Ilva e Alitalia, due casi emblematici: meglio nelle mani dello Stato o dei privati?

Alitalia Ilva

TARANTO – Ilva e Alitalia sono due casi emblematici di privatizzazioni costate allo Stato più di quanto abbia fruttato la loro vendita. I famosi capitani coraggiosi che tanto volle Berlusconi nel 2008 alla guida della ex compagnia di bandiera si sono dimostrati poi, alla prova dei fatti, incapaci di gestire in modo ottimale Alitalia che in seguito è stata ripetutamente tenuta in piedi (anzi in aria) solo grazie all’intervento generoso di Pantalone che ha prolungato per oltre sette anni la cassa integrazione ai dipendenti in esubero.

Ben diversa la privatizzazione di Ilva che ceduta ai privati nel 1995, a detta di molti, ad un prezzo ben minore rispetto a quello di mercato da parte dell’allora presidente dell’Iri Romano Prodi diventò, oltre che una fabbrica che produceva acciaio, anche una azienda in grado di generare utili a nove zeri. Utili che forse si potevano reinvestire in proporzioni ben maggiori nei processi di ammodernamento e protezione ambientale, ma ciò è questione di cui si discute nelle aule di tribunale.

Gestione statale o privata delle aziende strategiche per l’economia italiana? La privatizzazione di Poste italiane, Ferrovie, Telecom, Enel, dei tanti acquedotti, non è stata, in alcuni casi, un affare per i cittadini che si sono ritrovati servizi peggiorati in qualità e prezzi lievitati. Un patrimonio che lo Stato ha ceduto esclusivamente allo scopo di risanare le proprie casse o per favorire gruppi imprenditoriali politicamente vicini che ricavano vantaggi economici da queste operazioni? Oppure per togliersi le castagne dal fuoco in complicate situazioni  di amministrazione straordinaria come quelle attuali di Alitalia o Ilva?

Certamente i vincoli economici che l’Europa ci impone non permettono più allo Stato di gestire direttamente tutte le imprese strategiche in difficoltà e di rimetterci denaro, ma la cessione al privato dovrebbe comunque essere fatta garantendo servizi minimi per tutti i cittadini a costi calmierati per le fasce sociali più deboli. Scuola e sanità restano i due settori in cui lo Stato predomina ancora sul privato, ma anche qui l’impressione è che le difficoltà economiche e gestionali crescano sempre più.

Nella sanità, in particolare, cresce – anno dopo anno – il ricorso alle prestazioni a pagamento da parte dei cittadini che non trovano nelle strutture pubbliche facilità e velocità di accesso alle cure. In definitiva uno Stato che delega sempre più il privato alla gestione di beni e servizi di cui una volta era monopolista più affidabile anche se spesso sprecone. Meno Stato ma più tasse è però la contraddizione dei nostri giorni.

Se da un lato l’impegno del pubblico si riduce all’essenziale, dall’altro i cittadini trovano sempre meno giustificazioni all’enorme carico fiscale che sono costretti a sopportare (tranne che i tanti evasori), vista la scarsità dei servizi di cui beneficiano. La vittoria del capitalismo sullo statalismo è ciò che caratterizza la nostra epoca? Più che del capitalismo, visto che di veri imprenditori coraggiosi che rischiano denaro proprio ce ne sono pochi, sembrerebbe la vittoria delle grandi lobbies della finanza a cui lo Stato, spesso generosamente, cede porzioni di sovranità in cambio di evanescenti risanamenti di bilancio.

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