Taranto, terra di mare e di pietre, che ha affidato il suo destino all’acciaio

pescatori taranto

TARANTO – Popolazione e ambiente naturale sono due elementi strettamente legati e interdipendenti che si influenzano reciprocamente nella loro lenta e costante trasformazione. Il predominio dell’ambiente sull’uomo è stata la condizione che ha caratterizzato il pianeta Terra per gran parte degli ultimi duecentomila anni, fino a quando lo sviluppo tecnologico degli ultimi due secoli ha stravolto questo rapporto.

Caccia, pesca, raccolta dei frutti selvatici e una primordiale coltivazione della terra sono stati per millenni ben tollerati dall’ambiente naturale che riusciva a offrire sostentamento al genere umano senza che si creasse squilibrio tra quanto prodotto e quanto consumato.

L’Uomo ha cominciato a strutturarsi in comunità sociali meglio organizzate da quando ha imparato le tecniche agricole di rotazione delle colture e di allevamento che gli hanno permesso di occupare in pianta stabile un certo territorio evitando uno spreco di energie che i continui spostamenti determinavano.

In Puglia e nel nostro territorio in particolare, Uomo e Natura hanno mantenuto un buon equilibrio per millenni, dai primi insediamenti rupestri fino a pochi decenni or sono. Una volta rottosi questo equilibrio, la trasformazione del territorio e della popolazione stessa, intesa come insieme di peculiarità sociali e culturali, è stata rapidissima.

Quel rapporto stretto tra ambiente e popolazione che si poteva definire come peculiarità e vocazione territoriale e che si basava sullo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali a disposizione, ad un certo punto si è rotto definitivamente e tale processo è stato tanto più traumatico laddove maggiore è stato l’impatto antropico.

Sorvolando su quelle fasi storiche di Taranto che l’hanno vista prima città importante della Magna Grecia, poi colonia romana e in seguito territorio dominato da diversi popoli (Goti, Bizantini, Longobardi, Aragonesi per citarne solo alcuni) fino all’inclusione nel Regno di Napoli (con alterne fortune e disgrazie che comunque hanno certamente lasciato un qualche segno nella formazione della coscienza della nostra comunità), limitiamoci a considerare il tipo di società che ci caratterizzava in tempi più recenti.

Una terra baciata dalla fortuna era quella di Taranto: mare e terre pianeggianti fornivano il necessario per un’economia certamente non ricca, ma sufficiente al fabbisogno di una città che, chiusa per secoli nei confini dell’antico borgo, tra fine ‘800 e primi del ‘900 cominciava ad espandersi oltre il Canale navigabile.

Pesca e coltivazione di mitili da una parte e coltivazione dell’olivo e della vite dall’altra erano le attività che caratterizzavano il territorio e popolazione. Taranto era, fino alla prima metà del secolo scorso, città d’eccellenza per la produzione di mitili allevati nel Mar Piccolo e conosciuti in tutta Italia per le ottime caratteristiche organolettiche.

Sterminate piantagioni di olivo e in minor parte di vite e mandorlo occupavano l’entroterra e contribuivano all’economia e all’occupazione locale, in un Meridione spesso più povero e arretrato. Le tante masserie, diffuse in tutto il territorio tarantino, rappresentavano veri e propri centri produttivi agricoli capaci di regolare per secoli lo sfruttamento del territorio.

Terra di mare e terra di pietre è Taranto. Nata sul mare e costruita utilizzando la pietra ricavata dallo scoglio su cui è sorta, conserva forse nella propria essenza questi due elementi. Bravi fummo a costruire barche per ricavare sostentamento dal mare e bravi fummo ad utilizzare la pietra per costruire case e muri a secco.

L’inaugurazione dell’Arsenale militare alla fine dell’800 e l’apertura di alcuni cantieri navali si inserirono abbastanza bene nel quadro generale dell’economia tarantina fornendo ulteriori opportunità di occupazione e sviluppo senza stravolgere in modo esagerato le tradizionali vocazioni del territorio.

Gli equilibri che per secoli avevano caratterizzato l’economia di Taranto in brevissimo saltarono però con il processo di industrializzazione degli anni ’60. Il passaggio da un’economia legata al mare e all’agricoltura ad una prettamente industriale fu rapidissimo a Taranto, così come in altre pochissime aree del Paese.

Le testimonianze video reperibili in rete della distruzione di migliaia di olivi secolari e decine di masserie per far posto alle ciminiere sono la diretta testimonianza dello scempio subito dal nostro territorio. L’Uomo aveva imposto il proprio dominio sull’ambiente in una maniera che nei decenni successivi sarebbe diventata forse irreversibile e insanabile.  Inquinamento e devastazione del territorio in cambio di un momentaneo benessere economico: questo è avvenuto a Taranto e questo ha limitato in modo netto il nostro sviluppo in alcuni settori rispetto ad altre realtà locali.

L’impatto dell’industria sull’ambiente e la trasformazione dell’economia sono stati da noi troppo rapidi per essere completamente accettati dalla popolazione che ha dovuto subire un processo di adattamento che non ha rispettato i fisiologici tempi di maturazione e che ha generato disarmonia col territorio e disaffezione rispetto alle proprie radici culturali.

In particolare, laddove altre realtà territoriali hanno ormai da tempo intrapreso un cambio di rotta rispetto alle politiche industrialiste e si sono orientate verso un’economia più spinta verso il cosiddetto terziario (commercio, turismo, servizi), Taranto non ha optato per questa scelta.

Il terziario sviluppa certamente anche da noi maggior valore aggiunto rispetto all’industria, ma settori quali commercio e soprattutto turismo pagano un gap notevole rispetto ad altre realtà anche a noi contigue. Quella maggiore produzione di ricchezza generata dall’industria, Taranto la paga abbondantemente in altri settori che non generano la ricchezza che ci si aspetterebbe.

Il danno ambientale è inoltre l’ulteriore prezzo che il territorio ionico paga per gli effetti delle politiche industriali. Quale la vocazione reale di Taranto oggigiorno? Cosa forma la nostra attuale identità? Il mare, la terra, la pietra…o l’acciaio? Siamo tutti sull’orlo di una crisi di coscienza e spesso non ci riconosciamo nella realtà in cui viviamo. Sarà anche per questo che Taranto si spopola sempre più e tanti che vanno via non tornano più?