti questi aspetti e soprattutto con quali misure concrete intende avviare il progetto di riconversione economica della nostra Città, che ora più che mai non può attendere. Andiamo avanti”.