Ilva, il “decreto dei decreti”

palazzo chigi_2TARANTO – Dovrebbe essere varato oggi dal governo il nuovo decreto, il settimo dal dicembre 2012, per provare a salvare l’Ilva di Taranto. Il condizionale è d’obbligo, visto che sino a ieri sera dal MiSE giungevano notizie contrastanti sulla possibilità che oggi si riesca a produrre effettivamente un decreto ad hoc sul siderurgico. C’è infatti anche la possibilità che vengano varate soltanto alcune misure a sostegno della città di Taranto, riguardanti il porto, l’Arsenale, la riqualificazione del Borgo antico e il Museo Archeologico (MarTA), rinviando ai prossimi giorni il nuovo decreto salva-Ilva.

In attesa dell’odierno Consiglio dei ministri, Renzi ha coniato ieri uno slogan dai toni “vagamente” populisti per sottolineare l’impegno del suo governo alla risoluzione del caso Ilva. “L’altro giorno mi mettevano in guardia sul fatto che l’Europa possa considerare le nostre misure come aiuti di Stato. Con tutti i morti di tumore, volete impedirmi di mettere i soldi per riqualificare l’ambiente a Taranto? Se l’Europa vuole impedire il salvataggio dei bambini di Taranto significa che ha perso la strada di casa. Noi faremo il risanamento ambientale e nel 2015 faremo gli investimenti necessari”, ha dichiarato a Rtl 102.5.

Improvvisamente dunque, il premier Renzi sente il bisogno di salvare i bambini di Taranto. Strano che non lo abbia sentito all’indomani dell’aggiornamento dello studio SENTIERI realizzato dall’Istituto Superiore della Sanità, che lo scorso luglio evidenziava per la fascia d’età pediatrica (0-14 anni) di Taranto rispetto ai dati regionali, un eccesso di mortalità per tutte le cause (+21%), e di ospedalizzazione per le malattie respiratorie acute (+5%), mentre per tutti i tumori un eccesso di incidenza (+54%). Nel corso del primo anno di vita è stato invece evidenziato un eccesso di mortalità per tutte le cause (+20%) ascrivibile all’eccesso di mortalità per alcune condizioni morbose di origine perinatale (+45%): per questa stessa causa si osserva un eccesso di ospedalizzazione (+17%).

Ancora più strano poi, il fatto che voglia salvarli attraverso il risanamento ambientale, applicando le oltre 100 prescrizioni previste dal Piano ambientale approvato dal governo lo scorso aprile, che ha recepito e riveduto nelle tempistica di attuazione quanto previsto dall’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata all’Ilva dall’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini nell’ottobre 2012 (che ha a sua volta rivisto le prescrizioni dell’AIA concessa all’Ilva il 4 agosto 2011, salutata da istituzioni e sindacati come un traguardo storico, salvo poi scoprire grazie all’inchiesta ‘Ambiente Svenduto’ che era stata scritta a tavolino dall’azienda e dai suoi complici presenti in ogni sede a livello nazonale).

L’altra stranezza consta invece nel fatto che il premier Renzi dovrebbe conoscere quanto scritto da Arpa Puglia nella relazione sulla Valutazione del danno sanitario (prevista dalla legge regionale 21/2012) presentata da ARPA Puglia il 29 maggio del 2013 durante l’audizione in V Commissione Ambiente presso la Regione Puglia. “I miglioramenti delle prestazioni ambientali, che saranno conseguiti con la completa attuazione della nuova AIA (prevista per il 2016), comporteranno un dimezzamento del rischio cancerogeno nella popolazione residente intorno all’area industriale”, si leggeva in quel testo ignorato da tutti, anche dai mass media locali.

Secondo l’analisi di ARPA Puglia, dopo l’applicazione dell’AIA, nel 2016 l’ILVA emetterà 22.1 g/anno di diossine, un quantitativo pari a circa la metà dell’intera produzione nazionale di questi inquinanti. Secondo le stime dell’Agenzia Regionale, in questi anni momento rischia di avere un tumore, considerando la sola inalazione degli inquinanti, una popolazione di 22.500 residenti. Dopo l’AIA correranno questo rischio 12.000 residenti. Che continueranno ad essere sottoposti a rischio elevato di tumore maligno a causa dell’inquinamento industriale prodotto dall’Ilva.

Il termine “almeno” era ed è giustificato ancora oggi, dalla considerazione del fatto che questa previsione è solo parziale e il dato sul rischio è fortemente sottostimato. L’analisi, infatti, prende in considerazione i rischi tumorali legati alla sola inalazione di sostanze inquinanti, escludendo completamente le altre vie di assunzione delle sostanze tossiche emesse dall’Ilva per ingestione. Il rapporto ARPA, inoltre, calcola i rischi che quelle concentrazioni di inquinanti causano in soggetti adulti di peso medio. Non considerando che a parità di concentrazioni il rischio è decine di volte più alto per i feti e per i bambini.

Tra l’altro, pare che sarà anche rivista la spesa per gli interventi: dagli 1,8 miliardi di euro previsti inizialmente, si potrebbe passare ai futuri 1,2. Risorse, quest’ultime, che Gnudi e Governo hanno chiesto ed “ottenuto” dalla Procura di Milano che ha sbloccato, secondo quanto previsto dalla legge Terra dei Fuochi, parte del “tesoro” offshore dei Riva: 1,2 miliardi di euro. Sblocco del tutto virtuale, sul quale pesa sia il ricorso in Cassazione presentato dai legali di Adriano Riva (che hanno sollevato eccezione di incostituzionalità, affermando che la misura richiesta sarebbe anche contraria alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), sia l’oggettiva difficoltà, e forse sarebbe il caso di parlare di impossibilità, di ottenere dei fondi intestati ad otto trust protetti nel paradiso fiscale dell’isola britannica del Jersey e depositati nelle casse delle banche svizzere Ubs e Aletti del gruppo Banco Popolare (che, guarda caso, rientra nel terzetto delle banche che hanno concesso il prestito ponte alla stessa Ilva).

Inoltre, le risorse liquide ammonterebbero a non più di 800 milioni di euro (ricordiamo che a luglio 2013 furono trovati altri 700 milioni di euro in altri paradisi fiscali, la cui inchiesta risulta ancora aperta), di cui soltanto 164 milioni sono in Italia. In questo stato di incertezza generale, appare ancora più arduo prevedere in che modo il governo intenda salvare il siderurgico più grande d’Europa. Secondo indiscrezioni, si modificherà la legge Marzano (quella sulla procedura di amministrazione straordinaria) estendendola anche alle aziende non in stato di insolvenza. Come è attualmente l’Ilva. Anche se a fronte di perdita mensili pari a 20-25 milioni di euro sotto la guida di Gnudi (che il mese scorso ammise l’EDIBTA in negativo dell’azienda), non bisogna sottovalutare un dettaglio che riportammo mesi addietro: secondo fonti ben informate infatti, lo scorso 26 luglio alcune ditte dell’indotto ed alcune società fornitrici del siderurgico, hanno depositato ricorsi per ingiunzione per mancato pagamento di svariate fatture. Una strada, questa, che porterebbe l’azienda direttamente al fallimento qualora il contenzioso giudiziario non venisse risolto entro i tempi previsti dalla legge (e che stanno per scadere).

Secondo quanto studiato dal governo, la guida dell’azienda sarà affidata ad un super commissario (l’attuale commissario Ilva Piero Gnudi o l’attuale direttore generale dell’azienda Roberto Renon), che guiderà una new.co al 100% pubblica, attraverso il passaggio, si ragiona su un affitto triennale, degli asset produttivi alla Fintecna, società interamente partecipata dalla Cassa Depositi e Prestiti, che dovrebbe versare nella casse dell’azienda 150 milioni di euro. Cifra del tutto irrisoria per le esigenze del siderurgico: ecco perché si sta lavorando all’ipotesi di un contributo della Cdp pari a 1,5 miliardi di euro (che sarebbe finita in questo modo, lo anticipammo nell’ottobre del 2012 su queste colonne). Alla Fintecna sarà affidato il compito di attuare il risanamento ambientale e la ricerca di un futuro compratore (ArcerolMittal e Marcegaglia restano infatti ancora alla finestra).

Nella bad company invece, che potrebbe essere affidata a due commissari con il ruolo di liquidatori, resteranno le cause pendenti penali e civili (come l’eventuale risarcimento danni in tema di bonifiche e nei confronti di enti e terzi coinvolti previsti dal processo Ilva dove sono state avanzate richieste per oltre 30 miliardi di euro. Detto in parole povere: quei soldi Taranto e i suoi cittadini non li vedranno mai. E questo, per quanto ne sappiamo, accadrà anche qualora questo progetto non dovesse realizzarsi) e i debiti.

Che ammontano a 1,3 miliardi nei confronti delle banche (Unicredit, Intesa San Paolo e Banco Popolare) e ad oltre 500 milioni tra fornitori e ditte dell’indotto e dell’appalto (440 soltanto quelli dovuti ai fornitori). Queste le esposizioni dei singoli istituti di credito: Unicredit per circa 240 milioni di euro, Intesa San Paolo per circa 760 milioni e Banco Popolare per 204 milioni. Il tutto rientra nel debito certificato dalla centrale grandi rischi di Bankitalia, che aggiornata al settembre di quest’anno, ci parla di un debito utilizzato da Ilva pari a 1,364 miliardi di euro: 801,9 milioni di euro a scadenza, 351 autoliquidanti ed il resto in firme commerciali e finanziarie. Inoltre, è bene ricordare che nell’autunno del 2012, i debiti finanziari complessivi dell’Ilva spa erano prossimi ai 3 miliardi di euro, pari a 1,3 volte il capitale netto. Da rilevare però, che solo il 25% dell’esposizione era nei confronti delle banche, mentre il restante 75% riguardava debiti con altre società del gruppo Riva.

Senza dimenticare che l’azienda, al momento, è ancora di proprietà dei Riva. L’Ilva è infatti ancora di proprietà del gruppo Riva che detiene l’87% delle azioni (il 61,62% possedute dalla Riva FIRE, mentre il 25,38% dalla holding Siderlux, posseduta a sua volta dalla stessa Riva FIRE). E non è dato sapere come il governo intenda liberarsi del gruppo lombardo. Chi pensa che i Riva rinunceranno a tutto senza colpo ferire, fa finta di non sapere con chi ha a che fare. Stesso discorso dicasi per il gruppo barese della famiglia Amenduni, che detiene il 10% delle azioni (attraverso la Valbruna Nederland, società olandese della famiglia). Il 2,95% è invece detenuto dalla Allbest S.A., un’altra società lussemburghese. Una società fantasma, che nell’annuario delle aziende lussemburghesi, viene segnalata come un’impresa con proprietà “sconosciuta”, la cui sede risulta essere all’indirizzo “3, Place DargentL – 1413 Luxembourg”. Una situazione, quella dell’Ilva di Taranto, portata alle estreme conseguenze. Staremo a vedere come finirà. Nel frattempo, passate delle buone feste se potete.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 24.12.2014)

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