Ilva tra banche, crediti pregressi e l’agognato tesoro dei Riva

novi ilvaTARANTO – Il prossimo 16 aprile a Roma presso la sede del ministero dello Sviluppo economico, ci sarà un vertice con i tre commissari che stanno gestendo l’amministrazione straordinaria dell’Ilva, le banche e Confindustria Taranto per discutere delle ditte dell’indotto e dell’appalto che vantano crediti nei confronti della vecchia Ilva Spa. Dopo i pagamenti ottenuti a settembre e dicembre scorsi infatti, alle aziende non è stato più versato nulla. Del resto, ciò che è rimasto in sospeso, è finito nella massa debitoria passiva della società Ilva spa dopo l’entrata in amministrazione straordinaria. La speranza, come accaduto per gli autotrasportatori, è provare ad ottenere almeno un acconto sui debiti pregressi.

Lo scorso 24 marzo infatti, il giudice del Tribunale di Milano, Caterina Macchi, ha autorizzato i commissari dell’Ilva a saldare i crediti pregressi “per un importo che non superi per ciascuno di essi il 32 per cento dei crediti vantati per prestazioni rese anteriormente all’apertura della procedura e secondo tempistiche rimesse alla prudente valutazione dei commissari”. La percentuale del 32 per cento però, va intesa come tetto massimo. Non è quindi garantito che tutti avranno lo stesso trattamento. E, come abbiamo sempre sostenuto, nessuno avrà corrisposti i crediti pregressi per intero. Come già riportato in precedenza, sarà dunque l’Ilva a definire le modalità di pagamento attraverso la redazione di un piano che indicherà tempi ed entità delle somme che saranno corrisposte. Per il pagamento degli autotrasportatori, i tre commissari dell’Ilva avevano fatto istanza al giudice delegato lo scorso 18 marzo. In seguito, si passerà alle altre tipologie di imprese dell’indotto. Le aziende del trasporto che lavorano con l’Ilva sono circa 150 in tutt’Italia e vantano crediti complessivi per 48 milioni di euro.

Un altro obiettivo che si è posta Confindustria Taranto è quello di provare a capire come accedere ai 35 milioni di euro destinato alle Pmi che lavorano nell’indotto Ilva, previsti dall’ultima legge sull’Ilva dello scorso 4 marzo. Giovedì intanto, si è svolta al Tribunale di Milano dinanzi al gip Fabrizio D’Arcangelo, l’udienza sull’istanza dell’Ilva per ottenere le risorse sequestrate ai Riva (1,2 miliardi) per il risanamento ambientale. L’istanza di svincolo è stata presentata dai commissari dell’Ilva in amministrazione straordinaria. Il gip si è riservato una decisione nel giro di un mese al massimo.

E’ la legge numero 20 dello scorso 4 marzo che riconferma l’uso dei soldi sequestrati ai fratelli Riva nel risanamento e rilancio dell’Ilva. Riconferma perché già le leggi numero 89 dell’agosto 2013 e numero 6 del febbraio 2014 hanno stabilito il trasferimento del miliardo e 200 milioni all’Ilva. Ma, mentre i provvedimenti precedenti ne disponevano diversamente l’uso – quella del 2014, per esempio, all’aumento di capitale dell’Ilva -, la legge di un mese fa indica invece il risanamento ambientale come obiettivo unico. In pratica, se il gip D’Arcangelo accoglierà l’istanza dell’Ilva, a fronte dello svincolo del miliardo e 200 milioni, l’amministrazione straordinaria dell’azienda, guidata dai commissari Gnudi, Carrubba e Laghi, emetterà delle obbligazioni di pari importo che saranno consegnate al Fondo unico Giustizia. Il sequestro si trasferirà dalle somme, attualmente in gran parte in Svizzera, alle obbligazioni. L’emissione di queste ultime servirà a vincolare l’uso dei soldi sequestrati all’attuazione dell’Autorizzazione integrata ambientale nello stabilimento di Taranto il cui costo è stimato in un miliardo e 800 milioni, di cui già 500 milioni, secondo dati dell’Ilva di qualche mese fa, già spesi o in fase di cantierizzazione.

Ma dopo aver presentato ricorso in Cassazione (sul quale è decaduto l’interesse al pronunciamento in quanto è cambiata la norma con l’entrata in vigore dell’ultima legge ‘salva Ilva’), durante l’udienza di giovedì i legali di Adriano Riva dello studio milanese Bana, si sono nuovamente opposti allo svincolo delle somme. La difesa di Adriano Riva – principale indagato nell’inchiesta, dopo la morte del fratello Emilio e l’unico rimasto della partita perché la famiglia di Emilio ha rinunciato all’eredità oggi affidata a un curatore nominato dal Tribunale di Varese – aveva già sollevato eccezione di incostituzionalità, affermando che la misura richiesta sarebbe anche contraria alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Il ricorso, del resto, era assolutamente scontato. Da tempo, infatti, i Riva ritengono incostituzionale che si usino per l’Ilva soldi e beni sequestrati dalla magistratura per ipotesi di reato ben diverse da quelle ambientali, che questo avvenga con risorse sottoposte a sequestro preventivo e non confiscate, e il tutto con un procedimento giudiziario non ancora approdato alla conclusione delle indagini.

Tra l’altro, anche se Adriano Riva non avesse fatto ricorso contro il provvedimento del gip di Milano, avere nelle casse dell’Ilva il miliardo e 200 milioni di euro sequestrato non sarebbe stato facile, né semplice (come sosteniamo da due anni a questa parte). Come non lo è tutt’ora. La novità della norma, l’inesistenza di precedenti in materia, la distribuzione delle risorse in otto trust (il “malloppo” si trova nelle casse delle banche svizzere Ubs e Aletti del gruppo Banco Popolare ed è intestato ad otto trust domiciliati sull’isola di Jersey, paradiso fiscale sotto la sovranità della corona inglese) e il fatto che non si tratta tutta di liquidità, avevano infatti delineato, già dopo la pronuncia del gip dello scorso autunno a favore dello svincolo delle somme, uno scenario complesso e noto peraltro alla stessa Ilva. Del resto però, quelle somme restano l’unica flebile speranza per attuare i lavori di risanamento previsti nell’area a caldo del siderurgico. Auguri.

Gianmario Leone

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