Call center, dg di Teleperformance audito dalla commissione lavoro della camera

il-general-manager-gabriele-piva_57871Aumentare i requisiti di qualità del servizio dei call center potrebbe allentare il processo di delocalizzazione, aumentare l’occupazione e, naturalmente, la soddisfazione degli utenti. Lo ha detto Gabriele Piva, direttore generale di Teleperformance, multinazionale del settore, durante un’audizione davanti alla commissione lavoro della Camera nell’ambito di un’indagine conoscitiva sui call center. Due semplici passi suggeriti dall’azienda sarebbero quelli dell’obbligo di parlare con un operatore dopo dieci secondi o imporre un controllo di qualità indipendente. L’azienda ha detto di voler rimanere nel mercato italiano ma auspicando che nel settore sia possibile fare impresa stando in piedi con il proprio lavoro senza ricorre sempre a ricapitalizzazioni da parte della proprietà.

Per l’azienda infatti ora molte aziende lavorano sotto costo o per gli incentivi sull’assunzione troppo alti, che minano la concorrenza e una volta scaduti portano spesso al fallimento dell’azienda, o perché il settore registra forti cali di volumi e per ridurre le perdite si accetta di lavorare a un prezzo più basso del costo. Proprio per questo Piva ha chiesto di rivedere il codice degli appalti sulle gare al massimo ribasso. Piva ha sottolineato anche che l’Irap nel settore “è quasi una tassa sul fatturato, indipendente dalle perdite” e che le aziende del ramo “non riescono ad accedere ai fondi strutturali”.

Alla luce dei continui segnali di crisi che sono aperti o che si stanno aprendo in tantissime imprese del settore dei call center, vogliamo ribadire con chiarezza che la situazione del settore dei call center in outsourcing nel nostro Paese si sta facendo sempre più grave”. A lanciare il nuovo allarme è Assocontact, associazione confindustriale delle imprese del settore, che in una nota sottolinea come “più volte e in più occasioni” abbia ribadito “l’assoluta necessità di un intervento profondo che miri a dare a questo settore una politica industriale in grado di superare la profonda crisi che lo sta stritolando”. “Le nostre imprese sono aziende serie – spiega Umberto Costamagna, presidente di Assocontact – che da anni sono alle prese con una politica di prezzi sempre al ribasso, con l’incidenza della tassazione Irap assolutamente spropositata per un settore il cui costo del lavoro raggiunge l’80% del fatturato, con gare d’appalto che non tengono conto dei costi del lavoro e che per questi motivi produce una marginalità media di settore che non consente lo sviluppo e mette in serio pericolo la sopravvivenza stessa delle aziende e dei relativi 80.000 posti di lavoro”. “In questi ultimi mesi, mentre da un lato si moltiplicavano e continuano ad aprirsi numerosi focolai di crisi in decine di imprese, dall’altro abbiamo registrato positivamente una condivisione della gravità del momento da parte di tutti gli ‘attori sociali’: oltre alle imprese, le organizzazioni sindacali, i ministeri dello Sviluppo Economico e del Lavoro, la commissione Lavoro della Camera, singoli parlamentari”, ricorda Assocontact.

E’ stato prefigurato un percorso – dice Costamagna – si sono lanciate diverse proposte: ora è però il momento delle decisioni e della concretezza. Non possiamo più accettare inerti questa situazione mentre il futuro di imprese e lavoratori continua drammaticamente a farsi sempre più incerto”. Le imprese dei call center non cercano “aiutini o assistenza statale” ma chiedono “una diversa politica degli incentivi agli investimenti che eviti di drogare il mercato; la fine degli appalti e delle gare al massimo ribasso che non rispettano il costo del lavoro; riequilibrio dei rapporti fra domanda e offerta, in particolare con la committenza pubblica; soluzione delle crisi aziendali in una logica globale che limiti interventi specifici ad hoc che potrebbero causare ulteriori discriminazioni e squilibri fra le imprese, soprattutto nelle situazioni di perdita di commesse”.

E ancora “una politica fiscale che consideri la specificità di un settore labour intensive e con un costo del personale intorno all’80% dei suoi ricavi”. “Chiediamo che tutte le convergenze fino a oggi dichiarate a parole si concretizzino velocemente in un confronto aperto per dare finalmente al settore dei call center una politica industriale che consenta alle imprese di sopravvivere e ai lavoratori di mantenere il posto di lavoro, in un contesto di libero mercato e di competitività basata sulla qualità”, conclude Costamagna.

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